Insegnanti con mansioni sempre più generiche per tamponare un welfare ridotto all' osso
30 Ottobre 2013 | di Fabrizio Reberschegg
Il DL 104/2013 all'art.7 (apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica) prevede, nelle aree a maggior rischio di evasione dell'obbligo, un programma di didattica integrativa che contempla ''tra l'altro, ove possibile, il prolungamento dell'orario scolastico per gruppi di studenti, con particolare riferimento alla scuola primaria''. Si tratterebbe in sintesi di interventi mirati di recupero e sostegno in orario extrascolastico a favore degli allievi che sarebbero maggiormente esposti al fenomeno dell'abbandono scolastico. Sembrerebbe un progetto di miglioramento del ''servizio'' encomiabile, ma vi sono alcune evidenti contraddizioni nell'articolato che fanno trasparire una profonda e sconcertante visione della scuola.
Innanzitutto appare incomprensibile che tali interventi frammentari vengano proposti senza mettere mano alla riforma Gelmini che ha di fatto smantellato gli assetti della scuola primaria e ridotto fortemente il tempo pieno. Non si capisce inoltre come si possa combattere l'abbandono scolastico di ragazze e ragazzi che non frequentano regolarmente nemmeno l'orario mattutino con un allungamento di fatto della permanenza a scuola con programmi di ''didattica integrativa''. Si noti inoltre che paradossalmente i picchi di abbandono scolastico si hanno nelle regioni e nei territori dove minore è la richiesta di tempo pieno da parte delle famiglie. Tutto il progetto si baserebbe infine su risorse attinte dal Fondo di Istituto per pagare il lavoro aggiuntivo dei docenti e del personale ATA al pomeriggio mentre le poche risorse aggiuntive (3,6 milioni nel 2013 e 11,4 nel 2014) sarebbero dedicate per l'acquisto di materiali didattici e per pagare la collaborazione esterna di cooperative e associazioni operanti nel territorio nell'ambito dell'istruzione, formazione e del sociale. Ancora una volta si attinge dal pozzo di San Patrizio del Fondo di Istituto che, giova sempre ricordare, è costituito da risorse contrattuali dei lavoratori della scuola e non è e non deve essere considerato un fondo per il funzionamento delle scuole e delle miriadi di interventi ''riformatori'' che si abbattono sugli insegnanti (dalle prove Invalsi, ai registri elettronici, ai Bes, ecc.). Sono soldi che dovrebbero fare parte integrante dello stipendio dei docenti come la Gilda chiede da sempre.
Ma alla base di queste scelte c'è la miope visione della classe politica italiana per la quale la scuola resta troppo spesso l'unico presidio territoriale con il quale affrontare una miriade di problematiche che toccano la famiglia, il sociale e parti fondamentali del welfare. Alla scuola tocca occuparsi di inclusione dei migranti, di marginalità sociale (abbandono scolastico, forte dispersione scolastica), di lavoro minorile, di rapporto con il mercato del lavoro, di droga, sesso, malattie, educazioni alla legalità, alla alimentazione, alla tolleranza, di somministrazione di formaci salvavita, ecc. Così la figura sociale, la natura professionale e lo status dei docenti stanno velocemente decadendo verso una generica professionalità con forti aspetti impiegatizi ed esecutivi in un generico ambito ''sociale'' che è chiamato a sostituirsi alla carenze dei servizi socio-sanitari, del welfare degli enti locali e dello Stato e in generale della famiglia.
Non ci piace assolutamente questo buonismo che sembra finalizzato al facile consenso politico di breve periodo e che può avere solo effetti disastrosi sul livello di preparazione delle giovani generazioni e che trasforma la scuola da Istituzione della Repubblica a un non luogo che sta tra il parcheggio giovanile, il centro sociale e la parrocchia. Serve ben altro per estirpare il fenomeno dell'abbandono scolastico, effetto di fenomeni di crisi sociale profonda e di deriva culturale che caratterizza alcuni territorio del nostro Paese. Serve una politica di welfare e di ordine pubblico seria che costruisca le effettive condizioni di pari opportunità per tutti i cittadini, padri, madri, figli e figlie soprattutto in quelle parti del territorio che sembrano essere governate da poteri ''altri''.
Gli edifici scolastici e non la ''scuola'' dovrebbero invece essere valorizzati e utilizzati in tutte le ore extrascolastiche come punti di riferimento territoriali per associazioni, iniziative sociali, sportive, eventi, conferenze. Dovrebbero diventare luoghi di incontro, confronto e aggregazione sociale al di fuori del tempo della ''scuola''. Ma per fare ciò serve una visione politica del territorio e risorse vere a favore degli enti locali, abissalmente distante dalla ideologia che innerva il miope pensiero della nostrana classe politica che reputa necessari la verifica e il potenziamento del tempo della ''scuola'', che comprende e definisce il tempo controllato e controllabile di discenti e docenti.
Condividi questo articolo: