La linea politica della Gilda non ha mai avuto tentennamenti. Fondata sulla concezione costituzionale ha da tempo segnalato le elusione della Carta costituzionale da parte dei politici. Continuerà a farlo, sempre, senza tregua
01 Settembre 2013 | di Renza Bertuzzi
'' Si può cambiare la Costituzione?, e come? Per tutto il 1947 la Costituente discusse appassionatamente questo punto cruciale. Tutti erano d' accordo che la carta è '' nelle sue grandi mura definitiva e deve aver vita di secoli'' ( Meuccio Ruini), e che va intesa come '' rigida'', un insieme organico di cui non si può cambiare un articolo senza incidere nell' insieme'' ( Salvatore Settis, I Custodi della Carta, in Repubblica, 28 Luglio 2013). Così pensavano i grandi padri costituenti, coloro che - ben lontani dalla tipologia odierna del politico- hanno scritto la nostra Costituzione. Che i principi costituzionali non siano soggetti a revisione ( magari da parte del primo che abbia interessi particolari) è un dato assodato. Le Costituzioni dei grandi Paesi - Stati Uniti, Francia ben più '' vecchie'' della nostra- sono ancora intonse e nessuno pensa di cambiarle.
In Italia, invece, si è mosso da qualche tempo un vento funesto che intende abbattere quelle mura e si agita tenace, senza demordere, per modificare perfino quei principi di base contenuti nella I parte della Costituzione e che dovrebbero essere immodificabili per precisa e inoppugnabile sentenza della Corte costituzionale. ''L' inammissibilità di interventi volti a modificare quel nucleo di valori fondamentali è stata esplicitamente affermata dalla corte costituzionale. In una famosa sentenza del 1988, relatore Antonio Baldassarre, si è detto che '' la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre legge costituzionali'', perchè '' appartengono all' essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana''. Vi è dunque un limite insuperabile da chiunque intenda aggiornare o modificare la Costituzione'' (1).
La concezione della scuola ( art. 9, 33 e 34) è contenuta, tutta, nella prima parte e quindi dovrebbe essere non modificata ma difesa e tutelata proprio da quella classe politica che ha giurato fedeltà ai principi costituzionali ( !).
Così non è e sempre di più assistiamo sgomenti ad interventi e operazioni gravi e inaspettate.
Ci riferiamo qui al problema dei Finanziamenti a quelle scuole che la Legge 10 marzo 2000, n. 62- Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione- ha inserito nel sistema nazionale di istruzione ( Articolo 1, Comma 1. Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, comma 2 della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali). Questa Legge, secondo il parere di autorevoli costituzionalisti ha dubbia validità costituzionale ['' Rischi reali, per il servizio pubblico dell'istruzione, come in altre occasioni ho segnalato, vengono dalla legge sulla parità scolastica (legge n. 62/2000), dal momento che essa ha consentito l'ingresso di scuole di tendenza nel servizio pubblico dell'istruzione.'' In ''Generale'' non è ''pubblico'': Carlo Marzuoli chiarisce il principio di sussidiarietà. Intervista a cura di R. B. di Professione Docente a Carlo Marzuoli]. Infatti all' Art. 1 comma, 3 della suddetta Legge si afferma : ''Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi''. In sostanza si riconosce alle scuole provate il diritto di selezionare gli studenti in base a principi ideologici o religiosi, in grave contrasto con la Costituzione che all' art. 34 recita ''La scuola è aperta a tutti.'' E nessuna Legge ordinaria può in alcun caso contraddire la Costituzione.
Da tempo, lo Stato e i Comuni concedono finanziamenti a queste scuole. La crisi di questi ultimi anni che ha tagliato essenziali investimenti nella scuola statale ha portato alla coscienza di tutti l' iniquità palese di dover togliere soldi alle scuole di tutti a favore di scuole di parte. A Bologna è scoppiato il caso ( ne parliamo nel riquadro a parte) ma , malgrado il Referendum cittadino abbia affermato la volontà di finanziare la scuola statale e non quella privata, gli amministratori hanno confermato i sussidi alle scuole private.
