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Numero 6 - Giugno 2013
Numero 6 Giugno 2013

Ma è davvero necessaria la valutazione Invalsi?

Le critiche giunte anche da numerosi intellettuali italiani e la ormai diffusa consapevolezza che è opportuno rivedere modalità e contenuti dell'attività di valutazione mediante test impongono di aprire urgentemente un dibattito tra i docenti e tra i politici per ripensare criticamente tutta la logica della valutazione del sistema scolastico nel nostro Paese


29 Maggio 2013 | di Fabrizio Reberschegg

Ma è davvero necessaria la valutazione Invalsi? Ma è davvero necessaria la valutazione Invalsi? In occasione delle prove Invalsi, calate dall'alto nel mese di maggio in tutte le scuole, si è riaccesa la polemica sulla valutazione delle scuole e, in particolare, sull'uso di test standardizzati. Per capire cosa sta accadendo è bene fare un passo indietro. Prima della riforma berlingueriana la didattica era sostanzialmente incentrata su conoscenze e capacità che si sviluppavano seguendo i programmi nazionali definiti centralmente dal Ministero del'Istruzione e che dovevano essere rispettati dalle scuole e dai docenti. Il corpo ispettoriale e gli esami di Stato ( ricordiamo che l'esame di maturità era gestito con commissioni esterne i cui membri provenivano dalle scuole di tutta Italia) dovevano essere garanzia di omogeneità nella valutazione degli esiti finali. Tale sistema non era esente da critiche e malfunzionamenti e ciò ha facilitato le richieste di riforma che hanno sposato alla fine degli anni '90 del secolo scorso il pensiero unico di stampo liberista che prevedeva la necessità per imprese pubbliche e private e settore scolastico di procedere a valutazioni ''oggettive'' concernenti le competenze misurabili in crediti o in standard di efficienza ed efficacia. Di fatto si è trattato di riversare sul settore pubblico una serie di teorie legate al cosiddetto ''capitale umano'' che, riconosciuto nella teoria economica formale a partire dalla scuola economica di Chicago negli anni '50, diventava fattore determinante della produzione e come tale direttamente misurabile in termini di investimento e di efficacia. Tali impostazioni sono diventate la base su cui fondare le politiche di formazione e istruzione nei paesi dell'Unione Europea nel tentativo di creare una griglia di equipollenze tra i diversi titoli e i diversi percorsi scolastici. Dal trattato di Lisbona (2007) si è infatti arrivati alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell'UE del 23 aprile 2008 che ha introdotto l'European Qualification Framework (EQF), con l'obiettivo ''di istituire un quadro di riferimento comune che funga da dispositivo di traduzione tra i diversi sistemi delle qualifiche e i rispettivi livelli, sia per l'istruzione generale e superiore sia per l'istruzione e la formazione professionale''. Per consentire la commensurabilità e la comparazione tra scuole/imprese è stato introdotto e potenziato il sistema dell'autonomia scolastica basato su logiche aziendali e di concorrenza tra istituzioni scolastiche intese come ''servizio''.
Il nostro Paese ha coniugato acriticamente le indicazioni dell'UE all'interno della riforma berlingueriana con l'introduzione di un Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) basato sul ruolo tecnico dell'Istituto Invalsi e su ruolo di supporto pedagogico-didattico dell'Indire, poi diventato Ansas e ultimamente ridiventato Indire. Il tutto sposando, sempre con incredibile superficialità, l'ideologia delle competenze commensurabili e dando fiato alla congerie di economisti- tecnici e politici che alzava il vessillo della ''meritocrazia''. Ricordiamo che, dopo la famosa lettera di Draghi-Trichet, del settembre 2011 il governo italiano ha confermato di voler procedere al potenziamento del sistema di valutazione anche in termini di premialità.
Il grande pericolo attuale è che gli strumenti di valutazione, come ad esempio i test Invalsi, nel contesto della didattica per competenze siano concepiti essi stessi come una rinnovata e falsa riproposizione di una sorta di programmazione/progettazione didattica, non più decisa dalla politica, ma da una casta di esperti e tecnocrati, e diventino così la finalità e non il mezzo per la valutazione. I test Invalsi, essendo ''scientifici'' e misurabili in maniera comparativa tra scuola e scuola e tra territori diversi sono infatti percepiti da molti burocrati ministeriali e da troppi dirigenti scolastici come il vero metro per valutare la qualità dell'insegnamento e del ''servizio'' offerto all'utenza/clientela spingendo a vedere nella loro attuazione e nei loro risultati asettici il metro della qualità del ''servizio'' erogato.
I risultati di queste scelte sciagurate sono noti: si impone il teaching to the test (si insegna a superare i quiz), si dequalifica la figura del docente a semplice facilitatore e mediatore culturale (tanto sono i test che fanno fede del risultato raggiunto nell'insegnamento), si immaginano premialità in termini di finanziamenti o di progressione stipendiale per le scuole e i docenti che raggiungono le performance migliori. Nei paesi in cui sono state poste in essere tali strategie i risultati sono stati pessimi e si è accentuato il declino progressivo della qualità dell'istruzione e della formazione. Non è un caso che molti governi, in particolare dei paesi anglosassoni in cui il testing è attività diffusa, stanno cercando correttivi per tornare sui loro passi.
I docenti italiani, già esasperati dalla mole di lavoro burocratico derivante dalla certificazione delle competenze e ai compiti connessi alla complessità delle varie normative imposte (sicurezza, DSA, Bes, educazione alla legalità, ecc. ecc.) hanno dimostrato anche quest'anno la loro significativa insofferenza nei confronti del testing Invalsi, soprattutto dopo il riconoscimento dell'attività Invalsi come ''attività ordinaria'' nelle scuole con la legge di stabilità 2013.
Le critiche giunte anche da numerosi intellettuali italiani e la ormai diffusa consapevolezza, anche da parte dello stesso Invalsi, che è opportuno rivedere modalità e contenuti dell'attività di valutazione mediante test, impongono di aprire urgentemente un dibattito tra i docenti e tra i politici. Non solo per contrastare l'invadenza dell'Invalsi, diventata dopo l'approvazione del recente regolamento sul sistema di valutazione nazionale, il vero deus ex machina con poteri addirittura superiori al MIUR, ma soprattutto per ripensare criticamente tutta la logica della valutazione del sistema scolastico nel nostro Paese.
Quali potrebbero essere alcune proposte concrete?
• Ridimensionare il testing Invalsi abolendo la obbligatorietà per tutte le scuole e coinvolgendo solo un numero ridotto di scuole sufficiente a coprire un campione significativo solo per fini statistici;
• Eliminare l'inserimento delle prove Invalsi all'interno della valutazione dell'esame di terza media, fatto che anche il sottosegretario Rossi Doria ha riconosciuto come una forzatura.
• Somministrare i test solo per via telematica dando all'Invalsi il compito di correzione e tabulazione senza coinvolgere i docenti in attività che nulla hanno a che vedere con la didattica.
• Ripensare complessivamente l'uso del testing Invalsi mettendo in chiaro che può essere utilizzato solo per una parte assolutamente minoritaria della valutazione delle scuole (che può essere fatta da altri soggetti quali ispettori, nuclei ai autovalutazione e valutazione composti da docenti, ecc.) mai per valutare le prestazioni dei singoli docenti.
• Rigettare con forza qualsiasi ipotesi di utilizzo dei test Invalsi per introdurre premialità per le scuole e per i singoli docenti.
• Ricostituire per l'esame di Stato commissioni esterne non legate al territorio per garantire un minimo di omogeneità nella valutazione dei risultati.
Ma è intanto necessario che i Collegi dei Docenti in tutte le scuole a settembre 2013 NON DELIBERINO L'INSERIMENTO DELLE PROVE INVALSI NEL POF E NEL PIANO DELLA ATTIVITA'. Se i Collegi le deliberassero, legittimerebbero l'uso del testing imposto dall'Invalsi e accetterebbero che il docente diventi semplice somministratore di test. Non solo, diventerebbe anche difficile contrastare il prossimo anno scolastico le pretese del MIUR e dei dirigenti scolastici. Per contrastare l'ideologia del testing e della misurabilità oggettiva della ''qualità'' della scuola italiana è soprattutto urgente che si apra una vera campagna culturale per contrastare il pensiero unico della meritocrazia oggettiva coinvolgendo intellettuali, pedagogisti, politici, studenti e famiglie. La Gilda si impegna a fare questo, ma è fondamentale la solidarietà di tutti i docenti al di là delle semplici rivendicazioni sindacali. Non sarebbe una grande vittoria professionale quella di essere pagati in più per fare i test Invalsi......

ALLEGATI


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Numero 6 - Giugno 2013
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
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Hanno collaborato a questo numero:
Mauro Bozzoni, Rosario Cutrupia, Tommaso De Grandis, Michela Gallina.