26 Maggio 2014 | di Maurizio Berni
Mentre i corsi di scienze della formazione primaria sembrano essere ormai a regime, è la formazione dei docenti di scuola secondaria, di primo e secondo grado, a non trovare un assetto definitivo. Dopo un primo ciclo di TFA che ha costituito una modesta valvola di sfogo dopo la chiusura delle SSIS, il ciclo della formazione iniziale si è di nuovo interrotto. E senza atti espliciti; semplicemente nell'inazione. Nel silenzio e nel disinteresse più totale, come se fornire quel contingente di giovani preparati di cui il sistema scuola ha continuo bisogno, per il naturale avvicendamento con chi ha maturato i requisiti della pensione, non fosse affatto tra le priorità di questo paese. Non che il primo anno di TFA fosse stato ciò che ci si aspettava, sia pure in via transitoria; è stato un coacervo di deroghe e ''richiami al buon senso'', senza punti di riferimento, con continue concessioni al ribasso che hanno prodotto un risultato che è solo una pallida immagine di ciò che il TFA avrebbe potuto essere (e, sottolineo, sia pure in via transitoria!). L'unica coerenza che si può constatare in questa politica, che è passata dalla negazione esplicita della formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria, con un'interruzione di quattro anni, all'apertura di una breve parentesi che non ha rispettato i tempi e le risorse umane coinvolte, poi di nuovo al silenzio e al disinteresse, l'unico dato che accomuna tutti questi atteggiamenti è una sistematica mortificazione della professione docente; coerentemente con questa politica, sono stati partoriti i PAS.
I PAS: un assegno in bianco alle università per il monopolio della formazione iniziale dei docenti
Una categoria di professionisti (si pensi alle professioni liberali, ad es. di avvocato, commercialista, ingegnere, ecc.) si aspetta dall'università la preparazione disciplinare; dopodichè l'università esaurisce il proprio compito. Le competenze professionali specifiche sono invece appannaggio dei professionisti stessi, presso cui i neolaureati svolgono un periodo di praticantato e tirocinio. Al termine di esso gli stessi ordini professionali organizzano esami di stato per l'esercizio della professione. Sono loro a giudicare non solo l'operato nei tirocini, ma anche il modo in cui le conoscenze disciplinari vengono utilizzate nella professione. Sono quindi loro a giudicare in che modo l'università abbia istituito percorsi idonei alla professione.
Non così per gli insegnanti: è molto delicato parlarne, e ogni discorso di questo tipo potrebbe essere equivocato o, peggio, strumentalizzato. Ma bisogna partire dal concetto che una laurea disciplinare generica, se non è seguita da un tirocinio professionale, costituito da fasi osservative e fasi attive, e se non termina con una valutazione (esame di stato), come per le altre categorie professionali, non costituisce garanzia dell'acquisizione delle competenze che caratterizzano il profilo professionale del docente descritto nell'art. 27 del contratto nazionale di lavoro, ovvero
''Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell'esperienza didattica, l'attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.''
Non dobbiamo mettere in dubbio, è vero, fino a prova contraria, la professionalità di singoli neolaureati che si accingono ad intraprendere questa professione, dobbiamo solo decidere che a livello di sistema non possiamo ammettere un tale modo di fornire insegnanti alla scuola statale che, per dirla con Calamandrei, dovrebbe essere ''più ottima ''. Chiudere i percorsi di formazione specifica per l'insegnamento assumendo laureati privi di competenze professionali specifiche, e dopo qualche anno creare per essi ulteriori percorsi disciplinari presso le università che col tirocinio nulla hanno a che vedere, non è giusto nè per la scuola, intesa come ''organo costituzionale'', nè per i docenti, a cui bisogna dare la possibilità di fare il proprio ingresso in questa istituzione con un bagaglio culturale e professionale solido, tale da renderli veramente indipendenti dalle pressioni, siano esse di tipo gerarchico, o anche solo di tipo culturale, di altri soggetti istituzionali obiettivamente più forti per status, preparazione ed esperienza. Ecco, allora, ostinarsi a voler fare sperimentare l'incertezza ai giovani insegnanti, il ''doversi fare da sè'', accettare che sbaglino, come è umano che sia, senza figure tutoriali, senza un consiglio, senza la benchè minima traccia di valutazione (intesa come occasione di valorizzazione e di costruzione di una propria identità e sicurezza, come avveniva nei corsi SSIS e TFA). E poi dire... sono passati ormai tre anni, forse come Stato italiano stiamo abusando di questo ricorso ''provvisorio'' (che invece sembra stabile) a personale non specializzato... Allora inventiamoci una ''sanatoria'' (questa volta, però, a pagamento; e anche questo la dice lunga sull'investimento statale nell'istruzione e sul rifiuto di dare dignità alla professione docente; togliere subito lo spazio vitale di un minimo di disponibilità economica rende il percorso di formazione- che avrebbe bisogno come di integrarsi con una molteplicità di stimoli culturali- umile, dimesso e un po' rassegnato, fra treni in ritardo, permessi senza sostituzione che mettono in difficoltà nel lavoro quotidiano, corsi accelerati, ore ridotte, ecc.). Un ''corso speciale'', un corso di serie B, un incitamento alla guerra tra fazioni di precari, un percorso che fornisce un numero di CFU che è appena i due terzi di quello ''regolare'', con un patto scelerato: ti offro di meno (a parità di costo) ma anche farai meno: il tirocinio ti è ''abbuonato''. E' una truffa. Visto che i relativi CFU sono decurtati, diciamo piuttosto che il tirocinio più che abbuonato è negato, anche a chi vorrebbe farlo. Credo che chi ha esperienza di insegnamento, e conosce la differenza tra un sapere disciplinare accademico e quello ristrutturato per l'insegnamento, vivendo sulla propria pelle l'inadeguatezza al ruolo senza una preparazione specifica, ben più di altri apprezzerebbe l'importanza del tirocinio professionale per potersi meglio ''attrezzare'' professionalmente. Magari togliendo delle ore di tipo disciplinare, perchè no? O si vuole far credere che non si ha nessuna fiducia nelle competenze disciplinari di coloro che si chiamano anno dopo anno ad insegnare?
Una proposta
Bisogna dire basta alle ''classi differenziali'' per i docenti; sono state abolite quelle per gli studenti, è assurdo continuare a crearne per i docenti. Occorre un unico canale di abilitazione, a cui accedere secondo le necessità del sistema, con un investimento statale che tenga conto delle criticità, a sostegno di quelle classi di abilitazione di cui c'è maggiore necessità, e di cui per vari motivi non si riesce ad avere un flusso di abilitati sufficiente. L'ingresso ai percorsi (TFA o lauree abilitanti che siano) potrebbe avvenire con una prova selettiva, da cui sarebbe esonerato chi ha tre anni di servizio, anche con l'attribuzione di eventuali debiti formativi, da colmare lungo il percorso di formazione, così come avveniva con successo presso le SSIS. Consentire l'ingresso con debiti formativi salvaguarda dal paradosso, già verificatosi in passato, della penuria di abilitati in una classe di concorso che obbliga a ricorrere ai neolaureati per le supplenze. Si nega in questo modo ai docenti e ai loro studenti la stabilità di un posto di ruolo; il posto strutturalmente precario si offre magari agli stessi a cui si è negato l'ingresso al percorso abilitante... un vero boomerang e un atto di puro sadismo. Solo creando le condizioni per garantire un flusso di abilitati coerente con le necessità di sistema, possiamo eliminare alla radice il problema del precariato non abilitato.
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