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Numero 6 - Giugno 2012
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Pareggio di bilancio in costituzione: un capestro per la scuola e per il welfare

Con questa novità, la scuola continuerà a pagare. Ogni manovra, per garantire il pareggio di bilancio, dovrà prevedere ancora tagli e riorganizzazioni


29 Maggio 2012 | di Fabrizio Reberschegg

Pareggio di bilancio in costituzione: un capestro per la scuola e per il welfare Nel più assordante silenzio da parte della stampa e dei principali partiti e sindacati è stata approvata la più importante riforma costituzionale in Italia dal 1948. Il 20 aprile 2012 è stata pubblicato in G.U. il testo della legge di revisione costituzionale n. 1/2012 sul pareggio di bilancio. Con tale provvedimento si modifica pesantemente l'art. 81 e parzialmente gli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione della Repubblica Italiana. La maggioranza del parlamento non ha permesso che la riforma fosse oggetto di referendum costituzionale come previsto dall'art. 138 della Costituzione.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella concezione stessa dello Stato che riporta le lancette della storia al XIX secolo e impone di fatto la cancellazione della politica economica come la conosciamo. Alcuni hanno giustamente detto che con legge si è abolita la teoria keynesiana e che si è adottata la teoria politica ed economica liberista a pensiero unico.

Introdurre il pareggio di bilancio al netto del pagamento degli interessi in Costituzione significa che lo Stato Italiano si obbliga fino a nuova riforma della Costituzione a non usare mai più la leva dell'indebitamento per finanziare investimenti e spesa pubblica sociale. Tutte le future spese dello Stato dovranno essere finanziate direttamente dalla leva fiscale e da tagli nella spesa pubblica, con particolare riferimento alla spesa corrente. Tutti gli Stati hanno usato e usano lo strumento dell'indebitamento per il rilancio dell'economia in particolare nelle fasi basse del ciclo economico. L' Italia, seguendo acriticamente le indicazioni della finanza europea, ha voluto essere più realista del re ingessando radicalmente l'ambito di libertà e di sovranità della sua politica economica. Il concetto di pareggio di bilancio dallo Stato si trasferisce alle autonomie locali e ai comparti dei ministeri. Ciò comporta che aumenti di spesa pubblica potranno avvenire solo in presenza di un aumento del gettito fiscale, fatto improbabile nei momenti di recessione, o di un aumento della produttività delle amministrazioni pubbliche. Traducendo, potremo immaginare nuove risorse per la scuola o la sanità solo tagliando le spese ''improduttive'', riducendo strutturalmente gli organici, comprimendo salari e stipendi e aumentando di fatto l'orario di lavoro a parità di retribuzione.

Il vero problema resta quello della mancanza della politica nazionale e soprattutto di una Unione Europea che ormai ha perso la sua credibilità come entità politica. Se si pensa che per i trattati U.E.la Banca CentraleEuropea non può svalutare l'euro nè introdurre correttivi all'erogazione dei prestiti ai paesi dell'area euro, si può ben capire che in Europa non dominino i poteri politici ma gruppi di poteri finanziari. In un mondo caratterizzato dalla globalizzazione dell'economia, e non dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, i governi hanno imboccato la scelta del progressivo smantellamento del welfare state come era stato abbiamo costruito nel secolo scorso. Una scelta sciagurata che rischia di segnare pesantemente la democrazia intesa come potere decisionale che proviene dal popolo sovrano.

Che cosa non si dice
La paura della Grecia. Non si dice che la Greciaè tecnicamente in default da due anni, che in Grecia si chiudono le scuole e gli ospedali, che si sono abbassati drasticamente salari e pensioni. Non si dice che lo stesso sta per avvenire in Portogallo e Irlanda, che la Spagnaè in recessione peggio che da noi, che anche l' Inghilterra è in recessione. Un default italiano rappresenterebbe la fine dell'euro e dell'UE e quindi non sarebbe auspicabile da nessuno. Sarebbe importante- a questo punto- che l' Italia facesse valere la propria forza all'interno dell'Unione per spingere chiaramente verso una inversione di rotta nelle inefficaci politiche economiche adottate sinora, politiche che hanno scaricato soprattutto sul ceto medio gli oneri della crisi. La riforma della Costituzione è una scelta pericolosa che rischiamo di pagare caro se non si ribadisce l'autonomia della politica dall'economia. La storia è lastricata da bancarotte degli Stati e da incredibili invenzioni finanziare per giustificare la montagna illusoria di ricchezza finanziaria che opera senza alcuna copertura nell'economia reale. Una finanza ridotta ad una partita a poker, basata- come in essa- sul bluff. Occorre cambiare rotta e mettere al centro i bisogni delle persone e della società piuttosto che stolte ''leggi'' economiche che portano solo a disastri.

Intanto la scuola continuerà a pagare. Ogni manovra, per garantire il pareggio di bilancio, dovrà prevedere ancora tagli e riorganizzazioni. Stiamo da cinque anni aspettando il nuovo contratto, sono ancora congelati gli scatti di anzianità, peggiorano le condizioni lavorative dei docenti, andremo in pensione a 67 anni. Sarebbe giunto il tempo di dire basta.


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Numero 6 - Giugno 2012
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
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Hanno collaborato a questo numero:
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