25 Aprile 2014 | di Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède e di Montesquieu
Il barone di Montesquieu scrisse, a suo tempo, le “Lettere persiane” , una pungente satira dei costumi dell’Ancien Régime, analizzati dal punto di vista di due viaggiatori persiani. Il testo è un espediente per esercitare critiche sarcastiche contro le istituzioni e gli uomini del tempo. I tempi attuali, spesso assurdi e ridicoli, hanno risvegliato il Nostro che, stimolato dalle fasi della Contrattazione Rsu, ci ha inviato un’ altra sua pungente Lettera...
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Chi potrebbe capire cosa avviene nelle segrete stanze della contrattazione d’istituto? In genere i docenti non ne sanno nulla e anche chi vi partecipa a volte non ci si raccapezza granché. Ecco il tentativo di spiegare allo straniero di una terra incognita uno dei “misteri” meglio conservati... come se la nostra testimonianza iniziasse così: Cari amici persiani, vi scrivo dal pianeta Scuola...
Dovete sapere che nel nostro paese a forma di stivale, il governo centrale manda a tutte le nostre circa 8.000 scuole un contributo, che dovrebbe avere una qualche congruità rispetto all’ordine di scuola e alla sua grandezza, ma che è tuttavia variabile e difficilmente preventivabile, in quanto dipende dai capricci della politica e in particolare di un tal ministro del MEF. Quindi, già alla fonte non si sa mai quanti Euri verranno stanziati (quest’anno ad esempio la metà, finora, e l’anno passato il 75 % dell’anno precedente, e via dicendo...) e soprattutto è quasi impossibile saperlo in tempo utile, cioè prima di cominciare a spenderli. Sulla questione di quanto arriverà alle singole scuole, perciò si innesta un vero tormentone, che coinvolge gli addetti ai lavori, costretti sempre a divinare le mosse di un’amministrazione irresponsabile. Il procedimento più logico, che sarebbe quello di partire dall’uovo, cioè dai bisogni reali, viene forzatamente ignorato, invece ci si trova solo a considerare la gallina, che non si sa neppure se sarà feconda. Tuttavia, in tempi normali potremmo dire che mediamente vengono accantonati circa 1.000 euro per unità di personale, ma si tratta della divisione statistica dei polli di Trilussa: anche quando i fondi fossero stati tutti distribuiti, ben pochi potrebbero alzare la mano per dire di avere ricevuto almeno quella somma o addirittura qualcosa di superiore: insomma la torta non viene certo divisa in fette uguali e alla gran parte non ne tocca neppure un po’... Intanto quei 1.000 euro, appena arrivati nella disponibilità delle singole scuole, vengono subito in parte restituiti al mittente: lo Stato li dà sporchi (addirittura “lordi”) e dopo averli corrisposti, per un giochetto di prestidigitazione che si chiama “lordo stato”, magicamente da 1000 che erano li trasforma in 750. Ma non è finita! Ci sarà poi ancora un’altra lordura da pulire: quella del dipendente, che si vedrà a sua volta confiscare il proprio “lordo”, per cui in ultimo dai 1000 iniziali arriverà a incassarne solo 514.
Infatti non è ancora il momento di fregarsi le mani: dopo aver visto accantonare misteriose e intoccabili indennità di direzione e di staff, si deve dividere ancora per le due categorie presenti: docenti e Ata. Qui avviene una strana ripartizione: la categoria meno numerosa è circa 1/5 della comunità scolastica, ma prende invece in genere 1/4 o più nella suddivisione finale. Inoltre le loro prestazioni di lavoro sono sempre retribuite a due velocità: chi lavora normale e chi viene “intensificato”: non è ben chiaro cosa significhi, ma questo consente di prendere più soldi pur lavorando uguale e soprattutto di prenderli mentre già si sta lavorando, senza aggiungere ore in più. Del resto il lavoro a due velocità riguarda anche l’altra categoria: alcuni tenendosi in classe gli studenti al pomeriggio prendono 35 €/ora, altri 50. Voi direte: ma tutta questa serie di eccezioni sarà governata da una ferrea regia centrale, che non permette confusioni di sorta. Errore! Ogni scuola ha il suo contratto, con leggere differenze di virgole o sinonimi e spesso riceve la visita dei missi dominici della contrattazione, detti pomposamente “dirigenti” provinciali, i quali vigilano sulla perfetta omogeneità dei singoli documenti, riproponendo soluzioni stereotipate in tutte le scuole (un lavorio di definizione che si ripete per circa 8.000 volte, ci pensate? Per non essere un lavoro, comporta parecchia manodopera. Perché tutto ciò? Le ragioni ci sono, seppur eterodirette, ma ve ne parlerò una prossima volta......), senza poi che questa cosa abbia la minima importanza, in quanto non possono né in lettera né in spirito contraddire una norma più grande, già scritta con solerte attenzione alle parole e che non può essere elusa in alcun modo dalle regole scritte in sede locale. Le quali regole peraltro, contrariamente alle norme nazionali che debbono comunque rispettare, devono essere riscritte e ridiscusse ogni anno, in una lunga sequenza contrattuale molto articolata, con scadenze inderogabili, che la stessa amministrazione per prima non rispetta. Abbiamo, in sintesi, un contratto nazionale scaduto, ormai da vari anni, e ultraprorogato, accanto a una pletora di contrattazioni d’istituto che sono invece da riscrivere e rinnovare ogni anno. Quindi verrebbe da dire, che, vista la non sostanziale importanza delle formule e degli articoli riportati nella cosiddetta contrattazione integrativa, sarebbe d’uopo farla corta e sostanziale. E invece no! Si danno esempi, e numerosi, di scartafacci enciclopedici, a notevole incremento di alberi abbattuti per la bisogna. Uno spreco di risorse...
Anche di risorse umane: infatti la contrattazione, pur non essendo affatto un lavoro, nel senso che non è retribuita, viene spesso affrontata come se lo fosse. Si dipana quindi in una lunga teoria di incontri, approfondimenti, monitoraggi (del già previsto...) e diatribe più o meno per celia, per poi concludersi finalmente con un solenne rito da terapia collettiva: l’assemblea RSU. In tale consesso viene presentato un dilemma non facilmente risolvibile, anche se i più accorti spesso ne colgono la completa inutilità: preferite la zuppa o il pan bagnato? In tale assemblea, condotta con sprezzo del ridicolo da coloro che un po’ avventatamente l’hanno convocata, si scatenano le litanie di lamentazione di tutti i mali scolastici e del mondo, in particolare di quelli non risolvibili né affrontabili in quella sede. Espletato con fatica questo rito di autocoscienza, sono tutti pronti, qualunque sia stato il verdetto, di approvazione o di rifiuto, a sottoscrivere la sentenza, pronti per il gioioso momento della firma. Squillino le trombe! Dopo estenuanti sedute di confronto, limature tetratricotomiche e ripetuti siparietti di attori consumati (in tutti i sensi...), ci si ritrova attorno a un tavolo e a un caffè, nei casi più fortunati, e SI FIRMA!
Perché tanta felicità? Voi penserete che sia perché si è raggiunto un definito equilibrio; niente affatto: alla chetichella arriveranno altri fondi a babbo morto oppure non tutti quelli che dovevano, sulla carta, lavorare di più, lo faranno veramente, scombussolando così il difficile equilibrio previsionale faticosamente creato. Si è felici alla firma, perché, per un po’ è finita la farsa, in attesa (si fa per dire...) di ricominciare.
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