Legge di Bilancio 2018: poche categorie salvate dall’ aumento dell’ età pensionabile.
28 Dicembre 2017 | di Rosario Cutrupia
Nella legge di Bilancio per il 2018 il Governo ha sterilizzato l’aumento dei requisiti per il pensionamento legati all’aspettativa di vita (per il biennio 2019/2020, 5 mesi in più rispetto al 2018) solamente per alcune categorie di lavoratori dipendenti che svolgono attività particolarmente gravose e usuranti. Tra queste categorie figurano le maestre e i maestri di asili nido e scuola dell’infanzia, che, in alcuni casi e con una riduzione dell’assegno pensionistico, possono anticipare la pensione a 63 anni di età (APe sociale).
Sono esclusi tutti gli altri docenti per i quali è previsto l’aumento dovuto alla speranza di vita: un iniquo allungamento dell’attività lavorativa che aumenterà gradualmente con cadenza biennale.
Ricordiamo che dal 1° gennaio 2019 si potrà andare in pensione con una anzianità di servizio di almeno 43 anni e 3 mesi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne: un incremento di ben 5 mesi rispetto al 2018. E non andrà meglio per le pensioni di vecchiaia, quelle che si acquisiscono per raggiunti limiti di età e con almeno 20 anni di contributi; dal 2019 serviranno 67 anni di età che diventeranno più di 69 nel 2040.
La Gilda degli Insegnanti, che nel 2011 è stata l’unica organizzazione sindacale rappresentativa della scuola a scioperare contro la riforma Fornero, continua con coerenza a sostenere che, per la specificità della professione docente, tali requisiti sono insostenibili sia dal punto di vista fisico che psichico. Con gli epocali cambiamenti in atto, infatti, non è pensabile immaginare una scuola in cui i docenti invecchino nelle aule fino a settant’anni.
La categoria degli insegnanti italiani rispetto a quelli dell’Unione europea è la più anziana (i due terzi dei docenti superano i 50 anni di età) e anche la meno tutelata dal punto di vista della salute. Rispetto al personale delle altre amministrazioni, gli insegnanti sono più soggetti al rischio di patologie psichiatriche e sono più esposti a rischio oncologico per immunodepressione da stress cronico.
Secondo lo studioso Vittorio Lodolo D’Oria, esperto di medicina del lavoro, che da oltre 25 anni osserva con particolare attenzione le condizioni di salute dei docenti:
“Non esiste infatti altra professione il cui rapporto con gli utenti, e per giunta sempre gli stessi, avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 9 mesi all’anno, per cicli di 3-5 anni. In questa particolarissima tipologia di rapporto per di più l’insegnante diviene nel tempo anagraficamente più vecchio, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) si mantiene giovane. E’ inoltre perennemente asimmetrico, numericamente svantaggiato”.
Il forte logoramento psicofisico, che interessa tutti i docenti senza particolari differenze tra gli insegnanti dei diversi ordini e gradi di scuola, è causato da una serie di condizioni stressogene: “Il rapporto con gli studenti e i genitori, le classi spesso troppo numerose, la situazione di precariato che si protrae per anni, la costante delega da parte delle famiglie, l’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, il continuo susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e, non ultima, la scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica”.
La Gilda chiede pertanto alle forze politiche di inserire nel programma della prossima legislatura la riforma radicale della legge Fornero perché, di fronte ad un mercato del lavoro frammentato e fondato su precarietà e contratti a tempo determinato, non possiamo accettare un futuro di anziani costretti a lavorare fino ed oltre i settant’anni non potendo versare i contributi sufficienti per andare in pensione anticipatamente. Serve una rifondazione del sistema pensionistico soprattutto per consentire ai giovani che tentano di entrare ora nel mercato del lavoro di raggiungere la quiescenza ad una età non superiore a 65 anni (l’età media negli altri Paesi europei è ora di 63 anni). L’abbassamento dell’età per la pensione dovrebbe essere applicato per tutti i docenti e possibilmente anche prima dei 63 anni.
È impossibile immaginare che un docente abbia sempre le stesse capacità psicofisiche per reggere il complesso e impegnativo lavoro in aula, soprattutto in quelle realtà socialmente complicate e difficili o nei settori della formazione e istruzione che necessitano di maggiori competenze relazionali e di aggiornamento professionale. Bisogna evitare che lo stress e la stanchezza, legati ad un lavoro in cui i casi di burnout sono maggiormente diffusi, abbiano ricadute negative sulla scuola e sugli allievi.
Perciò la Gilda :
- chiede di riconoscere come lavoro usurante l’insegnamento per tutti i docenti che lavorano in aula con gli allievi;
- propone che i docenti possano ottenere negli ultimi anni di carriera prima del pensionamento una riduzione delle ore di insegnamento frontale dedicando le ore residue ad altri compiti funzionali all’insegnamento: attività di tutoraggio, organizzazione dei progetti, definizione dei contenuti del PTOF, figure strumentali;
- suggerisce di concedere a coloro che si trovano nell’arco dei 5 anni dal raggiungimento del requisito pensionistico, la possibilità di cumulare metà della pensione maturata con servizio a part-time. Ciò consentirebbe di favorire un turnover adeguato con i nuovi docenti e di ridurre il peso delle risorse destinate al FIS (Fondo dell’Istituzione Scolastica) per il pagamento del lavoro accessorio per funzioni diverse da quelle previste dal lavoro di insegnamento.
- auspica che venga introdotta la possibilità di servizio part-time volontario a parità di stipendio negli ultimi cinque anni di servizio prima dell’età prevista per la pensione di vecchiaia.
Soluzioni di questo tipo, già adottate in altri Paesi europei, consentirebbero di liberare rapidamente cattedre a tempo parziale agevolando l’ingresso di insegnanti giovani e rendendo contemporaneamente meno gravoso il lavoro dei docenti più anziani prossimi alla pensione.
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