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Numero 5 - Novembre 2019
Numero 5 Novembre 2019

La pedagogia dell’ostacolo: il caso dei libri di testo

Dai libri autorevoli e impegnativi ai testi stringatissimi ai limiti dello snaturamento della materia.
Rimandi alla rete, attualizzazioni più o meno forzate, espedienti grafici, artifizi a scopo motivazionale. Libri che invecchiano in fretta. Per colpa nostra.


29 Ottobre 2019 | di Alberto Dainese

La pedagogia dell’ostacolo: il caso dei libri di testo Ho fatto il liceo a fine anni Novanta, quando Internet già c’era, anche se asserviva in misura più modica le nostre esistenze; non l’ho fatto ai tempi dei tempi, in ere geologiche quali il  Deamicisiano superiore o il Giolittiano inferiore. Ho vissuto, però, da epigono una delle ultime stagioni di quella “scuola buona” che nulla aveva a che spartire con la “buona scuola” che trasmettono ora su questi schermi, dietro la regìa di periti animatori (e animatrici) digitali.
 
Ebbene, quando sono a scuola mi occorre sovente di ricordare con affetto e gratitudine tanti buoni e bravi maestri che ho incontrato allora, pur con le loro umanissime fisime, pecche, fragilità, e gli aculei che a volte armavano il loro carattere, cose tutte verso le quali non sono (stato) cieco ma che trascolorano per la distanza, annichilite o impiccolite dallo spessore umano e culturale che era proprio di quest’insegnanti, pur ignari di presunte competenze europee di cittadinanza (immagino che sorrisini avrebbero sfoderato; forse il professore di greco avrebbe estratto il suo mai concluso Ateneo, per riconciliarsi con l’umanità attraverso un’immersione nelle cose belle e serie della vita...).


Mi vorrei soffermare qui, narrando qualche aneddoto, solo su un aspetto in particolare: la scelta dei libri di testo. Ora, è bene in via preliminare mettere a fuoco quattro punti fermi sulla situazione presente, prima di volgere lo sguardo all’indietro. In primis, oggi di libri di testo autorevoli ne circolano pochi: la maggior parte sono centoni di rimandi alla rete, schemi, disegni, mappe, gigantografie, e chi più ne ha più ne metta, in una corsa sunteggiante alla riduzione e alla confusione (e questo, si badi bene, nel pieno rispetto delle linee-guida ministeriali); in secundis, per molti di noi oggi la scelta è una non-scelta: il libro di testo, il medesimo in tutto l’istituto, viene spesso imposto dalla dittatura della maggioranza in seno ai dipartimenti disciplinari, proni ai dettami dirigenziali, e si sottrae insomma a una vera discrezionalità degna della costituzionale libertà d’insegnamento; in tertiis, ben pochi libri di oggi hanno serietà tale da poter essere adottati anche all’università (prima succedeva non troppo di rado: c’era osmosi tra scuola e accademia) o da potersi chiamare con metonimia eloquente col nome dell’autore che funge da eponimo (passami “il Tantucci”, consultiamo un attimo “il Guglielmino”, vediamo come svolge la dimostrazione “lo Zwirner” etc.); in quartis, molte piccole case editrici di qualità o specializzate sono sparite o sono state assorbite dai grandi colossi oligopolistici.
 
Non deliriamo troppo e torniamo sul seminato. Dicevo, i buoni maestri del tempo che fu e le loro scelte dei libri di testo, allora molto più demandate al singolo, libero docente.


Il primo anno di ginnasio la professoressa di lettere ci disse che sì, esisteva da qualche anno il Montanari, dizionario scientificamente più solido, redatto in un italiano meno toscaneggiante e più attuale, ma che il buon vecchio Rocci era di sicuro migliore per abituarci alla fatica e alla pazienza di un’attenta e non cursoria compulsazione (nella selva indistinta del carattere tipografico ben poco perspicuo). E così è stato: a parte chicche come “fo” per “faccio”, che tutti ricordiamo con un sorriso, quelle infinite ed estenuanti consultazioni da piccoli certosini, con le sudate carte che ci si appiccicavano ai polsi e un incipiente gibbo da amanuensi, son servite – eccome! – a insegnarci a cercare con calma e attenzione analitica, e a ricacciare indietro le lacrime di frustrazione quando perdevamo il rigo o non ne cavavamo un ragno dal buco.


Secondo anno, nuova professoressa, la quale s’incapriccia d’un bel florilegio di versioni latine (dato alle stampe da una minuscola casa editrice) che le sembrano più “decorose”, dato il livello facillimo di quelle del testo già acquistato. Allora non ci si lamentava di queste piccole spese, e non era tempo di sperperi neanche quello: solo, invece della ricarica del cellulare o della pay-TV, le famiglie preferivano spendere i denari per un libro in più... Ancora una volta, era all’opera quella pedagogia che nel titolo ho battezzato “dell’ostacolo”: versioni più ostiche, senza indicazione dell’opera da cui eran tratte, sicché non si poteva correre in biblioteca a spulciare una traduzione pubblicata, magari facendo appiglio a un nome proprio da reperire poi nell’indice.... Ma non è questo il motivo per cui ricordo l’episodio: è perché il libro era – come disse la nostra insegnante – “sporco”, ossia infarcito di errori di stampa. Si può ben immaginare la disperazione di noi poveri dragomanni in erba; ma lungi dall’accantonare il libro per resipiscenza tardiva e operosa, la docente se la rideva sotto i baffi che non aveva. C’era però tolleranza da ambo le parti, e ormai era diventato un gioco: la caccia all’errore.


