Bruno Arpaia e Pietro Greco, ''La cultura si mangia!'' Intervista con Bruno Arpaia.
01 Settembre 2013 | di Renza Bertuzzi
E' rimasto bene impresso nella mente di tutti noi, soprattutto insegnanti, l' infelice pensiero di Giulio Tremonti, ministro dell' Economia dell' ex Governo Berlusconi che, il 14 ottobre 2010, ebbe il ''coraggio'' di dichiarare ''Con la cultura non si mangia'' e che ''con assoluta coerenza ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di I e II livello, per non parlare del fUS il fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili''. Non abbiamo dimenticato nulla, anche perchè i feroci tagli del ministro Gelmini, corifea di Tremonti, stanno ancora versando sangue. Ben venga, dunque, questo pamphlet, 'La cultura si mangia!'' scritto a quattro mani da Bruno Arpaia e Pietro Greco, dove si dimostra, con lucida caparbietà, la falsità di quella frase che ''ha riassunto in una sola battuta i pregiudizi e le arretratezze di buona parte del paese rispetto a tutto ciò che sa di pensiero e di riflessione, di elaborazione culturale, di sguardo lungo sui nostri destini''. Interessante è che gli autori rispondano alla rozzezza di quel pensiero, non respingendone l' assunto di base ma accettandone la logica e , rimanendo nello stesso luogo argomentativo, dimostrano che , fatto salvo il valore formativo, civile, sociale- incommensurabile- della cultura, esiste anche un profitto che deriverebbe dall' investimento in cultura e che oggi ignorarlo è quanto meno miope. Così, con accuratezza di dati, essi dimostrano che i Paesi emergenti, dalla Cina, alla Corea del Sud, al Giappone e all' India il cui capitale umano in ricerca e sviluppo supera l' Europa e gli Stati Uniti hanno puntato sull' investimento in R & S ( Ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Tanto per dare un' idea: in Cina ci sono 1,5 milioni di ricercatori (erano 400.000 nel 1990) a fronte di 1,3 milioni in Europa e di 1,4 milioni negli Stati Uniti. Mentre l' Italia ha circa 80000 ricercatori, contro i 110000 della Spagna o i 260000 della Germania. In Cina, l' investimento in ricerca e sviluppo è pari all' 1, 6% del Pil e da oltre vent' anni la spesa cinese in questo settore cresce ad un ritmo tra il 20 e il 25 %. E in Italia? Un solo dato: negli ultimi dieci anni ( destra, sinistra , '' tecnici'' al governo) i sovvenzionamenti alla cultura sono passati dal 2,1 % dell' intera spesa pubblica del 2000, all' 1% del 2008 allo 0,2 % o poco più dell' ultimo anno.
Con la stessa precisione il lettore apprende molte cose interessanti. Per esempio che Roosevelt, dopo la grande depressione, invece di seguire il programma di austerità del suo predecessore Hoover, aumentò ancora di più le spese federali. Investì enormemente sulla cultura, la scuola, la lotta alla povertà. ( Pag. 25). E così via in una carrellata agile ma rigorosa che disegna una panoramica sconfortante per l' Europa in generale e per l'Italia, in particolare. Ciò che potrebbe essere e non è a cui purtroppo da molti anni siamo abituati. E infine la proposta, urgente, per tentare di salvare il nostro Paese: oggi qualunque proposta politica non può che essere prima di tutto culturale e visionaria, in grado di affrontare con rigore, ma in maniera radicale ( nel senso che etimologico di andare '' alla radice'', gli enormi problemi che ci troviamo di fronte. ( Pag. 153). Infatti, la cultura ci aiuta a vivere meglio ( e di più) nell' ambiente. Ha una funzione economica. E gli uomini con più cultura hanno un maggiore successo nella lotta per la sopravvivenza. ( Pag. 155). Qualcuno lo dica con urgenza agli inconsapevoli politici italiani che non sanno quello che fanno ma che tuttavia non possono essere perdonati.
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Intervista con Bruno Arpaia
Il mercato pensa al profitto ''qui e ora'' mentre la cultura è un fondamentale e irrinunciabile strumento per uscire dalla crisi
1) Bruno Arpaia, il testo scritto a quattro mani con Pietro Greco, La cultura si mangia! fornisce un corredo ampio e interessante di dati, percentuali, informazioni sugli investimenti in cultura presenti in molti Paesi ma non in Italia. Da dove nasce l' idea di questo pamphlet?
