Non punire chi copia non è solo uno sfregio alla giustizia sociale: plagiando e frodando di esame in esame si arriva ad avere avvocati che non sanno il codice, giornalisti che non conoscono l’italiano, medici che non sanno curare. Una società rotta nelle sue fondamenta.
28 Dicembre 2017 | di Marco Morini
Copiare a scuola è un’abitudine antica quanto la scuola stessa. Ma l’avvento del web, degli smartphone e di siti specifici rischia di far andare il fenomeno fuori controllo.
Professione Docente si è già occupato della questione. Nell’Aprile del 2012, Marcello Dei, in un’intervista in cui presentava il suo libro Ragazzi si copia. A lezione di imbrogli nella scuola italiana (Bologna, Il Mulino, 2011), segnalava come la debolezza etica della scuola generasse livelli di apprendimento modesti e come per gran parte degli adolescenti copiare fosse ormai considerato legittimo. Il professor Dei rifletteva inoltre sulla storica carenza di senso civico presente nel nostro Paese, ipotizzando come il fatto che la diffusione e la tolleranza del copiare a scuola fossero un altro segnale in tal senso. Da quell’intervista e dal libro di Dei sono passati poco più di 5 anni ma da allora molte cose sono cambiate. In peggio.
Anche ai lettori più attempati, cresciuti e maturati in severe scuole pre-sessantottine, sarà capitato di assistere (o di essere stati essi stessi protagonisti) di episodi di copiatura, di suggerimenti ai compagni, di “bigliettini” e di bisbigli durante i compiti in classe. Di fogli nascosti nei bagni, dell’uso della carta carbone per le versioni di latino e greco. Per le ricerche a casa ci si avvaleva di libri non indicati nel programma scolastico e dai quali si plagiava qualche frase. Non va dimenticato come le dimensioni e la struttura dei noti Bignami abbiano dato origine all’intero mercato dei cosiddetti “bigini”.
Nel tempo, l’evoluzione tecnologica ha più aiutato a copiare che a impedire di copiare. Le micro-fotocopie si sono affiancate ai “bignamini”, l’avvento del web di massa ha messo a disposizione di qualsiasi studente (quasi sempre tecnologicamente più capace dei propri insegnanti) miliardi di informazioni e di contenuti. E, se inizialmente, due clic permettevano massicci copia-e-incolla dal computer di casa, l’arrivo degli smartphone ha portato la possibilità di mettere in opera questi stessi meccanismi nella tasca dello studente – e quindi direttamente in aula. La sofisticazione è sempre più affinata: auricolari wireless nascosti tra le folte chiome degli studenti, utili quindi perfino per gli esami orali. Il contrattacco istituzionale è inevitabilmente in ritardo: il trito rito della consegna dei telefoni cellulari prima delle prove scritte (parafrasi: la consegna del primo cellulare, spesso il più vetusto) o la potenzialmente efficace – ma difficile e costosa – schermatura totale degli edifici scolastici dal traffico dati.
La piaga non si limita alla scuola ma investe in pieno anche l’università. Tuttavia, finora la scuola e le università italiane si sono parzialmente “salvate” grazie al criticato meccanismo di valutazione degli studenti, dove è ancora forte una componente di esami orali – nei quali è oggettivamente molto arduo barare. Invece, la spinta verso un modello anglosassone, specie nell’istruzione terziaria, fatta di paper, tesine ed esami spacchettati, ha aperto le porte a massicci tentativi di plagio. Non solo con copia-e-incolla che a volte possono essere facilmente smascherati da una semplice ricerca su Google o da software anti-plagio come Turnitin o CrossCheck, ormai in uso in molte università e anche in qualche scuola superiore. Ma dal ricorso a siti web che offrono la scrittura di tesi e paper, con offerte che partono da 20 euro per una tesina di geografia in lingua madre fino a oltre 10000 euro per una tesi di dottorato in discipline scientifiche. Il fenomeno è ormai talmente diffuso che in Gran Bretagna se ne è dibattuto persino in Parlamento e il quotidiano The Guardian si occupa ormai da mesi della questione. Per molto tempo, oltremanica e oltreoceano, si è creduto che il copiare a scuola fosse un fenomeno presente prevalentemente nei paesi mediterranei, il cui lassismo e il minor senso civico si rifletteva anche in un diverso approccio all’autorità scolastica e universitaria. Una certa tradizione calvinista sembrava mettere invece al riparo i paesi anglosassoni e del Nord-Europa dove non di rado capitava che fossero gli stessi compagni di classe a denunciare azioni truffaldine commesse da altri studenti.
