La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti i docenti: sono pochissimi rispetto alle necessità i docenti che possono vantare competenze linguistiche con livello C1 e una preparazione sufficiente sulla metodologia CLIL
28 Dicembre 2014 | di Fabrizio Reberschegg
Grande successo per il convegno nazionale organizzato dalla Gilda degli Insegnanti in collaborazione con l’Associazione Docenti Art.33 a Venezia il 15 novembre. Il tema proposto infatti è oggetto di ampio dibattito in particolare sulle modalità concrete di organizzazione. Il titolo del convegno era infatti ”CLIL: dalla teoria alla pratica. Criticità e proposte per quest’ anno scolastico e per “la buona scuola” del futuro.
La metodologia CLIL è stata imposta top-down con la riforma Gelmini nella secondaria di secondo grado con particolare riferimento ai Licei Linguistici e alle ultime classi degli altri Licei e degli Istituti Tecnici con la scelta politica paradossale di lasciare fuori tutta l’istruzione professionale. E’ stata una proposta fortemente criticata dalla Gilda non tanto negli obiettivi che potevano e dovevano essere di medio-lungo termine, ma per la superficialità e la fretta con cui è stata calata nella realtà della scuola statale italiana che la stessa riforma Gelmini ha profondamente ridimensionato in termini di organici, orari e risorse. Si è voluto dare l’illusione all’ “utenza” che a partire dall’anno scolastico 2014-15 in tutte le scuole superiori (sempre con l’esclusione degli istituti professionali-scuole di serie B) in tutte le classi terminali ci sarebbe stato l’insegnamento in lingua straniera (l’inglese obbligatoriamente per gli Istituti Tecnici senza possibilità di scelte alternative) di una disciplina non linguistica (DNL) con un esame di Stato che avrebbe visto gli studenti presentare una delle materie non letterarie proposte in lingua straniera. Per consolidare l’illusione si è addirittura immaginato che i docenti di DNL coinvolti dovessero ottenere una certificazione linguistica pari a C1, livello oggettivamente molto alto e difficilmente conseguibile senza un complesso percorso di formazione specialistico dei docenti senza provvedere alle necessarie risorse.
La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti i docenti: sono pochissimi rispetto alle necessità i docenti che possono vantare competenze linguistiche con livello C1 e una preparazione sufficiente sulla metodologia CLIL. I corsi di formazione promossi dall’amministrazione con le Università vengono offerti in orario extrascolastico senza alcun riconoscimento economico per i frequentanti e sono di fatto finalizzati nella stragrande maggioranza dei casi al conseguimento solo del livello B2 (che dovrebbe essere, sempre nell’immaginario della scuola italiana, il livello conseguito da uno studente di scuola superiore).
Di fronte all’inevitabile disastro l’amministrazione è intervenuta nel luglio di quest’anno con una circolare che prospetta “indicazioni transitorie” per l’applicazione del CLIL nel corrente anno scolastico. Come è noto in essa si ammette che la situazione attuale è una ancora in una fase di transizione e sperimentalità proponendo una serie di soluzioni finalizzate ad una parvenza di introduzione del CLIL nelle ultime classi della scuola superiore per non contravvenire alla norma superiore prevista nei provvedimenti della riforma Gelmini.