Che dire, di fronte a questi comportamenti? Ad una pervicacia quasi sovversiva che lascia senza parole.
A fronte di un dettato costituzionale- chiarissimo- ( Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Costituzione italiana, Art. 33 ) si persegue una via opposta. Tutti concordi, Ministro della Pubblica istruzione in testa, secondo cui 'le scuole paritarie offrono un servizio: è un sistema su cui investiamo pochissimo ma che rende tantissimo, perchè ci aiuta a dare un servizio a chi ne ha bisogno', tacendo, tutti, che lo scopo della scuola non è di offrire un servizio qualunque ma di rappresentare una funzione istituzionale che nessun privato può supplire perchè rappresenta diritti di tutti e non solo di una parte.
La linea politica della Gilda non ha mai avuto tentennamenti. Fondata sulla concezione costituzionale ( i docenti devono eseguire il mandato sociale che la Repubblica ha affidato loro e per questo ad essi deve essere riconosciuta la funzione costituzionale) ha da tempo segnalato le elusioni della Carta costituzionale da parte dei politici (cfr. Rino Di Meglio, Costituzione: elusa dai politici, in Professione docente, settembre 2009). Continuerà a farlo, sempre, senza tregua, ricordando a questi politici immemori che non sanno quello che fanno ma che, tuttavia, non saranno perdonati.
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Il caso di Bologna.
L'Emilia Romagna ha fatto da apripista per il finanziamento con la Legge 52/95 che si può considerare la 'madre' di tutte le leggi di 'parità' scolastica. Approvata nel 1995 sotto la presidenza di Pier Luigi Bersani, fu seguita da un'altra legge regionale, varata nel 1999 (la cosiddetta legge 'Rivola'), che garantiva rimborsi alle famiglie i cui figli frequentavano le private. L'Emilia Romagna è diventata così un modello per altre Regioni che negli anni successivi hanno varato provvedimenti analoghi alla legge 'Rivola'. Intanto, nel 2000, il Parlamento aveva approvato, sotto il governo D'Alema e quando ministro della Pubblica Istruzione era Luigi Berlinguer, la legge 62 che ha realizzato ciò che la legge 52 dell'Emilia Romagna prefigurava, cioè il sistema integrato pubblico-privato sancito con la formula della 'parità scolastica'.
Dal 1994 tali scuole ricevono finanziamenti che sono via via cresciuti fino a diventare superiori a un milione di euro all'anno dal 2003 a oggi (1.188.585 euro nel 2011/12). Queste scuole nella stragrande maggioranza di orientamento confessionale fanno pagare rette annuali fra 2.000 e i 10.000 euro. Il numero di iscritti era di 1666 prima dell'inizio dei finanziamenti (pari al 24,3% del totale dei bambini) e nel 2011/123 è di 1726 pari al 22,8% se si contano i 238 iscritti in scuole private non paritarie. ( Fonte Associazione Art. 33).
Il 26 maggio si è tenuto a Bologna un referendum consultivo contro il finanziamento del Comune cittadino, organizzato dal comitato Articolo 33. La vicenda ha travalicato i confini cittadini ed è diventata un caso nazionale, ha ottenuto adesioni molto importanti di giuristi, politologi, rappresentanti del mondo culturale. Tanto per citare, Stefano Rodotà, primo convinto difensore del Referendum, è diventato il Presidente del Comitato.
Il Referendum ha visto la vittoria dei proponenti ( no al finanziamento), anche se la percentuale dei votanti è stata appena al di sotto del 30%. Una vittoria comunque significativa se si considerano le percentuali alquanto ridotte delle elezioni amministrati ma -e qui sta il grave- ignorata dal Consiglio comunale di Bologna che, alla fine di luglio, ha confermato il finanziamento alle scuole private con il voto favorevole di PD, PDL, Lega e il voto contrario di SEL e Movimento 5 Stelle.
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