È in atto un cambiamento climatico molto pericoloso ormai riconosciuto come la minaccia più grave per l’umanità. Bisogna fare di tutto perché torni ad essere la scuola a fornire la necessaria base culturale ai cittadini. Intervista al Prof. Vincenzo Balzani.
03 Novembre 2020 | di Renza Bertuzzi
1) Professor Balzani, nel 2017, in un’intervista al nostro giornale, lei aveva affermato “Sia pure fra mille ostacoli, si comincia a capire che per custodire il pianeta è necessario passare dall’economia lineare all’economia circolare.” A che punto siamo con questa transizione?
Ci sono progressi, ma si avanza troppo lentamente. Molti politici ed economisti sembra non abbiano ancora capito, o forse interessa loro “non capire”, che la Terra su cui viviamo è come un’astronave che viaggia nell’infinità dell’universo, senza poter mai accedere ad un porto.
L’economia lineare, che potremmo anche chiamare economia dell’usa e getta o consumismo, è chiaramente insostenibile poiché sull’Astronave Terra le risorse sono limitate e anche lo spazio per collocare i rifiuti è limitato. E’ necessario passare quindi ad un’economia circolare, che consiste nel ridurre al minimo il consumo delle risorse e nel loro utilizzo in modo intelligente per generare prodotti che possano essere non solo usati, ma anche riparati, riusati e alla fine riciclati per farne, in gran parte, nuove risorse. Il punto critico di questa transizione dall’economia lineare all’economia circolare è l’energia, risorsa fondamentale per compiere qualsiasi azione e qualsiasi processo. Per attuare un’economia circolare è necessario che anche l’energia che si usa sia “circolare”, cioè che sia rinnovabile e non ottenuta da una risorsa che viene trasformata in rifiuto, come è il caso dei combustibili fossili. Quindi, la transizione dall’economia lineare all’economia circolare deve essere preceduta dal passaggio dall’uso dei combustibili fossili all’uso delle energie rinnovabili. Questa transizione energetica, già oggi possibile, è fortemente ostacolata dagli interessi economici delle compagnie petrolifere che in tante nazioni, Italia compresa, sono molto potenti e molto influenti sulle scelte riguardanti lo sviluppo economico.
2) Le catastrofi ambientali, conseguenti a fenomeni atmosferici, sembrano aumentate e sempre più devastanti. Cosa dice la scienza su questo problema?
È in atto un cambiamento climatico molto pericoloso. Lo confermano gli studi degli scienziati del IPCC (International Panel on Climate Change) che operano sotto l’egida dell’ONU. Nel 2015 a Parigi c’è stato un Congresso Mondiale con la partecipazione di delegazioni di tutte le nazioni del mondo che hanno concordemente riconosciuto nel cambiamento climatico la minaccia più grave per l’umanità. È scientificamente accertato che il cambiamento climatico è causato dai cosiddetti “gas serra”, il più importante dei quali è l’anidride carbonica (CO2) prodotta dall’uso dei combustibili fossili; ne immettiamo in atmosfera 1000 tonnellate al secondo! Al congresso di Parigi si decise di abbandonare progressivamente l’uso dei combustibili fossili, lasciando ad ogni nazione libertà di operare dipendentemente dalla sua particolare situazione. E qui si ricade in quanto detto in risposta alla domanda precedente: le compagnie petrolifere si oppongono con tutta la loro potenza ed influenza politica alla transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, ecc.) che generano energia elettrica “pulita”. Una delle ultime strategie delle compagnie petrolifere consiste nell’affermare che non è necessario abbandonare completamente l’uso dei combustibili fossili perché la CO2 riversata in atmosfera si può catturare e immagazzinare nei pozzi off shore ormai svuotati di petrolio e gas (tecnologia CCS, Carbon Capture and Storage). In realtà questa tecnologia non è stata ancora sviluppata, non si sa che costi abbia e presenta forti controindicazioni dal punto di vista ambientale. A parere di molti scienziati il CCS è un diversivo messo in atto per continuare ad usare i combustibili fossili. ENI vuole costruire un impianto CCS a Ravenna.
3) Citiamo ancora le sue parole “Solo con una forte base culturale si può affrontare una realtà che cambia così velocemente”. Un tempo era la scuola a fornire la base culturale, oggi sembra che la formazione culturale generale sia debole e soggetta ad influssi casuali e irrazionali.
Bisogna fare di tutto perché torni ad essere la scuola a fornire la necessaria base culturale ai cittadini. La cosa, però, è difficile perché siamo in una fase storica di grandi cambiamenti. Facciamo il caso dell’energia. Nel secolo scorso l’economia si è sviluppata grazie all’uso dei combustibili fossili, dei quali, fino all’inizio di questo secolo, abbiamo apprezzato i molti pregi, con qualche timore solo perché si sapeva che sono una fonte energetica limitata. Poi è comparsa l’energia nucleare che, essendo in teoria una fonte illimitata, per qualche tempo ci ha illuso di poter avere energia gratis, per tutti e per sempre. In realtà l’energia nucleare, dopo una prima fase di sviluppo, ha mostrato di avere molti problemi che l’hanno frenata. Verso la fine del secolo scorso abbiamo incominciato anche ad accorgerci che il principale problema dei combustibili fossili non era la loro limitata disponibilità, ma il fatto che usandoli riversiamo in atmosfera sostanze inquinanti e CO2, il gas serra responsabile del cambiamento climatico. Nel primo decennio di questo secolo ci sono state quindi molte discussioni, che hanno coinvolto anche scienziati, fra chi sosteneva la rinascita del nucleare e chi lo sviluppo delle energie rinnovabili. Nel 2011 l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima mise in crisi irreversibile il nucleare e iniziò, molto lentamente, lo sviluppo delle energie rinnovabili, particolarmente fotovoltaico e eolico che, come abbiamo visto, trovano ancora molti ostacoli.
La scuola ha fatto fatica a seguire questi cambiamenti perché un docente, formato in un certo clima culturale dal punto di vista energetico, si porta dietro idee e concetti nei successivi decenni di insegnamento. All’università, per esempio, ci sono professori che, avendo fatto ricerche quando erano giovani su reattori nucleari o giacimenti petroliferi, sperano ancora nella rinascita del nucleare o nell’avvento di tecnologie che possano tenere in vita il consumo dei combustibili fossili. Fondamentale, quindi, è l’aggiornamento continuo dei docenti, cosa che non avviene e che forse non basta perché bisogna aggiornare in modo corretto sui temi scientifici anche i cittadini. In questo dovrebbe giocare un forte ruolo la TV di stato che, però, per competere con le TV private, fa per la maggior parte programmi di semplice intrattenimento. Il problema è il solito: chi governa non dovrebbe avere il compito di accontentare la gente, ma di guidarla perché possa vivere in modo più consapevole.
4) Per esempio, il tema della sostenibilità ambientale, crocevia di conoscenze complesse, è stato inserito nel programma di Educazione civica ( 33 ore annuali) così : “L’Educazione Civica sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione Italiana e delle istituzioni dell’Unione Europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona”. Cosa ne pensa?
Bene per quanto riguarda la comparsa, finalmente, nei programmi di insegnamento di temi come la legalità, la cittadinanza attiva e digitale, la sostenibilità ambientale e il diritto alla salute e al benessere. Male, però, relegare la sostenibilità ambientale, che secondo illustri studiosi dovrebbe essere inserita fra i principi della nostra Costituzione, in un corso così variegato dove potrà trovare solo poco spazio. La sostenibilità ambientale è infatti la base per dare un futuro all’umanità. Scientificamente, la sostenibilità ambientale è strettamente connessa a Chimica, Fisica e Biologia, ma sarebbe un errore trattarla a pezzetti in questi corsi. È auspicabile invece una stretta collaborazione fra i docenti, che può essere rafforzata ricorrendo a un ciclo di conferenze fatte da persone competenti, per poi sviluppare in classe gli argomenti specifici. L’esperienza in questo campo mi dice che a conferenze formative e interdisciplinari di questo tipo partecipano volentieri anche gli insegnanti di materie letterarie. La soluzione migliore sarebbe istituire un insegnamento ad hoc, affidato all’intero corpo docente, come proposto dal’ex ministro Fioramonti. Per affrontare un tema così complesso come quello dell’educazione ambientale, c’è infatti bisogno di competenze e conoscenze che riguardano tutti i campi del sapere e che vanno, quindi, dall’ambito scientifico e quello umanistico. Ovviamente, il corpo docente deve prima essere ben formato.
5) E non è tutto qui. Ha suscitato grandi proteste la decisione dell’ANP (Associazione nazionale Presidi) di affidare all’ENI la formazione dei docenti sulla sostenibilità ambientale. D’ altronde EniScuola è un progetto che circola, e gli esperti di una delle aziende petrolifere più grandi al mondo, tra l’altro accusata di enormi disastri ambientali, vengono considerati buoni maestri. Cosa ne pensa?
È una questione molto grave. Da un lato dimostra l’impreparazione di molti presidi ad affrontare problemi fondamentali come la sostenibilità ambientale (si veda la riposta alla domanda precedente). Dall’altra, testimonia la potenza economica e l’arroganza di ENI che già da tempo condiziona, con un abbondante flusso pubblicitario, i principali giornali, ripagata da un flusso di interviste compiacenti ai suoi dirigenti. Ho provato diverse volte a controbattere le affermazioni di questi dirigenti ENI con lettere che i giornali si rifiutano di pubblicare. Quello che fa più rabbia è che ENI vuole ora entrare nella scuola come protagonista e guida della transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, mentre nei fatti opera per mantenere in uso i combustibili fossili e scredita le energie rinnovabili definendole non mature. Per fortuna c’è stata la ribellione di molti docenti, come dimostrano gli articoli pubblicati sul sito del blog La Chimica e la Società. Che senso ha far entrare nell’attività formativa della scuola, sui temi energia e cambiamento climatico, ENI, che è impegnata ad estrarre in tutto il mondo enormi quantità di combustibili fossili che non si dovranno mai bruciare se non si vuole compromettere irreversibilmente il clima del pianeta? Quali buoni maestri può offrire ENI, che ha alcuni dirigenti accusati di corruzione e che ha tentato di promuovere il suo biodiesel come carburante “green” compiendo un palese falso per cui è stata sanzionata dall’Antitrust con una multa da 5 milioni di Euro per “pubblicità ingannevole”?
6) Infine, l’emergenza Covid ha obbligato all’ insegnamento da remoto, la cosidetta Dad (Didattica a distanza). Tralasciando gli entusiasmi vari per questa forma di insegnamento, le chiediamo: è possibile pensare ad un insegnamento della Chimica in questa modalità che esclude completamente il Laboratorio?
Direi proprio di no. Con Margherita Venturi abbiamo discusso il problema dell’insegnamento della Chimica nel libro Chimica! Leggere e scrivere il libro della natura (Scienza express). Se per uno studente motivato studiare chimica su un libro o ascoltare una lezione può essere interessante, vedere la chimica in azione e toccare con mano i fatti attraverso esperimenti appropriati è certamente molto più stimolante in quanto proietta lo studente nell’affascinante campo della ricerca scientifica dove la conoscenza deriva da esperimenti che generano stupore e che sollecitano nuove domande. Il lavoro di laboratorio non è solo un momento di osservazione diretta, ma anche di analisi, di confronto, di verifica, di formulazione di interpretazioni e previsioni; è inoltre un modo per insegnare cooperazione per organizzare esperienze che vengono poi trasformate in competenze. La didattica laboratoriale è il modo con cui viene messo in atto il “fa e impara” e in cui si impara anche e sopratutto dagli errori. Quindi, la Dad ci ha permesso di superare un momento di emergenza, ma speriamo di poter tornare quanto prima ad insegnare “come si deve” la Chimica, portando i nostri giovani in laboratorio dove si assaporare la bellezza della scoperta.
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Vincenzo Balzani è un chimico, tra i cento più citati al mondo; già professore nell’Istituto Giacomo Ciamician di Bologna, è ora professore emerito dell’università di Bologna e Grande Ufficiale della Repubblica. È membro dell’Accademia dei Lincei e del Gruppo 2003. È stato visiting professor presso varie università straniere. È stato Presidente della European Photochemistry Association.
È considerato tra i massimi esperti di fotochimica e chimica supramolecolare al mondo.
I suoi primi interessi riguardano proprio la fotochimica e la fotofisica. Si è poi concentrato sugli studi della chimica supramolecolare, delle macchine molecolari e della conversione fotochimica dell’energia solare. Da questo punto di vista ha ripreso il progetto proprio di Giacomo Ciamician, di mettere a punto meccanismi artificiali capaci di riprodurre i processi di fotosintesi naturale.
Notevole è il suo impegno nell’ambito dei rapporti tra scienza e società. È autore di libri di grande successo sui temi dell’energia, come Energia per l’astronave Terra e Energy for a Sustainable World scritti insieme a Nicola Armaroli.
Per motivi incomprensibili- che denotano la virata burocratica dell’ Istituzione norvegese del Nobel- nel 2016 il riconoscimento è stato assegnato ad un campo di ricerca a cui lui e i suoi collaboratori hanno contribuito in modo fondamentale- ma non a lui personalmente. Questa decisione ha suscitato proteste in tutto il mondo scientifico e una lettera di sconcerto firmata dagli scienziati più in vista di cui riportiamo uno stralcio "A oltre 50 anni dal riconoscimento a Giulio Natta - si legge nell'appello - il Nobel è stato assegnato a "un settore di ricerca nel quale l’Italia è leader internazionale grazie a Vincenzo Balzani e ai suoi collaboratori. Balzani ha contribuito in modo fondamentale non solo alla realizzazione dei primi prototipi di macchine molecolari, in collaborazione con Fraser Stoddart e Jean-Pierre Sauvage, ma anche allo sviluppo e al consolidamento dei concetti alla base di questo campo di ricerca, divenuto negli anni uno dei settori più attivi e stimolanti della chimica moderna. Balzani e il suo gruppo posero le basi progettuali per la costruzione di macchine molecolari in un articolo del 1987 e in un libro del 1991, scritto da Balzani e Scandola. [...]
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