I tre problemi della DAD: polverizza la dimensione sociale dell’ insegnamento, apprendimento; subisce il condizionamento delle piattaforme on-line; non protegge la riservatezza degli utenti. Intervista a Francesco Pallante
01 Maggio 2020 | di Renza Bertuzzi
► Professor Pallante, il dpcm 4 marzo 2020 ha sospeso diversi diritti costituzionali mentre rispetto all’istruzione aveva così disposto: “sono sospesi le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master e università per anziani, ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza”. Con il decreto-legge in via di definizione si dispone così: “il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione”. Come giudica, da costituzionalista, queste misure?
A me pare che la questione chiami in causa due “beni” costituzionali altrettanto rilevanti: la libertà di insegnamento e il diritto/dovere d’istruzione. La libertà d’insegnamento è garanzia della democraticità della scuola (tema tanto caro a Calamandrei), vale a dire del fatto che né gli insegnanti, né, conseguentemente, gli studenti, subiscano imposizioni dallo Stato, ma siano liberi, gli uni, di utilizzare i metodi e gli strumenti che, sulla base della loro professionalità, ritengono più idonei alla trasmissione del sapere e, gli altri, di apprendere senza subire condizionamenti ideologici predeterminati dal potere. Il diritto/dovere d’istruzione è garanzia che ciascun cittadino possa davvero, un giorno, essere in condizione di agire in modo individualmente e socialmente consapevole, esercitando le libertà costituzionali senza i costrittivi condizionamenti dell’ignoranza. Trovare un equilibrio tra questo insieme di diritti e doveri non è semplice in tempi ordinari, figurarsi in tempi eccezionali come quelli che stiamo vivendo. Dev’essere chiaro che i condizionamenti e le limitazioni sono costituzionalmente ammissibili, nel fine, se rivolti a garantire comunque, nella massima misura possibile, l’erogazione dei servizi scolastici e, nel metodo, se gravanti sulle libertà costituzionali nella misura minore possibile. Dunque, comprendo e condivido l’esigenza di garantire comunque il diritto all’istruzione, ma ciò non deve avere ricadute più dello stretto necessario sulla libertà d’insegnamento. Inoltre, non appena sarà possibile, si dovrà tornare alla didattica in presenza: qualsiasi “tentazione” di prolungare la didattica a distanza oltre il necessario sarebbe, infatti, costituzionalmente inaccettabile perché ingiustificato.
► Come si sarebbe prefigurata, dal punto di vista costituzionale, la sospensione dell’attività didattica e basta?
Credo che avrebbe potuto tradursi in una compressione eccessiva del diritto all’istruzione degli studenti: di fatto, ragazze e ragazzi avrebbero perduto metà dell’anno scolastico.
► La didattica a distanza modifica l’organizzazione basilare della scuola, fatta di relazioni, di rapporti diretti e collettivi. L’educazione al pensiero critico, che è sottesa alla libertà di insegnamento, può avere un suo corretto esercizio così affidata a canali non trasparenti e a volte pericolosi come sono le piattaforme on line?
Qui si tocca un altro punto molto delicato. Vedo tre problemi. Il primo è che la didattica a distanza polverizza la classe in una serie di rapporti verticali studente-docente, annullando, o rendendo comunque marginali, i rapporti orizzontali tra studenti e il rapporto, misto (insieme verticale e orizzontale), tra il gruppo-classe e il docente. Si perde, vale a dire, la dimensione sociale dell’insegnamento/apprendimento, limitandola a una serie di relazioni individuali, che, anche sommate tutte assieme, non consentono di recuperare la socialità perduta, ma restano un mero accostamento di tante individualità. Il secondo problema è il condizionamento, spesso mascherato ma inevitabile, che le piattaforme online esercitano sul complesso di rapporti in cui si articola la vita di una classe. La tecnologia non è mai neutra, il modo in cui è progettata indirizza i nostri comportamenti: si pensi, per esempio, all’impoverimento del dibattito pubblico comportato dal “pollice” di Facebook. Anche nei processi di apprendimento l’“architettura” di una piattaforma può risultare decisiva a causa di ciò che consente e di ciò che non consente di fare. Senza contare che, comunque, anche la piattaforma più complessa sarà sempre inidonea a consentire agli studenti di esprimere, e agli insegnanti di cogliere, tutte le sfaccettature della realtà scolastica. Per questo, non mi pare si possa scartare a priori l’ipotesi di svolgere attività didattiche anche al di fuori delle piattaforme dedicate. Faccio un esempio: se volessi spiegare ai miei studenti la necessità di prendersi cura della fragilità della democrazia perché non potrei chiedere loro, semplicemente, di leggere e discutere per iscritto il libro Complotto contro l’America di Philip Roth? Il terzo problema è la tutela della riservatezza degli utenti – insegnanti e studenti – delle piattaforme: sappiamo che una componente costitutiva delle piattaforme a vario titolo ascrivibili alla categoria dei social network è la profilatura degli utenti a fini commerciali. Qui, oltretutto, sono in gioco dati sensibili riconducibili alle convinzioni, in senso ampio, filosofiche delle persone e utenti minorenni...