Al Convegno sono intervenuti la dottoressa Gisella Langè, ispettrice del MIUR per le lingue straniere e nota come una della promotrici della metodologia CLIL nella scuola italiana, il prof. Graziani Serragiotto dell’Università di Ca’ Foscari che segue in particolare la formazione CLIL e le proposte di riforma delle lauree “quasi” abilitanti promesse dalla “buona scuola “ del governo Renzi, la responsabile formazione lingue prof.ssa Donà dell’USR Veneto e la dirigente scolastica dell’IIS Algarotti di Venezia pros.ssa Marina Perini che ha ospitato il convegno. In particolare la dott.ssa Langè, dopo aver ricordato i principi teorici che sostengono la pratica del CLIL ha ribadito in quanto “atti di indirizzo” le indicazioni date dalla circolare del luglio 2014 lasciando ampia autonomia di organizzazione e gestione alle singole scuole. Questi i punti che appaiono di interesse per il dibattito attuale:
- Si riconosce che il CLIL potrà andare a regime solo nel medio-lungo periodo (dieci-quindici anni);
- Si ribadisce che circolari e normative nella fase attuale non debbono essere vissute dalle scuole come meri adempimenti burocratici essendo ampi i livelli di organizzazione discrezionale della metodologia CLIL;
- Si confida che i limitati finanziamenti per le attività di formazione CLIL possano essere implementati nell’immediato futuro con il contributo dei PON, finanziamenti dell’UE che dovrebbero essere dal prossimo anno utilizzabili non solo dalle regioni di convergenza;
- Si rilancia la proposta che la progettualità CLIL non sia limitata solo alla secondaria di secondo grado, ma venga estesa a partire dalla scuola dell’infanzia con un investimento nei futuri docenti che dovrebbero essere immessi in ruolo dopo il turn over dei prossimi dieci anni.
Il dibattito apertosi tra i numerosi presenti ha evidenziato i noti problemi di applicazione del CLIL. In particolare è stato in più occasioni ribadito il diffuso malessere per il fatto che i docenti che si sono resi disponibili a conseguire livelli di competenza per il CLIL non siano stati adeguatamente aiutati dall’amministrazione e che le spese (libri, spese viaggi per la frequenza, ecc,) siano totalmente a carico dei corsisti. Risulta altresì contraddittorio che i corsi universitari non diano automaticamente la certificazione B2 che invece può essere fatta a pagamento solo dagli enti e agenzia autorizzate dal MIUR.
Fabrizio Reberschegg, della Direzione Nazionale della Gilda degli Insegnanti e presidente dell’Associazione Docenti art.33 che ha coordinato il convegno e il dibattito ha riproposto le posizioni della Gilda in merito al CLIL:
- E’ necessario ripensare complessivamente alla normativa che ha imposto il CLIL con la riforma del 2008 riconoscendone la contraddittorietà e i limiti oggettivi in termini di risorse e organico.
- Il CLIL, che astrattamente potrebbe essere una metodologia meritevole di applicazione condivisa nei curricola di tutte le scuole, ha bisogno per la sua applicazione di tempi lunghi di rodaggio ed è necessario investire risorse nuove soprattutto sui futuri docenti.
- Deve essere dato concreto riconoscimento ai docenti impegnati nei corsi di formazione. La scuola italiana non può continuare a sostenere le innovazioni pensate da accademici e teorici della pedagogia solo sul volontariato degli insegnanti.
- Poiché l’amministrazione ha proposto un riconoscimento premiale dei docenti impegnati nella formazione CLIL nella bozza dell’imminente contratto sulla mobilità è opportuno che l’eventuale punteggio aggiuntivo sia limitato alle sole graduatorie interne e che non sia tale da diventare elemento di forte discriminazione rispetto ai tradizionali parametri.
- E’ necessario che prima di procedere alle future lauree “quasi” abilitanti previste dalla riforma del reclutamento sia fatta chiarezza sulla revisione delle attuali classi di concorso e che siano esplicitati i CFU necessari per il conseguimento dei livelli di certificazione linguisti B2 anche nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria.
- In generale la Gilda degli Insegnanti ribadisce che, come avviene nella maggior parte dei paesi UE ed extra UE, il livello per il CLIL nelle discipline non linguistiche è il B2. E’ quindi opportuno rivedere con urgenza i livelli proposti dalla normativa originaria.
In questo momento l’amministrazione spinge ad una applicazione del CLIL di pura parvenza. Si tratta della solita riforma all’italiana immaginata dai tecnocrati e dai politici che non conoscono il paese reale. E’ bene spegnere i falsi entusiasmi e procedere con il Buon Senso che i docenti hanno sempre dimostrato e che sta tenendo in piedi la buona scuola concreta. Non quella immaginata da Renzi.
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