17 Febbraio 2017 | di Gianluigi Dotti
L’esigenza di anticipare i concorrenti e di “semplificare”, ad uso e consumo del grande pubblico, costringe la carta stampata, i grandi e piccoli network, i social ad utilizzare e gestire la mole imponente di dati a disposizione riportando solo le “impressioni e le emozioni” che questi dati producono. La convinzione diffusa è che il ragionamento e l’argomentare allunghino e rendano noiose le comunicazioni e che, rinunciando all’approfondimento, in modalità “usa e getta” si venda di più. Quindi la consegna è: scegliere titoli brevi e ad effetto, ridurre il numero delle battute (corto è meglio), privilegiare l’esposizione sintetica, limitare le informazioni e cercare di essere i primi a dare la notizia (anche omettendo le indispensabili verifiche).
Lo stesso modus operandi vale per la comunicazione, persino quella della stampa specialistica, che riguarda il sistema dell’istruzione e se ne è avuta conferma negli ultimi mesi del 2016 con la presentazione di alcuni studi recenti sul sistema scolastico italiano nel contesto europeo e mondiale come, ad esempio, il “Rapporto 2016 – Gli italiani e lo Stato” della Demos&pi e curato da Ilvo Diamanti, il rapporto “Education at a Glance 2016 - OECD Indicators” e i dati della Ragioneria generale dello Stato sugli stipendi del pubblico impiego nel decennio 2005-2015.
In questo “degradato” contesto il compito di un’Associazione professionale, quale è la Gilda degli Insegnanti, è quello di approfondire, analizzando e argomentando i dati disponibili al fine di comprendere la complessità del reale, che è sempre necessaria per decidere sul dafarsi.
Si può iniziare con il periodico rapporto dell’OECD: “Uno sguardo sull’istruzione: indicatori dell’OCSE” che, tra l’altro, presenta i dati sull’investimento¹ in istruzione dei paesi aderenti, secondo i quali le somme destinate all’istruzione in Italia sono il 3,9% del PIL, inferiore dell’1,3% alla media OCSE, che è del 5,2%². Se si passa al rapporto tra la spesa pubblica complessiva e la parte dedicata all’istruzione in Italia si ha un valore del 7,4% contro la media OCSE dell’11,6% (ben il 4,2% in meno). Per quanto riguarda l’investimento in istruzione l’Italia è il fanalino di coda dei paesi OCSE ed è considerevole la somma che ogni anno manca al bilancio del MIUR, allontanando così la scuola italiana dalla media dei paesi OCSE.
Proprio per questo i risultati dei quindicenni italiani (OCSE-PISA 2015) che collocano l’Italia a metà della classifica di tutti i 72 paesi partecipanti: sotto la media in scienze (481 punti contro 493) e in lettura (485 contro 493) ma in media per la matematica (490), andrebbero valutati e commentati alla luce di questi dati economici.
Il grande divario nell’investimento finanziario registrato dall’OECD incide sui risultati dei quindicenni, ma questi ultimi sono molto più positivi in relazione al gap delle risorse. L’ipotesi è che il lavoro degli insegnanti italiani limiti i danni che il disinteresse (o l’accanimento riformistico) della classe politica provoca alla Scuola italiana.
La conferma di ciò si ha dalla lettura del Rapporto della Demos&pi³ dal quale emerge che nella classifica del consenso sociale verso le istituzioni pubbliche subito dopo le Forze dell'ordine (oltre 7 cittadini su 10) troviamo l’istituzione Scuola (con la S maiuscola), che gode del 54% del consenso (in aumento rispetto al 2010, ma in lieve calo nel 2016, l’anno della Buonascuola). Grande credibilità ha pure la Scuola pubblica statale rispetto alla privata, infatti l'indice di propensione al privato riguarda una parte del tutto minoritaria degli italiani (intorno al 24%, in regresso nel 2016).
Nella generale crisi di credibilità verso tutto ciò che è pubblico: ad esempio lo Stato perde 10 punti percentuali, la magistratura 12, in calo anche i corpi intermedi come il sindacato, le banche, la UE, il Parlamento e i Partiti, la tenuta dell’istituzione Scuola pubblica statale è senza dubbio un fatto positivo.
Se, invece, si prendono in esame i dati sul servizio fornito dal sistema scolastico emerge che i soddisfatti non superano il 50% e che nell’ultimo anno, quello della prima attuazione della legge 107/2015, si attesta al 40%.
Questi dati vanno confrontati con quelli degli stipendi. L’OECD rileva che nel 2013 gli insegnanti italiani dell’infanzia guadagnavano circa 4.500 USD in meno della media OCSE (al cambio del 2013 circa 430€ al mese), quelli della primaria e della secondaria di I grado circa 8.000 USD (770€ mensili), quelli della secondaria di II grado circa 9.000 USD (860€ mensili). Oggi, dato il blocco del CCNL e dello scatto del 2013, il differenziale con la media degli stipendi OCSE è aumentato. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, poi, dal 2005 al 2015, mentre gli stipendi dei dipendenti della Presidenza del Consiglio dei ministri crescevano del 45%, quelli dei diplomatici del 37%, quelli dei magistrati del 28,4%, quelli del personale delle prefetture del 22,3% quello dei docenti aumentava di un misero 11,8%. In soldoni circa 200 euro che, suddivisi nei 10 anni, significano un aumento di 20 euro mensili.
Gli insegnanti italiani, che sono gli artefici della tenuta della Scuola come istituzione, risultano tra i meno pagati d’Europa e sono, addirittura, i più penalizzati tra i dipendenti pubblici italiani. La Gilda degli Insegnanti chiede un grande investimento di risorse nella Scuola italiana (almeno l’1% del PIL) e l’aumento degli stipendi dei docenti che li avvicinino alla media delle retribuzioni OCSE.
______________________________________________________
¹L’uso del termine investimento al posto di spesa, che viene invece utilizzato dall’OECD, non è casuale, ma voluto.
² I dati si riferiscono al 2012, come si può vedere dalla tabella allegata, ma la situazione non è migliorata negli anni successivi. La percentuale è rimasta stabile e il differenziale con la media europea è aumentato.
³ Luigi Ceccarini, Le Istituzioni. Il Papa e le forze dell’ordine in cima al consenso in crisi giustizia e Ue.
Ludovico Gardani, I servizi. Trasporti e scuola deludono e il privato non tira.
La tabella completa si trova in Italia – Country Note – Uno sguardo sull’istruzione 2015: indicatori dell’OCSE.
Condividi questo articolo: