Un libro da leggere senza nostalgia. Un esempio di approccio originale ad una storia che non segue la linea del tempo con fatti, persone ed eventi collocati cronologicamente, ma cerca di ricostruire un mondo di cui si sono persi i connotati.
03 Novembre 2020 | di Fabrizio Reberschegg
Il libro di Adolfo Scotto Di Luzio, Nel groviglio degli anni Ottanta. Politica e illusioni di una generazione nata troppo tardi, Edizioni Einaudi, è un piccolo esempio di come si possa fare Storia partendo dalla storia materiale,la storia dell’immaginario, la storia dell’emozione contestuale. Un contorno necessario per capire come è stata vissuta in Italia, dai giovani italiani dell’epoca, un’epoca in cui la grande Storia segnava la fine di un periodo di illusioni rivoluzionarie e di grandi trasformazioni sociali. È un libro dedicato agli attuali cinquantenni e sessantenni, un libro autobiografico che segna il tentativo di ricostruzione della storia vista dal punto della complessità sociale, un divenire fluido e contraddittorio di simboli, immaginari ed eventi. Un tentativo, riuscito in gran parte, che potrebbe essere coniugato anche per i decenni successivi e soprattutto per la generazione dei millennials di cui tutti parlano a sproposito.
Gli anni Ottanta sono stati contraddistinti dalla vittoria globale del neoliberismo (vedi Thatcher e Reagan), dall’implosione del socialismo reale con la caduta del muro di Berlino e dai tanti strascichi degli anni Settanta che erano figli, spesso bastardi, del sessantotto. Una generazione, quella che negli anni Ottanta aveva 20-30 anni la quale non aveva vissuto da protagonista il decennio di fuoco, fiamme e piombo del decennio precedente, ma subiva gli effetti nefasti delle leggi antiterrorismo e degli epigoni del terrorismo brigatista. Una generazione che ha visto sgomenta la strage di Bologna, le trame della logga P2, la marcia dei 40mila quadri FIAT e il progressivo indebolimento del fronte della sinistra e del sindacato tradizionale. Una generazione a cui veniva raccontata nostalgicamente la primavera sessantottina, grande sole di un avvenire che non albeggiava. Una generazione che si consolava con la vittoria ai mondiali di calcio nel 1982.
Nel libro l’Autore penetra nei meandri della società e del costume di quel decennio con lucida analisi dei fatti e dei comportamenti sociali. Si toccano i tanti aspetti costitutivi della trasformazione in atto: il nuovo concetto di coppia, il ruolo dei bambini, le modificazioni nella struttura della famiglia, il lascito del movimento del ’77, il dilagare delle droghe pesanti, la musica che si apre al mondo dopo l’età d’oro del Rock, il rito ritrovato dei concerti dopo le violenze e gli assalti del decennio precedente, i viaggi in interrail...
Un patchwork, un puzzle che ricostruisce il comune sentire dei giovani che attraversavano il decennio. Ma la parte che nel nostro caso appare più significativa è quella che affronta le mobilitazioni studentesche dal 1985 fino alla cosiddetta “Pantera”. Nell’autunno del 1985 sembra rinascere il movimento del decennio passato, ma così non è. Qui non c’è la richiesta della “rivoluzione”, ma “la possibilità- che a un certo punto sembra farsi concreta- di mettersi alla prova nella sfera pubblica, di rompere l’isolamento domestico della generazione per entrare in contatto con la storia in atto”. Il “nuovo” movimento studentesco protesta contro la mancanza di aule, insegnanti e strumenti didattici per poi criticare il taglio della spesa pubblica operato dai governi dell’epoca. Da questa esperienza nasce, alla fine del 1989, il movimento universitario della Pantera che si dichiarò "politico apartitico, democratico, non-violento ed antifascista” rivendicando non solo una trasformazione della struttura e della didattica universitaria, ma soprattutto chiedendo l’abolizione della “riforma Ruberti” accusata di favorire la privatizzazione dell’università statale italiana.
La legge n.168 del 1989 introduceva formalmente l’autonomia degli atenei e istituiva il Ministero dell’Università a Ricerca. Ogni università si dotava di “statuti” deliberati con decreto rettoriale. La riforma di fatto legittimava una sorta di autogoverno in funzione degli interessi corporativi dei singoli atene,i con una apertura nei confronti del settore privato che di fatto potrebbe utilizzare l’università come articolazione del settore della ricerca e sviluppo delle imprese. Ruberti credeva che la costituzione del Ministero dell’Università potesse diventare una sorta di controllo compensativo dell’autonomia mediante l’emanazione di linee guida nazionali. Sappiamo come è andata a finire. Berlinguer, nel decennio successivo, ha ripreso e implementato il quadro della riforma introducendo il percorso tre più due, il gioco quantistico dei crediti,” riorganizzando tutto il quadro dell’istruzione nazionale, con l’ autonomia nelle scuole e con sistema statale-privato del’istruzione diventato miracolosamente “pubblico” che sarà poi il punto di riferimento dei governi di centro-destra con le ipotesi di introduzione di “statuti” per ogni istituzione scolastica.
Il movimento della Pantera fu confuso, balbettante, privo di consequenzialità e organizzazione. Un movimento che si è rinserrato dentro le facoltà con autogestioni e occupazioni tollerate, ma che non ha avuto la capacità di uscire nel territorio con una vera progettualità politica.
L’analisi di Scotto Di Luzio sconta qui una carenza che, per chi scrive, appare imbarazzante. Non si possono analizzare le dinamiche degli anni Ottanta e dei “movimenti” senza citare la nascita dei comitati di base degli insegnanti, la creazione dei Co.ba.s. e della Gilda degli Insegnanti, le grandi manifestazioni della fine di quegli anni con più di centomila insegnanti e studenti nelle piazze per chiedere la difesa della scuola pubblica statale, una rinnovata autorevolezza degli insegnanti e una formazione non curvata sulle esigenze di mercato. Senza questo movimento che si innerva nelle varie esperienze di sindacalismo di base in altri comparti e che ottiene parzialmente il risultato di un contratto di lavoro per i docenti almeno dignitoso, non si può capire il perché del movimento degli studenti del 1985 e la Pantera del 1989-90.
Chi scrive, da insegnante, ha partecipato alle assemblee studentesche degli anni Ottanta e ha sperato in una linea di continuità con le rivendicazioni del decennio precedente. Non era vero. Ha percepito una grande inquietudine e un grado di separatezza dagli strumenti della politica militante che aveva contraddistinto le sorelle e i fratelli maggiori. Eppure da quegli anni e dalle tante sconfitte che ne scaturiranno si può capire il presente.
La speranza è che i giovani di adesso e i loro “movimenti” (si veda ad es. il Fridays for future, le sardine, ecc.) evitino gli errori dei loro padri.
Il libro di Adolfo Scotto Di Luzio è un libro da leggere senza nostalgia. Un esempio di approccio originale ad una storia che non segue la linea del tempo con fatti, persone ed eventi collocato cronologicamente, ma cerca di ricostruire un mondo di cui si sono persi i connotati.
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