E' arrivato il momento di una ''rivoluzione educativa'' e di accantonare la vulgata di certa pedagogia e giornalismo per cui la vita sarebbe un gioco. La vita, con la scuola, è un viaggio con i suoi aspetti di gioia e piacere ma anche con le sue fatiche
26 Maggio 2014 | di Gianluigi Dotti
Siamo oramai a conclusione di un altro anno scolastico e per gli insegnanti e gli studenti si apre la stagione degli scrutini, nei quali i docenti, riuniti in adunanza collegiale, decidono se gli alunni hanno conseguito gli obiettivi cognitivi e comportamentali, e con quale grado, necessari alla frequenza della classe successiva.
Come ogni anno, anche quest'anno, si è aperta sulla stampa quotidiana e sulle riviste specializzate in temi scolastici la discussione per stabilire se la scuola italiana sia troppo selettiva o se invece sia eccessivamente lassista; in pratica se il sistema scolastico italiano seleziona con eccessiva severità o promuove anche chi non lo merita?
La discussione, come negli anni passati, vede molto attivi coloro che imputano agli insegnanti italiani la ''colpa'' dei fallimenti scolastici di quegli alunni che dovranno ripetere l'anno; spesso per sostenere la loro tesi questi citano, strumentalmente, anche i dati OCSE e la problematica della dispersione scolastica.
In particolare una certa pedagogia, quella del successo formativo garantito, e un giornalismo accondiscendente tendono a presentare gli studenti come ''vittime sacrificali'' di docenti visti, sempre e comunque, come capro espiatorio di un anno non andato bene, cioè del mancato raggiungimento degli obiettivi formativi ed educativi degli alunni bocciati, scaricando in questo modo gli studenti delle loro responsabilità.
In alcuni articoli si avanza la proposta di sperimentare, con apposita legge, l'abolizione delle bocciature; il che naturalmente implica un cambiamento di tutto l'ordinamento scolastico, con la conseguente abolizione del valore legale del titolo di studio.
Nella discussione un ruolo importante, soprattutto in tempo di crisi, assume l'argomentazione di come la soluzione no-bocciati permetterebbe al bilancio del MIUR, e indirettamente anche a quello generale dello Stato, e quindi a tutti i cittadini che pagano le tasse, di risparmiare una cifra ragguardevole. Il calcolo si basa sul costo medio annuo di ogni alunno in Italia, circa 9000 dollari (fonti OCSE), moltiplicato per il numero degli alunni che devono ripetere l'anno e che, per questo, devono stare un anno in più a scuola.
Premesso che non difendo per partito preso gli insegnanti, anche a noi a volte capita di sbagliare, di non valutare correttamente una performance o la possibilità di frequentare con profitto l'anno successivo da parte di un alunno, credo sia necessario provare a vedere da un'angolazione diversa sia il fenomeno complesso delle responsabilità dell'insuccesso formativo (cosa ben diversa dalla dispersione scolastica) sia gli aspetti economici sollevati da diversi opinionisti.
In particolare credo sia necessario, come ogni insegnante che entra nelle classi (e non si limita alla teoria pedagogica) sa perfettamente, ricordare che il primo e indispensabile ingrediente del successo formativo (della promozione alla classe successiva) è l'impegno e l'applicazione da parte degli studenti per l'acquisizione delle conoscenze e delle abilità. Insomma la fatica di studiare.
Lo sa bene anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, un politico vero, che non si limita ad assecondare i luoghi comuni per il facile consenso, ma cerca di indirizzare l'opinione pubblica nella giusta direzione.
Nel settembre 2009, quando gli USA attraversavano una delle peggiori crisi economiche dell'ultimo secolo, il presidente nel discorso rivolto agli studenti per l'inizio dell'anno scolastico intitolato ''Ragazzi volete il successo? Dovete studiare'' ricorda di aver spesso parlato delle responsabilità degli adulti nei loro confronti ''Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all'apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano.''
Ma questo non è il punto centrale, infatti il presidente rivolgendosi direttamente ai giovani studenti continua: ''noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire''.
A differenza della pedagogia del successo formativo garantito, che trova sempre un pretesto valido per il mancato impegno degli studenti ai quali ''garantire'' o ''elargire'' la promozione, il presidente Obama riporta i giovani al centro della scena, protagonisti del loro futuro: ''alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita -il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare- non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo. Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c'è scusa per chi non ci prova.
Il presidente ricorda agli studenti quali sono i loro doveri, la loro responsabilità: ''Il vostro obiettivo può essere molto semplice: fare tutti i compiti, fare attenzione a lezione o leggere ogni giorno qualche pagina di un libro''.
A differenza dei giornalisti accondiscendenti al ''vittimismo studentesco'' Obama sprona i giovani: ''So che a volte la tv vi dà l'impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality. Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare. Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. ... Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. ... Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene.''
L'invito del presidente agli studenti è di ''fare la vostra parte. Quindi da voi quest'anno mi aspetto serietà. Mi aspetto il massimo dell'impegno in qualsiasi cosa facciate''.
Il presidente, conscio del ruolo degli adulti nella comunità scolastica, chiede, tuttavia, per prima cosa ai giovani di dimostrare responsabilità con l'impegno, chiede cioè se hanno fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità per riuscire nello studio, cioè se il giovane durante le lezioni fosse stato attento, avesse preso appunti, avesse chiesto spiegazioni e avesse poi studiato a casa.
Io credo che in Italia la vera riforma scolastica sarebbe riuscire ad affermare questa logica della responsabilizzazione dei giovani, ai quali è eticamente lecito chiederla in considerazione anche del significativo investimento che la comunità fa nei loro confronti: un corso di studi regolare( primaria, media e superiori) costa oltre 100.000 euro alla fiscalità generale. Senza contare il danno economico alla società di un alunno che non acquisisce gli strumenti per essere un cittadino consapevole e un lavoratore produttivo.
In conclusione, bisogna che prima di tutto gli adulti attuino una decisa ''rivoluzione educativa'', si tratta di accantonare la vulgata di certa pedagogia e giornalismo che declinano la metafora della vita come un gioco, da qui il famigerato ''s'impara giocando'', che tanti danni proprio ai giovani ha fatto e sta facendo, per tornare alla più reale e classica metafora della vita come viaggio, con i suoi aspetti di gioia e piacere ma anche con le sue fatiche.
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