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Numero 7 - Settembre 2012
Numero 7 Settembre 2012

La cancellazione delle SSIS: una scelta irresponsabile e confusa

La cancellazione non è stata solo culturale: fatto senza precedenti, si è soppressa la struttura formativa non sostituendola, ma in attesa di sostituirla. Intervista a Giunio Luzzatto


30 Agosto 2012 | di Renza Bertuzzi

La cancellazione delle SSIS: una scelta irresponsabile e confusa
1) Professor Luzzatto*, lei è considerato uno dei padri delle SSIS, quelle scuole per l' insegnamento la cui esperienza è stata interrotta. Quali sono stati i principi che avevano ispirato l' idea di '' scuole per l' insegnamento''?
I ''principi'', in positivo, derivavano in larga misura dall'analisi di dati negativi, presenti nel sistema italiano, quali i seguenti:
I) La tradizione gentiliana di attenzione ai soli contenuti disciplinari, e non anche alle metodologie di insegnamento. - N.B.: il neretto a ''anche'' significa che nessuno tra coloro che hanno progettato questo percorso sostiene che l'acquisizione di competenze didattiche deve sostituire le conoscenze disciplinari. Attribuirci questa stupidaggine, per poterla poi contestare, è stato il giochino polemico di personaggi come il prof. Giorgio Israel.
II) La convinzione, perciò, che il possesso della laurea fosse condizione sufficiente, oltre che necessaria, per insegnare, e che la selezione concorsuale dei futuri docenti dovesse basarsi su prove meramente contenutistiche.
III) L'abitudine alla separatezza: tra le istituzioni (università versus sistema scolastico), all'interno delle istituzioni (le diverse Facoltà), tra le persone (i docenti delle differenti materie, negli Atenei come nelle scuole).
Il filo conduttore dell'impostazione SSIS è il superamento di questa realtà. Da ciò la centralità di indicazioni relative all'integrazione tra le istituzioni, alla collegialità nel lavoro delle persone.


2) Quali sono gli strumenti del mestiere di insegnare?
Parlerei, in termini ancora più larghi, del mestiere dell'insegnante. Esso comprende l'insegnare la propria disciplina con tutte le più adeguate metodologie didattiche -e già non è poco-, ma è ancora più complesso; il docente non è un professionista individuale, ma opera in un contesto sociale. Piuttosto che esprimere opinioni personali, voglio qui far riferimento proprio al documento di base delle SSIS, il Decreto istitutivo del 26 maggio 1998. Esso determina il percorso formativo in funzione della figura professionale da formare, e individua perciò ''attitudini e competenze'' che caratterizzano il profilo dell'insegnante, schematizzandole in 12 punti (Appendice A al Decreto). Per riassumerne solo alcuni, l'insegnante deve saper ''assumere i bisogni formativi e psicosociali degli allievi al fine di promuovere la costruzione della loro identità personale'', ''organizzare il tempo, lo spazio, i materiali, anche multimediali, per fare della scuola un ambiente per l'apprendimento di ciascuno e di tutti''. Cito per intero l'ultimo punto, perchè indica esigenze sempre più attuali: ''Assumere il proprio ruolo sociale nel quadro dell'autonomia della scuola, nella consapevolezza dei doveri e dei diritti dell'insegnante e delle relative problematiche organizzative e con attenzione alla realtà civile e culturale (italiana ed europea) in cui essa opera, alle necessarie aperture interetniche nonchè alle specifiche problematiche dell'insegnamento ad allievi di cultura, lingua e nazionalità non italiana.'' Questo docente vive nell'interazione con i colleghi: la SSIS è Scuola ''di Ateneo'', unitaria anche se una parte del curricolo si articola ovviamente in ''indirizzi''
corrispondenti alle discipline del futuro insegnamento, perchè formarsi insieme oggi è la premessa per capirsi, e perciò per poter collaborare, domani.


3) Nella formazione dei docenti, alcuni puntano più sull'attenzione alle discipline, altri sui metodi, distinti dalle discipline. Qual è la sua visione del problema?
Le due posizioni non sono simmetriche: vi è chi ritiene sufficienti le discipline, mentre -come ho rilevato fin dall'inizio- chi evidenzia il ruolo fondamentale delle metodologie didattiche le inserisce proprio sulle discipline. Facendo ancora riferimento all'organizzazione didattica della SSIS (Decreto del 1998), essa prevedeva quattro aree, con pesi pressochè uguali: le Scienze dell'educazione (non solo pedagogia e didattica ''generali'', ma anche psicologia dell'età evolutiva, sociologia dell'educazione, tecnologie didattiche); le didattiche disciplinari; i laboratori didattici; il tirocinio (sul campo e ''indiretto'', cioè la riflessione critica sulla pratica). Didattica disciplinare e relativi laboratori, metà del totale, rappresentavano la cerniera del sistema: anche le discipline ''educative'', così come quelle contenutistiche, rischiano di essere accademiche se isolate, e a sua volta il tirocinio rischia di essere mero apprendistato, mentre didattica e laboratori disciplinari sono il luogo di sintesi tra teoria e pratica. Per realizzare questa sintesi è decisivo che la progettazione curricolare sia robusta e collegiale, e che la collegialità si estenda anche in direzione di attività formative cogestite da èquipes docenti.


4) Che giudizio esprime sulle nuove modalità di formazione dei docenti, che non prevedono più una scuola specifica per l' insegnamento?
Il mio giudizio è negativo, sia per il metodo sia per il merito.
Quanto al metodo, anzichè analizzare risultati e carenze di quanto era stato iniziato, per correggere ciò che andava corretto, si è voluto ignorarlo: tabula rasa, si riparte da zero. Le insufficienze c'erano: l'impostazione sopra sommariamente riassunta era spesso rimasta sulla carta, molti ''disciplinaristi'' riproponevano sotto l'etichetta della didattica i propri corsi di meri contenuti, molti ''educazionisti'' presentavano teorie pedagogiche o addirittura filosofiche in termini astratti, mentre l'esigenza dei futuri insegnanti è quella di acquisire strumenti per comprendere e perciò saper gestire la vita delle classi scolastiche. Ancora, la persistenza della mentalità individualistica, tipica dei professori universitari, faceva sì che l'obiettivo della collegialità fosse spesso molto lontano; e la difficoltà del dialogo interdisciplinare rendeva spesso scarso il legame tra i diversi indirizzi. Il superamento di tutti questi limiti attuativi avrebbe potuto costituire un ottimo obiettivo, ma si è scelto invece di cancellare il passato. La cancellazione non è stata solo culturale: fatto senza precedenti, si è soppressa la struttura formativa non sostituendola, ma in attesa di sostituirla. L'attesa è durata quattro anni, e la confusione in cui sta ora decollando il nuovo sistema è effetto di tale irresponsabile scelta.
Quanto al merito, questo nuovo sistema si fonda sulle separatezze e sui compartimenti stagni: non solo si attribuiscono tutti i poteri, isolando tra loro i percorsi formativi delle diverse abilitazioni, alle singole Facoltà, ma si giunge addirittura a esplicitare il divieto di una gestione unitaria. Il percorso si è ridotto da 7 a 6 anni (è l'unico elemento positivo), ma squilibrandolo: intatti i cinque anni di mere discipline, ridotta da due a un anno la parte professionalizzante. E, all'interno di questa, è stato sacrificato soprattutto il nucleo più qualificante, la didattica disciplinare con i suoi laboratori. Anche tra responsabilità universitaria per i ''corsi'', responsabilità delle scuole per il tirocinio, c'è una logica di spartizione, non di integrazione.
In sintesi, purtroppo, quelli che prima erano limiti attuativi ora sono scelte di partenza.


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*Docente di Analisi matematica presso l'Università di Genova. Componente del gruppo europeo dei 'Bologna Experts' per la convergenza europea dei sistemi di istruzione superiore. È Presidente del CARED, Centro di Ateneo per la Ricerca Educativa e Didattica dell'Università della CONCURED (Conferenza Nazionale dei Centri Universitari per la Ricerca sull'Educazione e la Didattica). E' membro del Consiglio di Presidenza di '' Libertà e Giustizia''.

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Numero 7 - Settembre 2012
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