Se il fine sembra giusto, la proposta Fioramonti comporterebbe che gli aumenti stipendiali dei docenti dovrebbero dipendere dal gettito di un tributo di scopo. Significherebbe che, se nessuno più mangiasse merendine o bevesse bibite gassate, non ci sarebbe più la possibilità di pagare aumenti stipendiali per il personale della scuola.
29 Ottobre 2019 | di Fabrizio Reberschegg
Il neoministro del MIUR Fioramonti ha lanciato la proposta di tassare merendine, bibite gassate e voli aerei per implementare il bilancio della pubblica istruzione onde trovare una massa finanziaria sufficiente a corrispondere ai docenti aumenti stipendiali “a tre cifre” senza destabilizzare i fondamentali del bilancio dello Stato. I giornali e gli esponenti della destra hanno ridicolizzato l’ipotesi attribuendo al governo la mera volontà di “aumentare le tasse”e di “creare uno stato etico” che entra nelle libere scelte del cittadino-consumatore. Molti esponenti politici, anche dell’attuale maggioranza, temono di essere accusati di sostenere nuove tasse, avendo spergiurato che mai e poi mai si sarebbe aumentata la pressione fiscale. Anzi, essa sarebbe diminuita radicalmente mediante “politiche economiche e fiscali innovative”.
Si tratta di posizioni antiche che tendono a criminalizzare qualsiasi intervento dello Stato nell’economia e , in particolare, nella sfera della fiscalità. Ma la proposta Fioramonti ha limiti oggettivi non solo nel lessico, ma anche nella sostanza.
Ricordiamo, come definito dalla Scienza delle Finanze, la differenza tra tassa, imposta e contributo.
L’imposta è una prestazione obbligatoria di denaro dovuta dai contribuenti, in relazione alla propria capacità contributiva, in favore dello Stato o di altri Enti Pubblici territoriali. Sono imposte, ad esempio, l’Irpef o l’Irap.
Il pagamento di un’imposta, a differenza di quanto accade quando si paga una tassa, non comporta uno specifico “corrispettivo” (la prestazione di un servizio, ad esempio) ma in linea generale tali somme vengono utilizzate dallo Stato per finanziare spese pubbliche. Le imposte sono indivisibili perché il loro prelievo non fornisce prestazioni indirizzate direttamente a dei singoli, ma concorre all’erogazione di servizi rivolti alla totalità dei cittadini. Le imposte possono quindi finanziare i costi di opere di pubblica utilità come l’istruzione, la sicurezza, l’amministrazione pubblica.
Quando si pagano le tasse si va invece a sostenere il costo delle cosiddette spese divisibili, ovvero quel tipo di spese per le quali è chiaramente determinabile quale sia il servizio erogato al cittadino.
Sono quindi tasse la TARI (per la raccolta dei rifiuti), la Tassa sull’occupazione di suolo pubblico, la Tassa di registro sul contratto di locazione.
Per contributo si intende, per la maggior parte della dottrina, un prelievo coattivo di ricchezza effettuato nei confronti di coloro che traggono un beneficio individuale da opere o servizi di rilevanza generale. Ad esempio i contributi di urbanizzazione o i contributi obbligatori per la pensione.
L’ipotesi Fioramonti, anche se delineata superficialmente come “tassa”, è un invece l’introduzione di un tributo/imposta specifico sul consumo di alcuni beni che sono oggetto di conseguenze negative nei confronti del sistema sociale, cioè provocano danni nei confronti della salute o dell’ambiente intesi come beni essenziali e costituzionalmente tutelati. Si tratta di tributo di scopo finalizzato ad uno specifico settore o categoria. E’ una situazione che già ha caratterizzato molti interventi nella legge di bilancio negli ultimi novant’anni (tributi di scopo per la guerra in Abissinia, la crisi di Suez, per l’alluvione del 1966, per i terremoti del Belice, del Friuli, per le missioni “di pace”, per gli autoferrotranvieri, per la cultura, ecc.).
Se il fine sembra giusto, la proposta Fioramonti comporterebbe che gli aumenti stipendiali dei docenti dovrebbero dipendere dal gettito di un tributo di scopo. Significherebbe che, se nessuno più mangiasse merendine o bevesse bibite gassate, non ci sarebbe più la possibilità di pagare aumenti stipendiali per il personale della scuola. Non ci pare una bella trovata.
Fioramonti, da bravo economista, dovrebbe quindi chiarire che le imposte proposte non possono essere finalizzate ad uno specifico settore, ma devono servire per garantire il buon funzionamento dei servizi pubblici indivisibili (in primis, istruzione e sanità) e per creare le condizioni per una diminuzione di consumi specifici che hanno effetti negativi per la salute della popolazione (cui corrisponde il prevedibile aumento delle spese per il sistema sanitario) o per l’ambiente (voli aerei versus treno).
E’ una proposta seria che già è legge in molti stati (vedi per le merendine e le bevande gassate la Francia,la Gran Bretagna, l’Ungheria) e che non può essere oggetto di stupido ludibrio. Si pensi agli esempi storici e generalizzati delle imposte sul tabacco e sugli alcoolici.
Dispiace che questo governo, come tutti i precedenti governi negli ultimi trent’anni, sembra dimenticare che i finanziamenti per la scuola e per i docenti sono essenziali per qualsiasi politica di sviluppo sociale ed economico e che devono essere variabili indipendenti da entrate straordinarie o aleatorie in sede di bilancio.
Intanto l’Italia è uno dei paesi dell’UE che investe di meno nella scuola e nell’università. I tre miliardi calcolati dal Ministro per gli aumenti al personale della scuola e dell’Università dovrebbero quindi essere spese strutturali di un bilancio pluriennale in cui calcolare anche la prevedibile diminuzione degli allievi in Italia a causa del decremento demografico garantendo finalmente standard di servizio adeguati alla popolazione scolastica. Non solo aumenti di stipendio (sacrosanti), ma anche la diminuzione degli allievi per classe, l’implementazione della scuola dell’infanzia, del tempo pieno, la stabilizzazione del personale precario, l’attribuzione di un numero congruo di docenti di sostegno su un effettivo organico di diritto. Servono ben più di tre miliardi, ma basterebbe almeno portare il peso della spesa per l’istruzione al livello dei paesi UE cui tanto spesso si fa riferimento in termini elogiativi. Non sembra che questo sia ora all’ordine del giorno, anche di questo governo.
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