13 settembre 2012, convegno a Firenze sul tema
30 Settembre 2012 | di Redazione
Lo scorso 13 settembre un pubblico attento e interessato ha seguito il convegno: 'Star bene a scuola ovvero della valutazione dello stress lavoro correlato al miglioramento della qualità di vita', organizzato dalla Gilda degli Insegnanti di Firenze, con il Centro studi nazionale e l'Associazione docenti Art. 33.
Al convegno ha portato un saluto, non formale, il direttore dell'USR Toscana, la dott.ssa Angela Palamone, che ha accolto l'iniziativa con grande favore.
Silvana Boccara, la nuova coordinatrice della Gilda di Firenze, ha aperto il convegno evidenziandone le ragioni e ricordando la necessità che ogni scuola si doti di un DVR (Documento Valutazione Rischi) costruito a norma di legge.
I qualificati relatori hanno approfondito i diversi aspetti dello stress lavoro correlato nella scuola: la definizione del fenomeno e dei suoi aspetti psicologici (Emanuele Bartolozzi), l'esegesi e l'analisi della normativa (Roberta Santoni Rugiu), le possibili cause del disagio dei docenti (Gianluigi Dotti), la fatica di insegnare nella scuola attuale (Valerio Vagnoli), gli effetti dell'autonomia e delle riforme sulla professione docente(Fabrizio Reberschegg), il concetto di qualità di vita e gli errori della 'mistica professionale' (Giampaolo La Malfa), il caso pratico e i possibili interventi legali (Ivan Becchini).
Durante l'incontro è stata presentata anche una nuova ricerca del dott. Orlandini su un campione di 92 insegnanti fiorentini che conferma la letteratura scientifica in materia di burn-out: tanto più è percepita positivamente l'organizzazione del lavoro nella quale opera il docente, tanto più basso è il rischio di scivolare nel burn-out.
Infine Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, ha ricordato il grande interesse del sindacato per il tema, strettamente legato alla professione docente e a quelle criticità che l'Associazione ha da tempo indicate, come ad esempio l'eccessivo carico burocratico.
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Pubblichiamo una parte della relazione di Valerio Vagnoli, che si trova completa nel blog del Gruppo di Firenze http://gruppodifirenze.blogspot.it/
La fatica di insegnare. Di Valerio Vagnoli
[...] Accanto alle situazioni di ''normale'' - si fa per dire - difficoltà, ce ne sono altre specialmente in certi indirizzi di studio, in cui la fatica diventa talvolta tale da potersi definire disumana, inaccettabile in un qualsiasi contesto lavorativo, soprattutto per la lesione alla dignità personale che comporta. Una situazione assai ricorrente negli istituti professionali, in cui sono sempre più numerosi gli studenti demotivati che vivono il loro trovarsi a scuola come una vera e propria costrizione, rendendo così la vita scolastica impossibile sia ai loro compagni sia a quei docenti che si trovano disarmati di fronte a situazioni degne piuttosto di curve da stadio che non di un contesto scolastico.
A rendere sempre più drammatica l' esperienza di molti docenti, vi è da tempo una loro diffusa e ben orchestrata colpevolizzazione che sempre più frequentemente li vede indicati come i soli responsabili delle situazioni ingestibili, come incapaci di motivare e coinvolgere studenti spesso demotivati, ma sostenuti da genitori iperprotettivi che accusano la scuola di non essere in grado di capire e valorizzare i loro figli. Va detto con forza che aver colpevolizzato la scuola quale pressochè unica responsabile dei fallimenti degli studenti, ha contribuito a deresponsabilizzare le famiglie rispetto ai loro compiti educativi, con la conseguenza che sono sempre più numerosi i ragazzi (ma anche i bambini) che non riconoscono autorevolezza al docente e che intendono la scuola, nella migliore delle ipotesi, come un castigo a cui si devono sottomettere per legge, per consuetudine o per volontà dei genitori.
Va aggiunto, inoltre, che la mancanza di un serio sistema di formazione professionale obbliga molti adolescenti a frequentare le aule scolastiche contro la loro volontà, senza quindi reali motivazioni. La conseguente, inevitabile serie di frustrazioni si traduce spesso in continue provocazioni nei confronti dei loro docenti che si trovano talvolta isolati nell'affrontare situazioni di ogni genere, che molti di voi purtroppo conoscono assai bene.
Ma, tornando a quanto poco prima accennato, cioè a quella ormai diffusa abitudine da parte dei genitori, e di una parte dell'opinione pubblica, di colpevolizzare i docenti per i mali del sistema scolastico, ritengo che questa tendenza non sia nata spontaneamente, ma sia in gran parte da addebitare a tutti coloro - politici, sindacalisti, opinionisti, pedagogisti - che hanno preteso che la scuola diventasse completamente subalterna a presunti ''diritti'' dell'utenza; beninteso non di quelli sacrosanti che sono alla base di un sistema scolastico democratico, ma quelli compendiabili un po' all'ingrosso nel motto: il cliente ha sempre ragione. Del fatto che i diritti abbiano senso se declinati insieme ai corrispondenti doveri, quasi mai si sente parlare. Binomio, questo, irrinunciabile in un percorso educativo che si ispira ai principi della democrazia, altrimenti vi è il rischio (o meglio la certezza) di non tramandare alle future generazioni il rispetto della legalità, delle regole e della stessa democrazia. Sono fermamente convinto che certa deriva populista dei nostri ultimi anni abbia trovato la propria palestra proprio nella politica scolastica degli scorsi decenni, che ha destrutturato la qualità del sistema scolastico facendo credere che la scuola di massa equivalesse alla soddisfazione delle pretese, delle aspettative dell'utenza, quest'ultimo orribile termine che inaugurò un vocabolario scolastico educativo di cui vergognarsi se paragonato ai termini chiari e specifici della nostra tradizione scolastica. Una destrutturazione - quella della scuola e dei docenti, ma anche dei ruoli genitoriali - portata avanti anche da persone in buonafede che si riconobbero nelle proposte educative dei tanti dottor Spock che fiorirono nel e dopo il '68 e che assimilarono da maestri del genere la visione di una scuola priva di regole e di rigore. Ancora oggi molti continuano a scambiare per autoritarismo l'imposizione di limiti e di regole, di cui è fatto l'indispensabile, graduale percorso di accettazione del principio di realtà. Questo protrarsi di un'acritica deriva antiautoritaria ha finito per indebolire gravemente la capacità degli educatori di guidare e sostenere la crescita dei ragazzi. Naturalmente simili concezioni non si sarebbero affermate così facilmente senza il contributo dell'evoluzione demografica, che ha trasformato i figli in un ''bene scarso''. In quanto tale, un bambino si trova spesso circondato da premure, preoccupazioni e aspettative che gli consegnano un elevato ''potere negoziale'', diciamo pure di ricatto, se i genitori non sono consapevoli delle reali necessità del suo sviluppo. Delle conseguenze del passaggio dall'educazione tradizionale a quella che convenzionalmente chiameremo ''post-sessantotto'' si sono resi conto gli psicoterapeuti osservando l'evoluzione delle difficoltà psicologiche. Dagli anni sessanta a oggi sono via via diminuite le patologie derivanti da un Super-Io troppo esigente, mentre crescevano a dismisura le patologie del narcisismo: bisogni compulsivi di attenzione, permalosità, capricci, sentimenti di onnipotenza, oppositività.
Come poteva questa crisi educativa non riflettersi sulla scuola in modo spesso distruttivo?[...]
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