Luca Ricolfi, La società signorile di massa, La nave di Teseo.
03 Novembre 2020 | di Stefano Battilana
Abbiamo letto l’ultimo saggio di Luca Ricolfi “La società signorile di massa”, La nave di Teseo [1] uscito nel novembre 2019 ma tuttora attualissimo, anche in tempi di Covid. Non è facile riassumere un saggio statistico e sociologico in pochi tratti, ma è assai importante provarci, per una riflessione sul nostro tempo e in particolare sulla condizione della scuola. La tesi del libro è già nel titolo, quel todos senoresche contrasta con le leggi dell’economia, dove non ci sono pasti gratis, un ossimoro che viene spiegato nel suo evidente paradosso parametrando l’Italia, unico caso al mondo, con gli altri paesi OCSE, per arrivare poi alla conclusione che mica dura ( che TUTTI si possa vivere da signori), anche se è durata tanto. Di seguito una presentazione in tre punti, che, pur tralasciando punti salienti del libro, quali il pilastro della grande ricchezza cumulata dalle generazioni precedenti e quello del sistema paraschiavistico dei lavoratori stranieri, cerca di dar ragione di alcuni argomenti essenziali: in conclusione, il libro è tutto da leggere e meditare...
L’Italia del sorpasso (IL PANORAMA)
Negli anni del medesimo film di Dino Risi, è avvenuto un altro sorpasso metaforico: infatti proprio nel 1964 il numero di quanti non lavoravano superò quello di coloro che lavoravano. Da allora siamo passati, considerando la prevalenza demografica degli inoccupati, a una Repubblica fondata sul non-lavoro, fino ad arrivare a un rapporto, sull’intera popolazione italiana, di circa 55/45, unico paese OCSE, assieme alla Grecia, in cui chi non lavora supera, in percentuale, chi lavora.
Vi è inoltre un secondo elemento, sempre una specie di sorpasso dei parametri precedenti, che riguarda il surplus dei beni di consumo, consumi “da signori” in senso lato, quali vacanze lunghe ed esotiche, weekend frequenti ed esclusivi, sport costosi, cura della persona e dell’alimentazione e via proseguendo. Questo surplus non è esattamente misurabile ma si può quantificare in circa tre volte il livello di sussistenza: cioè siamo “ricchi”, in termini di consumi signorili e opulenti, ben tre volte il livello dei normali consumi che stanno sopra la soglia di povertà. E non sono i soliti due polli di Trilussa iniquamente distribuiti, non c’è sperequazione nella maggioranza degli italiani: il benessere è diffuso in oltre la metà della popolazione e “i ristoranti sono pieni”, come disse Berlusconi, criticatissimo ma veritiero.
Questi sono i due elementi di una società che vive ben al di là dei propri mezzi, in un contesto economico in cui il PIL ha smesso di crescere da un decennio e il suo incremento è stato in calo costante dagli anni ’70. Nonostante la stagnazione del PIL, la ricchezza degli italiani è cresciuta in modo esponenziale, (“l’America è qui!”, come ho sentito dire con rammarico a chi era emigrato in Sudamerica, una volta tornato in Italia, pur avendo fatto fortuna), tanto che i nostri giovani hanno, rispetto ai loro coetanei europei, il più alto tasso di “eredità attesa”, cioè di capitale mobile e immobiliare che ci si aspetta di ricevere dalla famiglia di origine
L’illusione della scuola (LE CAUSE)
Giovani benestanti, con alte aspettative, sia in termini di patrimonio familiare che di prospettive di lavoro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: abbiamo il più alto tasso di NEET (31 %) in Europa, giovani dai 25 ai 29 senza alcuna attività o studio. Molti di questi sono in possesso di un titolo di studio di scuola superiore o universitario, sovrastimato rispetto alle loro reali possibilità di occupazione qualificata. Questo Ricolfi lo attribuisce a quella che chiama la “distruzione della scuola”, utilizzando l’inedito concetto di “produttività scolastica”: cioè, dato un determinato set di conoscenze, quanti anni ci vogliono perché uno studente lo raggiunga? Risposta facile: ce ne vogliono sempre di più. Ricolfi sostiene addirittura il doppio: produttività scolastica dimezzata, quindi. Del resto, è lo stesso fenomeno lamentato dai professori universitari quando dicono che i loro studenti ne sanno come quelli delle scuole superiori, dai professori delle superiori quando stimano i loro studenti come quelli delle medie e via scendendo, giù per li rami.
E quando è iniziata questa dequalificazione della scuola? Secondo Ricolfi proprio con l’avvento della scuola di massa: con la scuola media unificata del 1962, con l’accesso indiscriminato alle facoltà universitarie del 1969, con l’abbassamento progressivo degli standard richiesti e con la relativa facilità di ottenere un diploma senza troppo impegno. Il fatto che questa situazione possa essere considerata un effetto atteso della democratizzazione della scuola, nulla toglie all’effetto perverso di una scuola che ha bloccato l’ascensore sociale: se la scuola è facile per tutti, produce titoli senza valore e solo chi ha alle spalle una famiglia con possibilità troverà un’occupazione professionale. Peraltro, l’inflazione di titoli di studio non direttamente produttivi (un corollario dello schema tutto gentiliano dell’istruzione nazionale) genera nei giovani un rifiuto del lavoro non qualificato inducendoli alla disoccupazione volontaria, un fenomeno anche questo principalmente italiano e legato all’elevato numero di NEET.
L’amara constatazione è che la scuola elitaria di massa riproduce quel fissismo sociale che la generazione dell’autore (nato negli anni ’50) aveva potuto evitare. Con una differenza in peggio, tuttavia: il figlio del calzolaio, pur avendo prospettive non più rosee del genitore, non farà più comunque il calzolaio perché non è più consono con i suoi studi. Preferirà non fare nulla in attesa di un’improbabile professione da giovin signore.
Vita di Jacopo (IL PRESENTE E IL FUTURO)
Jacopo è un paradigma, essendo il nome di fantasia che l’autore dà a un immaginario giovane in predicato di essere un NEET, come circa un terzo dei giovani italiani in età 25-29. Ne descrive la vita piuttosto agiata, i contatti sociali, le prospettive e il patrimonio atteso, che ne salverà il futuro da rentier. C’è una battuta in questo mondo moderno e dai consumi opulenti che rende icasticamente il clima della “società signorile di massa”: una volta si chiedeva “Che lavoro fai?”, oggi si chiede, più edonisticamente, “Che vita fai?”. Stiamo ballando sulla tolda e i nostri giovani non vedono o non possono evitare l’enorme iceberg contro cui stiamo andando? Può darsi ma la correzione di rotta è ancora possibile, a partire dalla scuola, vittima oggi di un eccesso di offerta quantitativa e indiscriminata e che invece dovrà tornare sui propri passi, diventando scuola di qualità di massa.
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[1] Il saggio di Luca Ricolfi, La società signorile di massa, era stato già recensito da Fabrizio Tonello nel numero di gennaio 2020 di Professione docente. Presentiamo ora un’ altra analisi, orientata in particolare sulle riflessioni dell’ autore sulla scuola.
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