Nasce proprio dal fatto che l'Italia è il Paese che più ha tagliato gli investimenti in cultura, mentre gli altri Paesi li aumentavano, e che, per di più, nel mondo politico e perfino in quello intellettuale, prevale un atteggiamento di disprezzo nei confronti della cultura oppure una sua pesante sottovalutazione, riassumibile nella frase: ''La cultura è un lusso che oggi non ci possiamo permettere''. Abbiamo tentato di dimostrare, senza rinunciare alla rabbia e all'indignazione, che la cultura è anche un volano di crescita e che è lo Stato a dover intervenire per cambiare il modello produttivo del Paese, perchè, checchè ne dicano i liberisti, il mercato ha lo sguardo corto, pensa al profitto ''qui e ora'' ed è incapace di progettare il futuro, di innovare nel profondo. Per di più, oggi la cultura è un fondamentale e irrinunciabile strumento per uscire dalla crisi.
2) Nel testo si fa spesso riferimento alla conoscenza come motore dello sviluppo. A quale tipo di conoscenza fate riferimento? Par di capire ad una conoscenza attiva e non contemplativa. E così?
La conoscenza è conoscenza, punto. Quella che ti consente di essere un cittadino capace di critica e di partecipazione. Quella che non ti fa andare per la vita semplicemente seguendo la corrente. Quella che ha bisogno anche di sforzi e di disciplina mentale. Quando facciamo riferimento (una sola volta!) alla cultura ''creativa e non meramente contemplativa'', ci riferiamo all'atteggiamento di chi pensa in maniera supina ai cosiddetti ''giacimenti culturali'' italiani, come se le nostre ricchezze artistiche, paesaggistiche o architettoniche fossero lì a disposizione e bastasse tenerle in ordine per far scattare il miracolo. Il declino non si combatte solo salvaguardando e valorizzando i monumenti e i siti archeologici. Noi pensiamo invece che non c'è sviluppo culturale senza produzione di nuova conoscenza, che quelle risorse devono essere usate per attivare nuove energie ed elaborare nuove idee. Tutto qui.
3) Che ruolo dovrebbe avere la scuola in un progetto che veda nella cultura il motore dello sviluppo anche economico?
La scuola è il perno, il punto di snodo delle nostre proposte. Il disastro della scuola italiana, nonostante l'eroico sforzo di moltissimi insegnanti che continuano a crederci e a investirvi energie e intelligenza, l'abbandono che ha subito, i tagli che l'hanno colpita, sono forse le principali cause del fatto che il nostro Paese si è già giocato irreversibilmente una fetta di futuro. Per noi, la scuola e l'università sono la vera priorità per l'Italia.
4) Nel libro, si insiste molto sull' importanza dell' aumento dei laureati. Eppure, ad una osservazione superficiale sembra che oggi sia in crisi il lavoro manuale, artigianale, anche di fatica.
Abbiamo riportato cifre e dati che dimostrano quanto l'Italia sia arretrata per numero di laureati rispetto ai Paesi Ocse e ad altri Paesi come la Corea del Sud. Temiamo che questo ''gap'' ci impedirà di competere sul serio nell'era della conoscenza. È vero: ogni tanto si legge che mancano falegnami, elettricisti o pizzaioli. Fare questi mestieri non ha niente di disdicevole, anzi. Vanno incoraggiati. Ma ciò non toglie che farli essendo anche una persona ''colta'' è meglio e aiuta perfino a essere più innovativi nel proprio lavoro. Conosciamo contadini coltissimi che usano la loro cultura per la produzione e la distribuzione dei loro prodotti, con risultati fantastici. I tempi sono cambiati.
5) L' idea della cultura come stimolo produttivo per il PIL potrebbe suscitare qualche critica. Altri autori ( per esempio, Martha Nussbaum) sottolineano invece che scuola e cultura debbano essere- per usare il titolo del pamphlet dell' autrice citata- Non per profitto, ma per una formazione umana e critica. Che rapporto c'è tra le due visioni nel vostro panorama?
Più volte, nel libro, sottolineiamo che la cultura è fondamentale soprattutto quando non «fattura», che la co¬noscenza è un valore in sè. Imprescindibile. Universale. Che sta al cuore stesso dell'umanità. E tuttavia, la cultura è un agente economico importante anche quando i suoi risultati non sono quantificabili dal punto di vista economico, perchè apre la mente all'innovazione, alla curiosità verso l'Altro, che è fondamentale in un Paese stagnante e chiuso come il nostro. Insomma, non pensiamo di peccare di lesa cultura se affermiamo che, oltre al valore in sè, che è un suo carattere assolutamente preminente, la cultura possiede anche un valore che le viene dall'utilità. Su questo, dunque, siamo d'accordo con la Nussbaum. Quello che non faremmo mai, invece, è separare le cosiddette ''due culture''. Non vediamo alcuna distinzione tra cosiddetta cultura umanistica e cosiddetta cultura scientifica: sono la stessa cosa. Solo una tradizione di pensiero stupida può separarle, come se la scienza non fosse a tutti gli effetti cultura, come se la teoria della relatività non fosse un eccelso prodotto dell'immaginazione umana quanto la Divina Commedia o un quadro di Velázquez.
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