Con il convegno del 4 di ottobre vogliamo continuare la battaglia per la Storia che non riguarda solo la scuola, ma che coinvolge le basi della democrazia e il principio di uguaglianza del vivere in comunità.
27 Agosto 2019 | di Gianluigi Dotti
Il nostro sistema di istruzione e gli insegnanti hanno drammaticamente vissuto negli ultimi venti anni una serie continua di Riforme, che ogni responsabile del dicastero di viale Trastevere ha definito “epocali”, motivandole con la necessità della scuola di rincorrere una società in continuo mutamento.
In realtà, tutte le recenti “Riforme epocali” hanno avuto il movente economico di ridurre la spesa dell’istruzione e hanno inseguito, non ciò che davvero necessita alla società, intesa come insieme di corpi sociali, ma la soddisfazione dell’utente, piegandosi supinamente alla logica prevalente nella società dei consumi.
Nessuna delle “Riforme epocali” del sistema di istruzione italiano di questi ultimi anni ha avuto alla base un disegno organico, un “asse culturale”, che risponda a quanto avevano stabilito i padri costituenti, cioè che la scuola fosse l’istituzione alla quale l’intera società affida il compito di formare il cittadino del futuro, dando all’insegnante un mandato sociale per trasmettere i contenuti culturali e le conoscenze che permetteranno di continuare sulla strada tracciata da chi ci ha preceduto.
Proprio da questa constatazione prende spunto la riflessione che l’Associazione Docenti art. 33 e la Gilda degli Insegnanti intendono proporre agli eminenti relatori: Andrea Giardina, Giovanni De Luna, Adriano Prosperi e Adolfo Scotto Di Luzio nel Convegno nazionale dal titolo “Quale futuro senza la Storia”, organizzato per celebrare la Giornata mondiale dell’Insegnante del 2019 che si terrà il 4 ottobre presso la Sala delle Carte Geografiche in Via Napoli 36 a ROMA. L’occasione è propizia per provare ad individuare un possibile “ asse culturale” che permetta alla scuola di svolgere, anche in questa prima parte del terzo millennio, il ruolo che la Costituzione le ha assegnato.
Il concetto di “asse culturale”, per come interessa a noi, è stato ben definito in un saggio di Massimo Bontempelli, pubblicato nel 2000 sulla rivista Koiné dal titolo “Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana”. Bontempelli sostiene che l’asse culturale “è un orizzonte unitario di valori cognitivi e normativi che rappresenta un modello di riferimento comune per una molteplicità di saperi di cui viene organizzata la trasmissione”, esso “acquista una concreta fisionomia, educativamente funzionale, quando viene espresso, in ambito scolastico, da un’area disciplinare specifica”.
L’autore, dopo aver lamentato i “tempi meschini” nei quali le riforme della scuola sono impostate “a prescindere da ogni riferimento a contenuti culturali”, ricorda come la prima vera Riforma della scuola (legge Casati 1859) “fu basata su un asse culturale incardinato nell’area disciplinare complessiva dell’insegnamento linguistico”. L’insegnamento della lingua italiana rispondeva ad un preciso bisogno della società: “quello di contribuire a formare la nazione attraverso il progressivo radicamento della sua lingua”.
Il passo successivo fu quello di Gentile nel 1923, che fondò l’architettura del sistema su un nuovo “asse culturale” rappresentato dalla filosofia chiamata, giusto o sbagliato che fosse, a “dare compiuto senso intellettuale all’educazione della borghesia dirigente, a determinare la gerarchia dei diversi livelli di educazione presenti nel nuovo sistema scolastico”.
Concordiamo con Bontempelli anche quando sostiene che la premessa per un nuovo “asse culturale” è “il totale azzeramento di tutto l’attuale tecnicismo didattico, di tutti i discorsi in lingua pedagogese, di tutte le escogitazioni di sempre più farraginosi marchingegni di valutazione, e di tutti i corsi idioti sulle normative scolastiche” perché è necessario un “radicale spostamento di attenzione sui contenuti conoscitivi ed etici di cui si ritiene necessaria la trasmissione a scuola”.