► Come va considerato il nuovo obbligo per i docenti di effettuare con mezzi propri la didattica a distanza utilizzando proprie risorse a fronte di un contratto di lavoro che non regola e prevede tale prestazione e senza alcuna formazione dedicata?
Questo è un enorme problema. Il nostro è un Paese tecnologicamente poco avanzato: l’ignoranza digitale è diffusa, in molte zone le infrastrutture sono inadeguate, gli insegnanti sono stati, specialmente negli ultimi anni, ma non solo, enormemente impoveriti, un ampio numero di ragazzi proviene da famiglie con difficoltà economiche. Non tutti hanno attrezzature e connessioni adatte. Ciò complica enormemente le cose, finendo con lo scaricare sugli insegnanti e sugli studenti le conseguenze di decenni di scelte politiche inadeguate. Inoltre, bisogna considerare che la preparazione delle lezioni a distanza, essendo un’attività da impostare ex novo, richiede quasi sempre un impegno superiore rispetto alle lezioni in presenza e che anche la valutazione può risultare maggiormente impegnativa. Ciononostante, come ho già detto, credo che l’obbligo di svolgere didattica a distanza vada considerato come una misura, pur emergenziale e provvisoria, finalizzata a non lasciare del tutto “scoperto” il diritto all’istruzione.
► Il Ministro Azzolina ha in più occasioni ribadito che è prevalente il diritto all’istruzione garantito all’art. 34 della Costituzione rispetto ad altri diritti, tra cui quello della libertà di insegnamento e del rispetto dei contratti collettivi di lavoro nella scuola. La situazione emergenziale può giustificare tale visione?
Non direi. Per essere realmente garantito, il diritto all’istruzione necessita della libertà d’insegnamento. L’uno non può stare senza l’altro, contrapporli è un errore che dimostra una grave incomprensione delle questioni in gioco. Nell’emergenza, all’insegnamento deve in ogni caso essere garantita la più ampia libertà d’esercizio possibile. Dal punto di vista delle fonti del diritto, inoltre, è importante che le limitazioni siano disposte dalla legge o da una fonte equiparata (decreto-legge o decreto legislativo), e non da atti amministrativi come i dpcm o i decreti ministeriali: solo la fonte legislativa, infatti, dà la garanzia di una, seppur minima in questo periodo, discussione parlamentare.
► La libertà di insegnamento, tutelata dalla Costituzione, si intende come libertà di scelta del metodo didattico. Può considerarsi” metodo didattico”, in questo caso, la DAD come viene intesa dalla nota del Ministero dell’Istruzione ad esempio con inviti espliciti “di evitare, la mera trasmissione di compiti ed esercitazioni” prefigurando metodologie gradite e metodologie “vietate” in assoluto?
Mi pare proprio di no. Come dicevo, la didattica a distanza comporta già, inevitabilmente, incisivi condizionamenti tecnologici sulla libertà d’insegnamento. Pensare di aggiungerne di ulteriori dall’alto, proponendosi di incanalare i comportamenti degli insegnanti in metodologie predeterminate, non farebbe che aggravare la situazione. Nell’ambito di ciò che resta possibile, la libertà d’insegnamento va tutelata nella misura più piena: nell’interesse non solo degli insegnanti, ma anche degli studenti e del loro diritto all’istruzione. Personalmente, eviterei in ogni caso di tradurre tale libertà nella riduzione dell’insegnamento alla mera assegnazione di compiti ed esercitazioni: mi pare che ciò sarebbe svilente anzitutto per gli insegnanti stessi.
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Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Si interessa di fondamento di validità delle Costituzioni, processi costituenti, interpretazione del diritto, diritto non scritto, rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, diritto regionale. Oltre ad articoli scientifici su questi temi, ha pubblicato: Francesco Pallante, Il neoistituzionalismo nel pensiero giuridico contemporaneo (Jovene 2008); Gustavo Zagrebelsky, Valeria Marcenò, Francesco Pallante, Lineamenti di Diritto costituzionale (Le Monnier 2014); Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante, Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali (Laterza 2016). Scrive per il Manifesto ed è membro del Consiglio di Direzione di Libertà e Giustizia.
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