29 Ottobre 2019 | di Roberto Casati
Per una volta non parlo di questioni legate alla mente, ma del corpo. È vero che l'adagio recita mens sana in corpore sano, lo sappiamo tutti; ma posto che ne siamo convinti (e su che basi ne siamo convinti?) riusciamo poi ad applicare questo (sano) precetto? La filosofia della mente degli ultimi anni ha dato molta importanza alla cognizione incorporata ("embodied"), il che significa attribuire al corpo diversi meriti intellettuali, al di là del semplice star bene per imparare bene.
Il corpo è uno strumento della mente, o forse anche di più: è una condizione di possibilità del pensiero, secondo alcuni. Usiamo il corpo per contare, come dimostra il sistema decimale, non ha senso parlare di orientamento se non si fa riferimento alle direzioni soggettive, un po' più a destra, un po' più a sinistra, e non possiamo comunicare tra di noi direttamente con il pensiero, dobbiamo muovere i muscoli del viso e molti altri, il che impone dei vincoli su come i pensieri stessi vengono strutturati: ci piacerebbe "pronunciare organigrammi tridimensionali" o "cantare immagini", ma dobbiamo limitarci a emettere sequenze unidimensionali di suoni. Altri pensano che il corpo sia il cervello, ovvero un cervello con varie appendici funzionali. Sia come sia, nessuno nega che il corpo e la mente siano più legati tra di loro di quanto pensasse Cartesio e tutta una tradizione che vedeva l'anima come incorporea - e a pensarci bene, anche le rappresentazioni pittoriche dell'anima sono sempre figurine umanoidi: non possiamo immaginarci un'anima senza raffigurarcela a forma di corpo.
La scuola tradizionale ha promosso una concezione igienista del corpo che bene o male ha permesso a molti allievi e studenti di fare attività fisiche più o meno intense le quali hanno diversi benefici: distraggono, fanno stare all'aria aperta e alla luce, mettono di buon umore, aiutano la crescita muscolare e ossea, favoriscono la socializzazione, instillano un po' di senso delle regole, hanno circuiti della ricompensa su diverse scale temporali - sei contento subito perché ti muovi, ma sei anche contento se sul lungo termine vedi migliorare le tue capacità aerobiche.
Ma la visione igienista e la sua compartimentazione nell'ora di educazione fisica hanno creato inevitabilmente una (leggera) polarizzazione: l'attività fisica si contrappone all'attività mentale, e la scuola è rimasta un po' cartesiana.
Ci sono diverse conseguenze evitabili di questo dualismo. Nicoletta Lanciano, studiosa di tecniche per l'insegnamento della matematica ed educatrice, narra un episodio in cui una delegazione di insegnanti e pedagogisti italiani si era recata in un paese scandinavo per studiare le buone pratiche dell'insegnamento. A un certo punto della giornata scolastica la classe era scesa in cortile e l'insegnante preposto aveva iniziato una lezione di geometria. Uno dei delegati era insorto: "Perché siamo scesi in cortile? Queste sono attività che si possono benissimo svolgere in classe." Al che l'insegnante aveva risposto, con stupore sincero: "Ma perché fare in classe attività che si possono fare benissimo in cortile?"
Non manca la confusione (o il polverone sollevato ad arte) intorno al significato di "tattile" quando si parla di nuove tecnologie in classe; si è sostenuto che i tablet permetterebbero di fare attività motorie che altrimenti sarebbero precluse ai piccoli discenti docenti, quando tutta la ricerca mostra che le interazioni con gli schermi sono estremamente stereotipate e impoverite. Se vogliamo ridare un senso al corpo nell'insegnamento, dobbiamo passare per il gioco e per attività manipolative serie, lasciare che allievi e studenti si sporchino le mani, si siedano per terra, sudino e via dicendo.
E visto che la scuola è un po' l'ultimo baluardo di intervento sociale, si dovrebbe sollevare il problema della terza età, ovvero di come preparare bene da giovani quello che ci aspetta più tardi nella vita. Tutte le statistiche mostrano che l'esercizio fisico è il primo fattore di longevità, al di là dei casi aneddotici di maratoneti novantenni e di nuotatrici ultracentenarie, e dei controesempi marginali di altri ultracentenari pigri fumatori incalliti. I nonni che soffrono nel prendere in braccio i nipoti (quell'insidiosa sciatalgia), o le madri della "generazione sandwich" (figli a carico, genitori a carico, in senso figurato e letterale) hanno tutte le ragioni di rimpiangere di essere arrivati e arrivate alla loro età senza il capitale fisico che avrebbero dovuto costruire in anni più giovani: più tono muscolare, più flessibilità, migliori riflessi, più resistenza allo sforzo e via dicendo. E se è vero che non è mai troppo tardi per cominciare a fare attività fisica tutti i giorni, è anche vero che fare attività fisica tutti i giorni deve uscire dalla sfera della scelta personale faticosamente rinnovata e migrare, nei limiti del ragionevole, verso la sfera medico-sociale. Per due ragioni.
Da un lato, tutta la società paga per i costi della "riparazione dei corpi", e prevenire è meglio che curare. D'altro lato, non si devono colpevolizzare gli individui, che peraltro hanno altro da fare, poco tempo libero e pochi soldi per l'abbonamento alla palestra.
La soluzione è rendere disponibile le strutture per l'attività fisica sul luogo di lavoro (come fanno le superdecantate start-up della Silicon Valley: argomento da usare con gli uomini e le donne politiche in cerca di motivazioni alla moda).
E qui la scuola, ad un costo relativamente basso, ha molto margine di intervento. Le scuole hanno già – tipicamente (anche se non sempre) - una palestra e uno spazio all'aperto. Accanto alle attività in orario e da programma, le strutture andrebbero aperte ad attività per tutta la popolazione scolastica: studenti, docenti e personale scolastico.
Cercando comunque di liberare le ore all'interno dell'orario di lavoro e di studio.
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Roberto Casati è un Filosofo italiano, studioso dei processi cognitivi. Attualmente è Direttore di ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), presso l'Institut Nicod a Parigi. Esponente della filosofia analitica, già docente in diverse università europee e statunitensi, è autore di vari romanzi e saggi, tra cui La scoperta dell’ombra (2001), tradotto in sette lingue e vincitore di diversi premi, la raccolta di racconti filosofici Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici (2006), Prima lezione di filosofia (2011) , Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere(2013), recensito in “ Professione docente”, settembre 2016, con un’ intervista all’ autore e La lezione del freddo, presso Einaudi, una filosofia e un manuale narrativo di sopravvivenza per il cambiamento climatico. Questo libro ha vinto il premio ITAS del libro di montagna e il premio Procida Elsa Morante L'isola di Arturo 2018.
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