Cosa deve cambiare. Uno sguardo e una prospettiva per il futuro
01 Maggio 2020 | di Fabrizio Reberschegg
Con il Decreto Legge n.22 del 9 aprile la didattica a distanza è diventata obbligatoria superando un incerto periodo senza regolamentazione in cui tutto era affidato all’autonomia scolastica e alla buona volontà dei docenti. Per il resto del personale è previsto ordinariamente il lavoro agile anche in modalità di telelavoro. Sicuramente sarà regolamentata l’attività e la partecipazione agli organi collegiali della scuola in modalità a distanza.
Sembrano così essere superati, almeno nella fase emergenziale, alcuni problemi che avevano lasciato colpevolmente nell’incertezza le scuole e la loro organizzazione. Ma un fatto importante è diventato evidente in un tale contesto: l’autonomia scolastica produce inefficienza, inefficacia e disparità di trattamento in mancanza di norme stringenti statali nazionali su organizzazione degli uffici, organizzazione tecnica della didattica e processi di valutazione. Oltremodo appare incoerente con gli scenari attuali e del prossimo futuro l’applicazione delle competenze regionali in merito ai calendari scolastici e al settore dell’istruzione professionale. Appare quindi opportuno aprire un serio dibattito sulla complessiva revisione delle norme sull’autonomia scolastica e del Titolo V della Costituzione che tanti danni e confusione (si veda il settore della sanità) hanno provocato negli ultimi vent’anni. (cfr. articolo di Rino Di Meglio)
Ma il cuore della discussione nel settore dell’istruzione e della formazione sta nel concetto di status del docente. I docenti per troppi anni hanno accettato una progressiva dequalificazione della loro funzione ruolo, hanno percepito il loro ruolo in termini impiegatizi e non professionali. La devastante anarchia causata dell’autonomia scolastica fondata sul potere aziendalistico dei dirigenti scolastici ha spinto lentamente verso una compressione del concetto di libertà di insegnamento. Di tali temi questo giornale ha trattato spesso negli ultimi anni.
Ma l’emergenza da COVID 19 ha portato all’attenzione di tutti il fatto che i docenti nella stragrande maggioranza sono stati in grado, praticamente da soli, a riorganizzare la didattica, a mantenere il rapporto con gli allievi e le famiglie anche al di là dei vincoli contrattuali. E’ stata ed è una grande dimostrazione di autonomia professionale che ha dovuto combattere con la burocrazia dirigenziale e ministeriale e con una discutibile visione del CCNL portata avanti da alcuni sindacalisti di professione in termini meramente difensivi. I docenti italiani hanno dimostrato in questo momento storico di assumersi una grande responsabilità civile prima che professionale nei confronti della società. Tantissimi hanno avvalorato cosa significa responsabilità professionale nell’ambito della libertà di insegnamento. I pochi che non sono riusciti o non hanno voluto confrontarsi con la DaD, adducendo anche motivi di natura ipersindacale, non sono eticamente difendibili e rischiano di portare discredito a tutta la categoria. Se così avessero fatto medici, infermieri, operai dei servizi necessari, cassiere dei supermercati, ecc. l’emergenza sarebbe diventata un disastro assoluto.
Se questo è vero, vero è anche che non si può lasciare alla buona volontà dei docenti l’organizzazione tecnica della didattica soprattutto per garantire la parità di trattamento prevista per tutti i cittadini italiani all’art 3 della Costituzione. Già la carenza di mezzi autonomi e adeguati di comunicazione informatica ha messo in rilievo che circa un terzo degli allievi non è in grado di possedere un computer con l’impossibilità di partecipare attivamente alle forme di DaD. Ma si è dimostrata anche la colpevole carenza da parte di alcuni docenti in merito all’utilizzo minimo di conoscenze informatiche e di utilizzo delle più banali piattaforme per la comunicazione sincrona. Sono problemi che responsabilmente bisogna affrontare chiedendo a gran voce che si rafforzi l’autonomia della professione docente all’interno di norme chiare nazionali che ne indichino i confini nel rispetto di obiettivi di conoscenza, sapere e competenza minimi garantiti a tutte le allieve e gli allievi italiani, sempre nel rispetto dell’art.33 della Costituzione. Serve un rafforzamento del ruolo dello Stato con un corrispettivo depotenziamento dell’autonomia scolastica di natura semiprivatistica con il superamento delle tante pessime riforme che da Berlinguer in poi hanno decostruito il senso della scuola statale nazionale.
Nella fase della DaD volontaria prima, poi obbligatoria, l’ingerenza confusa dei dirigenti scolastici nella didattica ha rappresentato un vulnus da superare. Non bastano le vaghe indicazioni delle “note” ministeriali per invitare docenti e dirigenti a tenere comportamenti coerenti quando mancano elementi di natura prescrittiva per gli uni e per gli altri. Si pensi al generico invito a garantire il funzionamento anche a distanza degli organi collegiali laddove essi sono il cuore delle decisioni della scuola. In mancanza della democrazia partecipativa tutto resta nelle mani del dirigente autocrate. Con il rischio che anche in sede di scrutinio per le modalità di valutazione prevalgano le sue personali interpretazioni della normativa tradizionale approfittando della inopportuna e prematura decisione del MI di promuovere tutti gli studenti, a prescindere dal loro impegno personale in tutto il percorso annuale degli studi.
Nel prossimo futuro, a partire dall’inizio del prossimo anno scolastico, il rischio è legittimare questa fase come prefigurativa di un nuovo assetto della scuola e della sua organizzazione con modifiche unilaterali, senza il coinvolgimento delle associazioni professionali dei docenti o delle organizzazioni sindacali. Queste ultime dovrebbero avere il coraggio di confrontarsi apertamente sui temi generali della politica scolastica esulando dagli steccati tradizionali di natura contrattualistica. Non è un caso che l’ANP , Associazione Nazionale Presidi, si sia mossa da tempo come associazione professionale di categoria ed è diventata interlocutore privilegiato dagli ultimi governi in merito ai contenuti delle riforme e di molti provvedimenti mentre alle OO.SS. è stato riconosciuto solo un ruolo operativo sulle specifiche tecniche del rapporto di lavoro, della mobilità e delle relazioni sindacali accentuando di fatto l’anarchia derivata dall’autonomia scolastica con la sciagurata introduzione della contrattazione decentrata con le RSU di scuola.
Si sente ora più che mai la mancanza di una vera grande associazione professionale nazionale dei docenti che ne valorizzi la specificità e l’autonomia rispetto agli altri comparti del pubblico impiego e che abbia l’autorevolezza per pretendere un ruolo centrale nelle decisioni politiche sulla scuola pubblica del nostro Paese. La Gilda degli Insegnanti, a partire dalla richiesta dell’area separata di contrattazione, aveva fin dall’inizio tale prospettiva. Le ragioni di difesa sindacale della categoria, attaccata da più parti dalle tante riforme degli ultimi trent’anni, hanno spesso messo in second’ordine tale visione. È questo il momento per tornare a rivendicarla. Le possibili trasformazioni della scuola e della didattica accelerate dall’emergenza del COVID 19 non possono essere subite passivamente dai docenti, né tantomeno essere delegate totalmente al sindacalismo di professione che troppo spesso non riesce a cogliere il cuore dei problemi vissuti quotidianamente dai docenti nella loro attività.
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