Non solo un’altra moda pedagogica. I suoi fautori promuovono sovente una visione dell’apprendimento esplicitamente ostile all’idea stessa di scuola.
03 Novembre 2020 | di Frank Furedi
Da sempre l’istruzione è vittima delle mode pedagogiche. Negli ultimi decenni i decisori politici e gli esperti che delineano i programmi di studio hanno prevalentemente cercato soluzioni di natura tecnica ai problemi che si presentano in classe. Dal loro punto di vista, le sfide che i docenti affrontano non sarebbero tanto di tipo educativo quanto tecnico. Ecco perché numerose scuole in Inghilterra, per ovviare al problema della scarsa motivazione degli studenti, hanno deciso di fornire loro un iPad con cui lavorare. Allorché i dirigenti scolastici si sono resi conto che i ragazzi usavano l’iPad come videogioco e non come mezzo per studiare, hanno dichiarato a propria difesa: “Quantomeno acquisiscono un’abilità”.
Purtroppo, la pedagogia non ha fiducia nella capacità dell’istruzione d’ispirare e motivare i giovani. Al contrario, i decisori politici partono dal presupposto che per motivare gli studenti le scuole debbano far affidamento su espedienti quali PowerPoint o l’informatica. In tempi recenti si è proposto l’e-learning come mezzo magico capace di rivoluzionare l’istruzione. È importante comprendere che l’e-learning, o blended learning com’è spesso anche chiamato, non è semplicemente un’altra moda pedagogica. I suoi fautori promuovono sovente una visione dell’apprendimento esplicitamente ostile all’idea stessa di scuola. In numerose dichiarazioni, la scuola viene rinnegata in quanto istituzione arcaica non più appropriata ai bisogni della società. Le scuole sono accusate di essere alienanti e disancorate dai bisogni dei ragazzi e della comunità.
Coloro che criticano le scuole ribadiscono altresì che nell’epoca attuale le tecnologie digitali hanno reso le scuole stesse superflue. Perché? Perché la scuola, che è legata al tempo e allo spazio, nell’era digitale degli ambienti di apprendimento virtuali non sarebbe più essenziale. In quest’ottica, viene messa in rilievo l’inferiorità di una scuola rigidamente collegata a un luogo fisico rispetto alle presunte virtù in termini di fluidità e flessibilità dell’apprendimento in rete.
Fino a poco tempo fa i sostenitori dell’e-learning hanno riscosso i massimi successi a livello universitario, ove la tecnologia digitale è stata promossa sulla base del fatto che era più comoda ed economica per studenti e università. Tuttavia, dopo l’esplosione della pandemia di COVID-19 la situazione è cambiata. In molte parti del mondo le scuole sono state costrette a trasferirsi in rete e a far affidamento sulla didattica a distanza.
Dal punto di vista dei fautori dell’e-learning, la pandemia non è stata tanto un disastro quanto un’occasione per espandere l’istituzionalizzazione di questa modalità.
Sino ad ora le critiche rivolte alla didattica a distanza si sono concentrate sui limiti della tecnologia. Studenti e genitori, ad esempio, lamentano che il feedback che i ragazzi ricevono a distanza è limitato e poco significativo. Numerosi insegnanti hanno sollevato due problemi: le copiature da parte degli studenti e la difficoltà di riuscire a monitorarne il lavoro. Negli Stati Uniti si sostiene di frequente che la didattica a distanza funziona solo con i ragazzi molto motivati e in grado organizzare il proprio tempo. Un’altra questione che emerge spesso è l’incapacità della didattica a distanza di compensare l’isolamento sociale degli studenti.
Sebbene tali critiche siano più che legittime, esse non toccano i temi davvero importanti che sono in gioco, ovvero lo status della scuola e il ruolo dell’educazione.
Una scuola non è solo un edificio che contiene delle aule. Una scuola è l’espressione istituzionale che una società si è assunta l’impegno d’introdurre i propri giovani a una cultura condivisa. Come chiarisce Hannah Arendt, la scuola dà a ogni nuova generazione l’opportunità di partecipare al rinnovamento della società e di contribuire al suo futuro. Il problema della didattica a distanza non è solo che essa isola i ragazzi gli uni dagli altri, ma anche che li priva della partecipazione all’esperienza condivisa del rinnovamento generazionale. Tale problema è stato sollevato da uno studente in un’intervista apparsa sul New York Times: “La scuola è il luogo dove costruire amicizie, imparare il senso di responsabilità e uscire di casa, ma pare che il Coronavirus ci abbia rubato tutto questo. Io adoravo vedere i miei compagni tutti i giorni nel- l’ambiente scolastico. Adesso che questo mi è stato tolto, mi rendo conto che la scuola era la mia principale occasione per comunicare con gli altri.”
