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Numero 1 - Gennaio 2019
Numero 1 Gennaio 2019

Come affrontare i rischi giovanili nel web

Ultima parte del viaggio nel mondo del web, a cura della dottoressa Michela Gallina, che ci ha guidato a comprendere i rischi per i giovani. Nella puntata conclusiva le indicazioni per gli adulti: genitori e insegnanti


26 Dicembre 2018 | di Michela Gallina

Come affrontare i rischi giovanili nel web I genitori
E’ necessario che i genitori affianchino i figli quando muovono i primi passi nella rete, così come li hanno aiutati a muovere i primi passi per la strada, tenendoli per mano, mostrando loro le condotte corrette, essendo loro d’esempio, indicando i pericoli e così via, in modo da poter capire con quali criteri si muovono, se sono prudenti. Altrettanto gradualmente li devono guidare nell’uso dei social, spiegando di volta in volta quali sono i rischi, cosa può essere condiviso e con chi e soprattutto spingendo a privilegiare sempre il contatto diretto con le persone, l’unico che consente di sviluppare le abilità sociali reali. Nel mondo reale potranno imbattersi in difficoltà, frustrazioni, delusioni, ma anche queste sono esperienze fondamentali e imprescindibili nella vita, sono tappe che non possono e non devono essere saltate perché allenano alla tolleranza della frustrazione e a ridimensionare l’idea che i bambini e i ragazzi hanno di se stessi. La tentazione dei ragazzi “iper-protetti” (dove il concetto di protezione viene inteso in senso riduttivo), sarebbe quella di rifugiarsi nell’illusoria realtà del web, ma i genitori devono sollecitare ad affrontare le difficoltà evitando di favorire o consentire comodi comportamenti di evitamento, altrimenti l’eccesso di protezione veicola un messaggio di scarsa fiducia nelle possibilità di farcela dei figli, l’eccessivo accudimento rende insicuri.
Gli adulti devono mettere i ragazzi in guardia dal condividere, soprattutto con gli sconosciuti, informazioni personali che consentano una loro rintracciabilità, quali indirizzi, numeri di telefono, immagini che possano solleticare le fantasie di pedofili e malintenzionati che agiscono impuntiti ed indisturbati, garantiti dall’anonimato che li rende ancora più pericolosi.
In realtà, siccome anche il cyberbullo lascia delle tracce nel web, esiste la possibilità che venga bannato e anche identificato e denunciato. I genitori devono far capire l’importanza di segnalare soprusi e comportamenti persecutori ed affiancare i figli in questa azione, segnalare i fatti alla polizia postale o comunque alle forze dell’ordine. E’ essenziale far capire la differenza esistente fra la denuncia civile e il vile “fare la spia”.
Perché questa educazione sia possibile è però necessario che genitori siano in primis informati e consapevoli dei rischi che i loro figli corrono, altrimenti possono colludere con gli stessi imbrogliando il provider.
E’ necessario poi trovare il tempo di dialogare con i figli, senza giudicarli, cercando prima di tutto di ascoltarli empaticamente. I ragazzi vittime devono avere la certezza che i genitori siano sempre dalla loro parte e prenderanno provvedimenti per tutelarli pur riconoscendone gli errori. Quindi se vedono segni di disagio, in prima battuta devono evitare in ogni modo giudizi o punizioni, altrimenti c’è il rischio che i figli non si confidino e le situazioni si trascinino nel tempo con le relative conseguenze. E poi devono denunciare gli atti persecutori di bullismo.
 
I docenti
Si pretenderebbe che gli insegnanti si occupassero anche dell’educazione all’uso della rete, ma in realtà i ragazzi trascorrono molto più tempo a casa, in famiglia, ed è lì in particolare che utilizzano gli strumenti elettronici, quindi è sulle famiglie che bisogna intervenire oltre che, ovviamente, sui ragazzi di cui si occupano le forze dell’ordine con interventi mirati nelle scuole.
 
Le istituzioni scolastiche
Le istituzioni in cui vengono attivati gli “Sportelli Ascolto”, estesi anche alle famiglie, si occupano di dare consigli ai genitori su come gestire l’uso del telefonino dei figli, altrimenti c’è il rischio che anche i genitori tendano a sottovalutarne i pericoli.
Molto importante è l’educazione socio-affettiva, quella che porta alla capacità di identificare le proprie ed altrui emozioni e ad esprimerle, la presenza di amicizie vere e reali, sono fattori di protezione.
Attraverso gli sportelli ascolto e i cic si possono realizzare attività mirate allo sviluppo delle social skills nei gruppi classe, ma anche lo stesso studio dei classici della letteratura offre spunti infiniti di approfondimento ed è uno strumento molto potente per far entrare in contatto con il proprio sé, con le proprie ed altrui emozioni e per affinarne il linguaggio. Certo questo lavoro diventa più semplice se in famiglia c’è un’attenzione alle relazioni.
Comunque è importante per i ragazzi riuscire a chiedere aiuto quando è il momento, chiederlo agli adulti di riferimento: insegnanti e genitori. I ritmi frenetici di vita restringono sempre più gli spazi di dialogo all’interno della vita familiare.
 