Una serie combinata di fattori ha però stravolto e accelerato la questione: la competizione esasperata, il costo degli studi, la proliferazione di scadenze ravvicinate, la sempre maggiore presenza di studenti stranieri (spesso non pienamente a proprio agio con l’inglese o con la lingua veicolare del Paese ospitante). La Quality Assurance Agency (QAA) britannica ha censito oltre 100 siti dai quali è possibile ordinare qualsivoglia paper scolastico o accademico, di lunghezza, complessità e ovviamente tariffa a misura dei propri obiettivi e delle proprie tasche. Si tratta di siti legali, a cui collaborano altri studenti e perfino ricercatori universitari, precarizzati dal sistema e costretti a ingegnarsi a far qualcosa per integrare i propri magri redditi. E, trattandosi di lavori originali commissionati ad hoc, questi sfuggono a qualsiasi controllo effettuato con software antiplagio – che si limitano a evidenziare corrispondenze tra il paper analizzato e fonti pre-esistenti.
Siti quali Oxbridge e UK Essays garantiscono voti alti e soddisfazione certa. In tre minuti si inseriscono tutte le informazioni necessarie alla redazione della propria tesi: paese di provenienza, grado di istruzione, descrizione sintetica del tema, lunghezza del paper, voto richiesto, scadenza entro la quale si richiede il lavoro (che è una delle due variabili di prezzo più significativa, l’altra il livello di istruzione). La sola UK Essays ha dichiarato di aver venduto nel 2016 circa 16000 contenuti, in crescita esponenziale rispetto ai circa 10000 del 2015. Il sito inoltre si avvale di quasi 3500 collaboratori freelance.
Il ricorso a questo tipo di sotterfugi non sfugge solo ai software antiplagio, ma anche ai docenti stessi. Che magari si accorgono anche dell’inattesa buona prestazione di questo o quell’altro studente, ma non possono dimostrare che questa dipenda dal ricorso a illeciti aiuti esterni e non a un genuino miglioramento dello studente stesso.
E’difficile a questo punto immaginare possibili argini a un fenomeno che va di pari passo con lo sviluppo tecnologico, la precarizzazione del lavoro scolastico e accademico e la crescente competizione universitaria e il costo degli studi. Sicuramente, mantenere (nel caso italiano) o reintrodurre (nel caso anglosassone) una significativa quota di esami orali aiuterebbe a tenere sotto controllo il fenomeno o comunque ad avere dei presidi valutativi dove il ricorso a questi siti e ad altri strumenti di plagio sarebbe sostanzialmente inutile. Il lavoro più grande andrebbe però fatto a livello etico: rendere gli studenti consapevoli dell’immoralità di certi comportamenti, dedicare all’argomento ore di lezione specifiche, punire severamente gli studenti colti in flagranza. Il valore dell’esempio sarebbe fondamentale: sappiamo però quanto siano frequenti i plagi nelle pubblicazioni accademiche – anche qui la necessità di pubblicare a tutti i costi fa cadere tanti in tentazione.
Più di tutto, forse, servirebbe usare a proprio vantaggio l’idea stessa – vagamente neoliberista - della competizione perenne: far capire agli studenti che il loro compagno che copia non è altro che qualcuno che otterrà il loro stesso passaggio d’anno ma con uno sforzo molto minore. Otterrà la loro stessa maturità avendo studiato un decimo di loro. Entrerà nell’università desiderata avendo copiato. Mentre loro, magari, resteranno fuori. E lo stesso vale per l’università, per l’accesso alle professioni, per la realizzazione o il tramonto delle aspirazioni giovanili.
Non punire chi copia non è solo uno sfregio alla giustizia sociale: plagiando e frodando di esame in esame si arriva ad avere avvocati che non sanno il codice, giornalisti che non conoscono l’italiano, medici che non sanno curare. Una società rotta nelle sue fondamenta. Ancora una volta, ecco ergersi visibile e cruciale il ruolo della scuola.
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