La didattica a distanza non solo non risponde alla necessità di costruire un universo comune, ma non riesce neanche a comprendere l’importanza di raccogliere i ragazzi in uno spazio educativo condiviso. È anche in tale luogo fisico comune che essi acquisiscono la capacità di prestare attenzione e l’abitudine alla disciplina.
L’importanza della relazione diretta, in presenza, tra insegnanti e studenti non sarà mai abbastanza sottolineata. Il bravo insegnante non insegna solo al singolo studente, ma alla classe intera. L’insegnante osserva non soltanto come un singolo studente reagisce a una discussione, ma anche come i vari componenti della classe interagiscono l’uno con l’altro. In tal modo la relazione tra docenti e studenti, e tra compagni di classe, crea una dinamica grazie alla quale il processo educativo progredisce. A differenza di un ripetitore privato, l’insegnante non impartisce nozioni a un singolo alunno ma convoglia le proprie energie su un’intera classe. E ciò è pressoché impossibile in assenza d’una relazione diretta in presenza.
Un altro grave problema della didattica a distanza è che si concentra unilateralmente sull’apprendimento a scapito degli aspetti educativi. L’apprendimento avviene, per tutti noi, nel corso della vita intera o quasi. Anzi, ci sono molte cose che si possono imparare più velocemente per strada che in classe. I ragazzi possono imparare le lingue più rapidamente in viaggio che in classe. È però a scuola che possono essere educati a capire la struttura grammaticale di una lingua, e a comprendere e amare le opere migliori della sua letteratura. Come ha scritto Bertrand Russell, “Non possiamo dare a un bambino la libertà, ma possiamo prepararlo alla libertà; ed è questo che l’istruzione dovrebbe fare”. Dietro l’idea di educazione alla libertà c’è il riconoscimento del fatto che i ragazzi mancano dell’esperienza e delle risorse intellettuali per esercitare la libertà stessa. Essi hanno però la capacità di capirne il funzionamento, e la scuola rappresenta una comunità ove coltivare l’abitudine all’indipendenza indispensabile per ricoprire il ruolo di cittadini. Se Russell fosse al mondo direbbe: “Imparare si può in qualsiasi posto, ma per l’educazione ci vuole una scuola fisica”.
*Traduzione di Alberto Dainese
https://www.nytimes.com/2020/04/09/learning/what-students-are-saying-about-remote-learning.html
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Frank Furedi è professore emerito di sociologia all'Università del Kent, Regno Unito. Ha studiato i nodi problematici della vita culturale contemporanea, come la paura nei confronti di un futuro incerto, la percezione del rischio nell’era post 11 settembre, la vulnerabilità nell’incertezza dei ruoli, soprattutto educativi, la nuova fondazione del concetto di autorità morale nelle società occidentali della postmodernità . Spesso presente nei dibattiti culturali e televisivi inglesi, ha pubblicato diversi volumi, tra i quali sono stati tradotti in italiano, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana (2005) e Che fine hanno fatto gli intellettuali? I filistei del XXI secolo (2007).
Fatica sprecata. Perchè la scuola oggi non funziona, Vita e Pensiero 2012, è un testo molto importante in cui Furedi analizza "il paradosso dell'istruzione": mentre investiamo sempre di più nell'insegnamento, e sempre di più vorremmo ricavarne, le nostre scuole chiedono sempre meno agli studenti. Basse aspettative nei confronti dei ragazzi, la tendenza a infantilizzarli attraverso una forte psicologizzazione del rapporto educativo e un infinito maternage, la ricerca ossessiva delle loro motivazioni, il declinare dell'autorità degli adulti producono l'esatto contrario di ciò a cui l'istruzione dovrebbe mirare, cioè la formazione di persone autonome, critiche, capaci di una propria visione del mondo.
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