Le regole
I limiti e le regole strutturano e definiscono l’essere umano e l’identità del sé, i suoi confini e lo delimitano rispetto all’esterno. Questa finitezza fa tramontare la prima percezione illusoria ed ingannevole di onnipotenza infantile ed è un momento importante di crescita ed evoluzione psichica dell’individuo. Le regole dunque descrivono dei recinti, dei confini invisibili entro i quali il bambino si può muovere al sicuro. I limiti posti dai genitori, inizialmente agiscono dall’esterno, poi un po’ alla volta vengono interiorizzati e fungono da “genitore interno” (introiettato) quindi guidano il soggetto dal di dentro fino a determinarne l’autoregolazione. Ma se questa fase viene saltata, ai bambini prima e ai ragazzi dopo mancherà un passaggio evolutivo fondamentale.
Quindi è importante che da parte degli adulti ci sia fermezza nella definizione di norme e divieti, perché la fermezza dà sicurezza come sottolinea Massimo Recalcati. In: “Cosa resta del padre”, riprende il concetto Lacaniano di “evaporazione del padre”, inteso nella sua accezione normativa: colui che simbolicamente detiene lo scettro fallico del potere e constata come il ruolo che ha retto per millenni la società ora stia svanendo. Nel passaggio da un sistema di rappresentazione della funzione genitoriale normativa ad una accudente, abbiamo smarrito la capacità di vedere negli ostacoli delle opportunità di crescita, è quanto sostenuto anche da Gustavo Pietropolli Charmet in “Fragile e spavaldo”. La conseguenza di un eccesso di accudimento crea una generazione di “nuovi narcisi”, molto fragili, incapaci di tollerare le frustrazioni, dipendenti dal rispecchiamento che l’ambiente riflette di loro. Sono i “cuccioli d’oro”, spesso figli unici, adorati e vezzeggiati da tutti i familiari, un tempo si sarebbero definiti semplicemente: “viziati”, la cui unicità ne aumenta sproporzionatamente il valore e quindi li rende un capitale da proteggere e salvaguardare a tutti i costi. Per millenni invece l’educazione si era retta sulla convinzione che il bambino fosse un selvaggio da civilizzare, da sottomettere anche attraverso la paura, il dolore, il differimento della gratificazione dei bisogni, il sacrificio; pratiche che portavano gradualmente il soggetto a metabolizzare le esperienze dolorose, a considerarle un aspetto normale dell’esistenza. L’impatto con la frustrazione veniva affrontato senza eccessivi scompensi sul piano della percezione di sé e, anzi, fortificava il carattere.
Nella società “ipermoderna” invece, se l’immagine riflessa dal contesto non incontra le aspettative, la frustrazione che ne deriva è insopportabile e produce reazioni di rifiuto e rabbia intense, quelle che sempre più frequentemente vediamo scatenarsi nei confronti dei docenti, perché l’obiettivo immediato dei fragili figli-narcisi è il successo a tutti i costi, ne hanno bisogno, ma soprattutto sono convinti di averne diritto. Il minimo insuccesso scolastico diventa una ferita narcisistica inaccettabile ed insormontabile, scatenante reazioni di rabbia violente verso chi l’ha procurata.
La scuola ha, tra le sue funzioni istituzionali, anche quella valutativa, è il primo banco di prova in cui il bambino e il ragazzo si misurano e confrontano con gli altri ed è quindi il contesto in cui cade quell’illusione di unicità e straordinarietà che l’educazione familiare ha prodotto.
E’ qui che si gioca una carta fondamentale per il docente: se i genitori da un lato premono nella convinzione distorta dell’educazione accudente e permissiva, supportati da campagne di politiche scolastiche che puntano a spianare qualsiasi ostacolo e difficoltà, a garantire il successo formativo anche se non meritato, indipendentemente dallo sforzo, dall’impegno e dalle capacità, dall’altro l’insegnante non deve rinunciare al mandato istituzionale e pretendere il rispetto delle regole per il bene degli studenti e della collettività, riappropriandosi di quell’autorevolezza che gli è data istituzionalmente. Altrimenti, mutuando il concetto di Recalcati, l’insegnante rischia di somigliare inesorabilmente ad un “padre castrato” che non è più oggetto né di paura né di ammirazione.
 
 
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Michela Gallina, Psicologa clinica, Psicoterapeuta familiare-relazionale, Psico-traumatologa (Membro Ordinario dell’Associazione per l’EMDR in Italia), Counselor e Mediatrice familiare.
 
 
 


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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Francesca Balsano, Roberto Casati, Alberto Dainese, Giuseppe Falsone, Michela Gallina, Marco Morini, Adriano Prosperi, Adolfo Scotto di Luzio, Liliana Segre, Fabrizio Tonello, Paola Tongiorgi, Ester Trevisan.