Se tutto questo è vero, e se la situazione rispetto all’inizio del millennio è addirittura peggiorata, quale potrebbe essere oggi un “asse culturale” per una riforma della scuola che, senza negare il passato, sia in grado di traghettare le nuove generazioni, in questa fase di procellosa transizione, verso il futuro?
L’individuazione del nuovo “asse culturale” parte dalla ricognizione dei bisogni educativi a cui dovrebbe rispondere e presuppone l’analisi e la comprensione delle dinamiche di sviluppo della società. A differenza della vulgata contemporanea noi crediamo, come Bontempelli, che la società dei consumi caratterizzata “dalla più elementare pulsionalità competitiva” e dalla “più volgare attenzione alla sola utilità” abbia bisogno di “un’educazione al disinteresse e alla cooperazione” perché il mercato globale “crea il bisogno di un’educazione alla memoria delle possibilità antropologiche cancellate, senza le quali l’uomo diventa un burattino sempre più inadatto a fronteggiare la complessità della sua vita”.
Il primato dell’economia, che è diventato dell’economicismo, rende necessaria un’educazione allo “spirito critico capace di relativizzare” questo primato “e di non sottomettersi alla sua autoreferenzialità, senza cui nessuno contrasterà gli esiti catastrofici dello sviluppo, a cominciare dalla rovina dell’ambiente naturale”. Oggi serve un’educazione che all’insensatezza generata dall’economicismo “contrapponga l’elaborazione e la conquista di orizzonti di senso”.
In questo contesto il nuovo “asse culturale” non può che essere quello della disciplina Storia, perché un’educazione alla memoria di possibilità antropologiche riguarda l’intero spettro del processo educativo non solamente un suo settore specifico.
Nella odierna società dei consumi che per sua natura, come ricorda Bauman, ha quella di cancellare, scartare, tutto ciò che è passato al fine di alimentare all’infinito il mercato, la proposta di riformare il sistema d’istruzione intorno all’asse culturale dell’insegnamento delle discipline scolastiche costituito dalla conoscenza storica consente, recuperando le possibilità antropologiche del passato, di mantenere la potenzialità di formare lo spirito critico nelle nuove generazioni.
La capacità di esprimere giudizi di senso nasce, infatti, dalla possibilità di sviluppare il confronto tra “mondi” differenti conosciuti e “vissuti” nelle loro caratteristiche antropologiche. Possibilità che le generazioni a cavallo del passaggio al terzo millennio, i cosiddetti nativi digitali, non hanno perché interamente dentro la “Rivoluzione informatica” e “cittadini esclusivi” della società dei consumatori, ai quali la famiglia non riesce più a garantire la trasmissione della memoria né individuale né collettiva.
Per le nuove generazioni la possibilità di acquisire le conoscenze necessarie ad esercitare il pensiero critico, che nasce dal confronto con il passato, è possibile solo nella dimensione scolastica, in particolare in un sistema d’istruzione organizzato intorno all’asse culturale della disciplina storica, perché tutto quello che li circonda appartiene sia nella forma che nella sostanza alla “società dei consumatori”.
Anche la cancellazione dello scritto di Storia dalla prima prova dell’Esame di Stato è l’epifenomeno di questa politica scolastica totalmente prona alla “filosofia” della società dei consumi per la quale l’unico spazio temporale è quello presente, negando così sia la dimensione del passato sia quella del futuro.
La forte contestazione di questa scelta ministeriale, che si è concretizzata nell’appello “La Storia è un bene comune” proposto da Liliana Segre, Andrea Camilleri e Andrea Giardina, al quale ha dato un contributo anche la nostra Associazione e la Gilda degli Insegnanti, ha limitato i danni costringendo il Miur a inserire tra gli argomenti della prima prova scritta dell’Esame di Stato anche una parte dedicata alla Storia.
Con il convegno del 4 di ottobre vogliamo continuare questa battaglia che non riguarda solo la scuola, ma che coinvolge le basi della democrazia e il principio di uguaglianza del vivere in comunità, passando dalla fase difensiva a quella della proposta per fare della Storia il paradigma, l’asse culturale del nuovo sistema d’istruzione italiano.
Condividi questo articolo: