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Numero 5 - Novembre 2020
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“Siamo sempre lo straniero di qualcun altro”

Fotografia della scuola italiana: stranieri nati In Italia, stranieri di seconda generazione bravi a scrivere, italiani- italiani indifferenti all’ ortografia...


03 Novembre 2020 | di Fabrizio Tonello

“Siamo sempre lo straniero di qualcun altro” Nella civilissima Padova, che si prepara a festeggiare gli 800 anni della sua università, succede anche questo: il primo giorno di scuola due alunni italiani vengono cambiati di plesso o di sezione su richiesta dei genitori perché in classe ci sono “troppi stranieri”. Così la classe che contava 19 alunni alla vigilia si riduce a 17 studenti, di cui 10 stranieri. In realtà, di questi, sette sono nati in Italia e quindi, se fossimo un paese normale, sarebbero già italiani (lo ius soli, che esiste negli Stati Uniti fin dal 1787, fissa quello che dovrebbe essere un ovvio, banale, indiscutibile principio: sei cittadino del paese dove nasci).
 
Due ragazzi sono arrivati in Italia lo scorso anno, Mohammed dalla Siria (indirettamente, dopo aver trascorso qualche anno in Turchia) e Moussa dall'Iran (al seguito di un padre che ha un incarico all’università di Padova, ma parla inglese). Hanno frequentato la quinta elementare fino al lockdown, ma poi con l’isolamento tutto si è interrotto. Mohammed ha cinque fratelli e la mamma è in attesa del settimo figlio. Lui è stato uno degli esclusi dalla didattica a distanza. Poi c’è una ragazza argentina, Paula, arrivata lo scorso dicembre, che però se la cava un po’ meglio con l'italiano, comprende quello che ascolta e riesce a scrivere.
 
Gli altri sette sono stranieri di seconda generazione, tutti nati in Italia. John però non sa ancora scrivere, ha 4 ore di sostegno, i genitori sono nigeriani ma il papà è morto quando lui era piccolo; vive con la zia perché la mamma è rientrata in Nigeria. Dicono che sia violento ma non sembra: certo è molto vivace e richiede molte attenzioni (si esprime a fatica con un linguaggio minimo). È abbondantemente in sovrappeso.
 
Un'altra ragazza è figlia di filippini, si chiama Viola e scrive benissimo in italiano, meglio di qualsiasi coetaneo. Alina, con genitori rumeni, è sveglia e si esprime correttamente, ma ha qualche difficoltà con la scrittura. Dall’est europeo viene anche Sara, tornata in Italia dopo avere frequentato la scuola primaria in Moldavia. Mark ha origini nel Camerun, è un ragazzo dal fisico molto atletico, gioca a basket ed è molto educato.
 
Narendra, di origini bengalesi, lascerà tra un mese l’Italia: il padre è già a Londra per provvedere a sistemare la moglie e tre figli. L'ultimo, infine, si chiama Lucio ed è figlio di due genitori cinesi, è molto timido e scrive quasi sempre la “l” al posto della “r”.
 
Le lezioni introduttive di Italiano e Storia spaziano dal mito, alle favole, alla concezione del tempo nella storia. E in questi ambiti le culture si incontrano: è la sudamericana Paula l’unica in classe a sapere chi sono i Maya, di cui si legge un mito cosmogonico: ne ha sentito parlare a scuola in Argentina, alza la mano per rispondere che sono un'antica civiltà del suo continente. La linearità del tempo viene messa in discussione anche dalla presenza del ragazzo di Isfahan: all'insegnante viene in mente che potrebbe conoscere lo Zoroastrismo e le concezioni cicliche del tempo. Inoltre in classe ci sono dei ragazzi musulmani: allora si aggiunge che l’anno zero corrisponde per quella cultura all’Egira (il 622 d. C. per noi), ma anche ebrei, romani e greci contavano diversamente e ci si perde un po' in interessanti calcoli matematici.
 
Ma veniamo agli italiani-italiani: la cosa che li accomuna di più è che 5 di loro (su 7) hanno i genitori separati o divorziati, oppure litigano in continuazione e qualcuno si allontana per qualche tempo (benvenuti nella famiglia tradizionale veneta, quella che l’onorevole Pillon vuole difendere dalla “invasione”). La seconda cosa che li caratterizza è una ben radicata indifferenza all’ortografia: dopo la correzione nei loro dettati ci sono più segni rossi e blu che sostantivi e verbi. Apostrofi, doppie, accenti per i veneti autoctoni sono terra incognita, hic sunt leones. Anche dopo essere stati costretti a ricopiare il testo correttamente scritto alla lavagna si ostinano a scrivere “lamore” piuttosto che “qualè” o magari “q’uale”.  
 
Il consiglio di classe ha deliberato un sostegno per l’alfabetizzazione ma cosa si potrà fare in poche ore? La debolezza nello scrivere, diciamo meglio, l’incapacità di usare un italiano corretto provocherà due conseguenze: da un lato il trauma del passaggio dalla terza media alla prima superiore (è lì che si situa l’abbandono scolastico) e dall’altro una persistente fragilità linguistica che si trascinerà fino alla maturità e oltre, università compresa (per carità di patria ometto di riprodurre qui citazioni dalle tesine dei miei studenti).
 
* "Siamo sempre lo straniero di qualcun altro” (Tahar Ben Jelloun)
 
 
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Fabrizio Tonello è docente di Scienza politica presso l’università di Padova, dove insegna, tra l’altro, un corso sulla politica estera americana dalle origini ad oggi. Ha insegnato alla University of Pittsburgh e ha fatto ricerca alla Columbia University, oltre che in Italia (alla SISSA di Trieste, all’università di Bologna).
Ha scritto L’età dell’ignoranza (Bruno Mondadori, 2012), La Costituzione degli Stati Uniti (Bruno Mondadori, 2010), Il nazionalismo americano (Liviana, 2007), La politica come azione simbolica (Franco Angeli, 2003).
Da molti anni collabora alle pagine culturali del Manifesto.
 
 
 
 


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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Vincenzo Balzani, Stefano Battilana, Alberto Dainese, Frank Furedi,Marco Morini, Rocco Antonio Nucera, Luca Ricolfi,
Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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