Al di là delle convinzioni ideologiche, del dibattito pedagogico e delle posizioni più radicali, la crescita dell’educazione parentale deve fare anche riflettere sullo stato e sui servizi dell’offerta scolastica tradizionale.
26 Dicembre 2018 | di Marco Morini
Alzarsi con calma, fare lezione in pigiama sul divano di casa, avere la propria mamma come insegnante. Potrebbe essere il sogno di molti bambini, è realtà per migliaia di essi. Si chiama homeschooling. In italiano: educazione parentale. Non esistono dati aggregati certi, ma si stima che circa duemila bambini in Italia siano istruiti in questo modo. Un numero in crescita, solo cinque anni fa il Miur censiva in meno di un migliaio le famiglie che non avevano iscritto i figli alla scuola elementare e che li educavano a casa. In paesi come Brasile, Croazia, Francia, Germania e Turchia (solo per citarne alcuni) la pratica è illegale e i genitori che sottraessero i figli all’obbligo di mandarli a scuola sarebbero passibili di arresto. In Italia, invece, a dispetto di quello che molti potrebbero pensare, si tratta di un comportamento legale e sfrutta una probabile lacuna del dettato costituzionale. L’articolo 34 della Costituzione italiana sancisce infatti che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, ma non specifica in dettaglio l’obbligo di iscrizione a una scuola pubblica o privata. Per questo, chi vuole educare da solo i propri figli deve semplicemente comunicarlo ogni anno alla direzione didattica territoriale. Su richiesta delle famiglie, poi, i bambini possono sostenere un esame a fine anno per testare il grado di istruzione, necessario nel caso vogliano ottenere un diploma o rientrare a scuola l’anno successivo.
Se in alcuni Paesi è illegale e in Italia è ancora molto marginale, negli Stati Uniti della deregulation scolastica si stimano oltre due milioni di ragazzi educati a casa. E in Europa il Paese con la maggiore crescita dell’homeschooling è la Gran Bretagna. Qui si stimano 50mila bambini attualmente educati a casa, in crescita del 40% rispetto a tre anni fa (nel 2015 se ne contavano circa 34mila). Ma è una stima al ribasso perché registra solo i bambini ritirati da scuola, se un giovane non si è mai iscritto non risulta censito. Nel Regno Unito sono numerose le associazioni fondate da genitori impegnati nell’educazione parentale e qui più che altrove è evidente un’impronta ideologica di forte contrasto alla pedagogia “istituzionale”. I genitori britannici che credono nell’homeschooling tengono molto a presentarsi come fautori di un’istruzione “costruita attorno al bambino” e ai “suoi desideri e alle sue esigenze”. Senza quindi lezioni “formali” e standardizzate tipiche di docenti e di istituti scolastici che non terrebbero in conto le specifiche esigenze di ciascun scolaro.
Esistono molti approcci all’educazione parentale. Alcuni genitori rispettano il programma ministeriale, altri seguono un percorso completamente diverso assecondando gli interessi e le curiosità dei figli, si cita molto l’intento di “imparare attraverso il gioco”, spesso reperendo materiali scolastici su Internet. Alla base di una scelta così radicale vi sono quasi sempre cattive esperienze personali maturate nei confronti dell’istituzione scolastica, sia da parte dei bambini che da parte dei genitori. Episodi di bullismo, l’eccessivo turnover degli insegnanti, classi troppo affollate, litigi coi docenti, strutture scolastiche fatiscenti.
Il movimento per l’educazione parentale nasce e prende vigore negli anni ’70, sulla scia degli scritti del pedagogo alternativo statunitense John Holt che sosteneva come ogni bambino dovesse semplicemente seguire i suoi interessi naturali e che grazie a un ricco assortimento di risorse messo a disposizione dalle famiglie, questi avrebbe imparato da solo. Dopo un periodo di calo sostanziale, l’homeschooling ha poi ritrovato vitalità e adepti circa 15 anni fa quando l’espandersi della Rete ha permesso a molte famiglie di trovarsi e organizzarsi e anche ai materiali educativi a essere più facili da reperire e condividere. I numerosi critici dell’educazione parentale sottolineano come questa sconti una visione romantica dell’istruzione, un passatismo incapace di confrontarsi con il presente e anche un curioso “spregio per le città” (il 95% delle educazioni parentali britanniche avviene in aree rurali o suburbane), qui vista come metafora negativa fautrice di pericolo ed eterogeneità culturale. L’educatore e filosofo Michael Apple ha paragonato l’homeschooling a una setta che rigetta il confronto, il multiculturalismo e in generale “l’altro” e che riflette quelle comunità chiuse di persone che amano discutere solo tra loro, tipiche del tempo dei social media e di quei gruppi che nascono via Internet tra persone che la pensano allo stesso modo.
Oltre a essere una scelta discutibile e dall’evidente sapore “settario” è spesso anche costosa: non tutte le lezioni possono essere impartite dai genitori e quindi occorre pagare insegnanti che vengano a domicilio. Inoltre, almeno uno dei due genitori deve avere molto tempo libero a disposizione, per cui l’homeschooling sembra per ora ristretto a una cerchia di famiglie agiate. Al netto della qualità dell’istruzione, gli psicologi e gli educatori mettono in evidenza un altro rischio specifico: quello che i bambini non vengano educati alla socializzazione e che una volta cresciuti non siano capaci di relazionarsi con gli altri. Inoltre i bambini sono privati di tutta una serie di esperienze possibili (eventi, situazioni, amicizie) che fanno parte del tradizionale bagaglio di crescita individuale mediato con altri.
L’Isola di Wight è il territorio britannico con la più alta percentuale di bambini in educazione parentale: 1 su 50 è la media tra i residenti in età scolare. In questo caso è tuttavia evidente anche una correlazione con l’oggettiva situazione delle scuole pubbliche e private: un rapporto ministeriale dello scorso anno metteva infatti in luce come più del 20% delle scuole dell’isola si trovasse in stato “semi-fatiscente”. Al di là quindi delle convinzioni ideologiche, del dibattito pedagogico e delle posizioni più radicali, la crescita dell’educazione parentale deve fare anche riflettere sullo stato e sui servizi dell’offerta scolastica tradizionale.
Condividi questo articolo: