La possibilità di insegnare una disciplina in lingua straniera nell' ultimo anno delle superiori è di difficile attuazione, dato il livello altissimo di certificazione richiesto. Mentre non sono utilizzati come risorsa in questo ambito i docenti di conversazione linguistica.
26 Febbraio 2014 | di Fabrizio Reberschegg
La riforma Gelmini, che ora dovrebbe essere a regime, obbligherebbe le scuole superiori ad attivare nell'ultimo anno l'insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera con massima attenzione per la lingua inglese. La metodologia adottata dovrebbe essere quella prevista per il CLIL (Content and Language Integrated Learning), creato nel 1994 è sinonimo di immersione linguistica nella pratica didattica. Si tratta di un obiettivo in sè giusto ma molto ambizioso, che doveva essere accompagnato da specifici percorsi di formazione per i docenti con oneri a carico dell'amministrazione e con particolare riferimento ai futuri docenti abilitati nelle classi di concorso di discipline non linguistiche che sono previste nei quadri orari dell'ultima classe degli istituti secondari di secondo grado. I geniali esperti del MIUR nella formazione linguistica hanno poi previsto che il livello di preparazione linguistica che i docenti dovessero possedere fosse il C1, un livello altissimo di certificazione linguistica, oggettivamente impossibile da riscontrare nella media dei docenti già in possesso di competenze linguistiche in inglese o nelle altre lingue comunitarie. Di fatto in Italia il CLIL viene usato, se va bene, per provare di impostare una o due unità didattiche nell'ultimo anno con i pochi docenti certificati che sono costretti ad insegnare solo nelle ultime classi di un istituto superiore. Negli altri paesi UE che praticano il CLIL il livello richiesto è di norma il B2 (il C1 è previsto di fatto solo nei percorsi universitari o postuniversitari). In Italia abbiamo voluto essere, sempre sulla carta, migliori dei nostri partner europei. Il solito italico narcisismo dell'esperto e del politico scolastico.
Abbiamo così un'altra riforma all'italiana, bella in astratto, impossibile da attuare nell'immediato soprattutto in una fase di contrazione delle risorse per le scuole e i docenti. Nei tavoli di trattativa la Gilda degli Insegnanti ha sempre contestato le modalità di attuazione della formazione dei docenti, la superficialità con la quale è stata imposto il CLIL in tempi eccessivamente ravvicinati e la confusione che esiste su cosa si intenda per metodologia CLIL nell'insegnamento. Dopo almeno tre anni dai tentativi di attuazione del CLIL ribadiamo la nostra posizione critica nella speranza che un futuro governo abbia il coraggio di rivederne complessivamente gli aspetti. Servono nuove risorse, serve una formazione di lungo periodo. Ma soprattutto si abbia il coraggio di ridimensionare il livello da C1 a B2 e si intervenga per utilizzare tutti i docenti di conversazione che sono stati progressivamente espulsi dai tecnici e professionali come risorsa che si può spendere per sostenere la metodologia CLIL a livelli decorosi, senza far finta e prendere in giro studenti e famiglie.
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