Eccoci, dunque, alla professoressa d’italiano del triennio (così si chiamava, prima dell’allucinata follia della dicitura “secondo biennio e monoennio finale”, che purtroppo non esce da un film distopico sullo strapotere di burocrazia e relativa antilingua). Ebbene, costei ebbe la brillante idea di adottare e appiopparci un testo con cui non andava d’accordo pressoché su nulla, in quanto di vedute ideologiche del tutto opposte. Una volta le chiedemmo apertis verbis perché non ne adottasse un altro meno schierato; risposta alla Poirot: “Perché altrimenti come faccio a stimolare le vostre scelluline [sic] grigie?”. Capolavoro di pedagogia.


Veniamo però anche alle materie scientifiche. Prendiamo la chimica. Il professore ci faceva comprare un costosissimo mattone (non esistevano soglie di spesa) in adozione anche all’università. Lo è tuttora, sia di là che di qua dell’oceano. Libro ponderoso e molto denso, un’introduzione davvero corposa alla disciplina, per dei sedicenni. Di fatto poi ci assegnava solo delle parti da vedere obbligatoriamente sul manuale, per il resto spiegava a braccio – senza PowerPoint –, anche per due ore filate (e non perdeva il filo): gli piaceva, la chimica, si percepiva a pelle. Anche qui: perché adottare un libro così difficile? Non gliel’abbiamo mai chiesto ma ora capisco che c’era sempre lei all’opera, la pedagogia dell’ostacolo. Una volta ci disse: “Ma quanto bello è l’Atkins? Tenetelo sullo scaffale; sfogliatelo d’estate; non vendetelo, mi raccomando! Mi è appena arrivata la nuova edizione, non vedo l’ora di gustarmela in vacanza...”. C’era, insomma, all’opera anche la passione: passione per la chimica, per i libri ben fatti, per il sapere, per la sua trasmissione entusiastica – il cuore della scuola, insomma.


Passiamo alla fisica. La professoressa adottava l’Amaldi. Era un testo da liceo scientifico. Una volta un compagno linguacciuto glielo rinfacciò. Risposta: “Sarà anche da scientifico, ma 1) noi non siamo da meno, 2) ne facciamo solo alcune parti, ma quelle che facciamo voglio che siano rigorose e non un sussidiario”. Ancora una volta, ci veniva posto innanzi un ostacolo.


Ultimo esempio. Veniamo alla storia dell’arte. Abbiamo cambiato tre professoresse. Ognuna ha adottato un libro di testo diverso (allora la vinceva il docente su tutto: inutile obiettare che la classe aveva già un altro testo o che le famiglie avevano già comprato il tomo seguente). L’ultima arrivata si scandalizzò non poco quando la informammo che non usavamo l’Argan. “Ma come? Se non studiate voi sull’Argan, chi ci deve studiare?”. Tra l’altro, com’è ovvio per ragioni cronologiche, il libro era davvero datato, ma lo si reperiva ancora in commercio, anche in edizione “scolastica” (era identica a quella non scolastica: non immaginatevi apparati didattici o mappe concettuali: quelle le dovevi fare tu studente, mica come oggi!). A copertura degli ultimi decenni c’era un’appendice affidata ad altre mani.
 
In ogni caso, son proprio contento di essermi un po’ scervellato sull’Argan: quando lo leggevi capivi bene il famoso brano di Calvino sui classici ed eri sorpreso ma anche molto sollevato che persino un libro di testo potesse assurgere a classico. Potrà succedere ancora, in futuro? Guardiamoci intorno con sguardo equanime: rimandi alla rete, collegamenti a complesse e macchinose piattaforme, attualizzazioni più o meno forzate, espedienti grafici, artifizi a scopo motivazionale, testi stringatissimi ai limiti dello snaturamento della materia, gran confusione visiva e organizzativa (a scimmiottatura della rete ipertestuale di Internet), etc.: nulla che sia preludio allo statuto di classico, solo fattori di rapida obsolescenza e ineluttabile avvicendamento. Ecco che, se così fatti, i libri di scuola – come vuole la vulgata – davvero invecchiano in fretta e vanno aggiornati in continuazione. E non è colpa di un “mondo in rapido e continuo cambiamento”, ma nostra.
 
 
 
 


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Numero 5 - Novembre 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Stefano Battilana, Alberto Dainese, Marco Morini, Adriano Prosperi, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.