Nella prima, occorre tutelare la professionalità docente e la libertà di insegnamento; nella seconda occorre limitare i danni
23 Ottobre 2015 | di Gianluigi Dotti
L'imponente mobilitazione da parte dei docenti, coordinati dai sindacati o organizzati in comitati spontanei, che hanno contrastato il progetto della “Buona scuola” e che oggi evidenziano le criticità della Legge 107/2015 (che questo progetto ha recepito), ha fatto sì che molte delle “novità” introdotte siano state rinviate al prossimo anno scolastico 2016/2017.
Rimangono tra gli adempimenti delle scuole per il corrente anno scolastico 2015/2016 la stesura del Piano Triennale dell'Offerta Formativa (d'ora in avanti PTOF, acronimo disarmonico come del resto tutta la Legge) e l'elezione del Comitato per la valutazione dei docenti.
PTOF
A differenza della normativa precedentemente in vigore, che prevedeva un Piano dell'offerta formativa annuale, l'art. 1, comma 2, della Legge 107/2015 dispone chiaramente che la programmazione dell'offerta formativa delle scuole deve essere triennale: “l'istituzione scolastica effettua la programmazione triennale dell'offerta formativa per il potenziamento dei saperi e delle competenze delle studentesse e degli studenti e per l'apertura della comunità scolastica al territorio”.
Il PTOF (art. 1, comma 12) dovrà essere redatto dalle scuole “entro il mese di ottobre dell'anno scolastico precedente il triennio di riferimento” (per il triennio 2016-2019 doveva essere pronto nel mese di ottobre 2015, ma con la Nota 2157 del 5 di ottobre 2015 il, MIUR ha posticipato la scadenza solo per questo anno al 15 gennaio 2016; un pessimo inizio).
I contenuti, le modalità di redazione e approvazione del PTOF sono normate dall'art. 1, comma 14, della Legge.
Il PTOF “è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia.” Molto importante è che il PTOF “comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari”, valorizzandone le professionalità (questo significa che i docenti non sono obbligati a seguire la didattica della maggioranza o che lo staff della dirigenza vorrebbe imporre, ma sono liberi di scegliere la metodologia che ritengono più efficace).
Nel PTOF deve essere indicato il fabbisogno dell'organico dell'autonomia: posti comuni, posti sostegno, organico potenziato dei docenti e i posti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Deve inoltre prevedere i piani di aggiornamento dei docenti e del personale non-docente e la definizione delle risorse necessarie alla loro attivazione. Nel caso serva il PTOF può essere revisionato annualmente, sempre entro il mese di ottobre dell'anno precedente. L'USR competente “verifica che il piano triennale dell'offerta formativa rispetti il limite dell'organico assegnato a ciascuna istituzione scolastica” e informa il MIUR degli esiti della verifica, perché la consistenza dell'organico dell'autonomia è comunque decisa dal MIUR.
Il comma 14 dispone, inoltre, che “il piano [PTOF] è elaborato dal Collegio dei docenti”, così come è sempre stato. Con questo comma sono confermate al Collegio dei docenti tutte le prerogative sulla didattica, che sono parte integrante della professionalità docente. Le linee di indirizzo saranno invece definite dal dirigente scolastico, mentre l'approvazione del PTOF spetta al Consiglio d'istituto.
L'elaborazione del PTOF da parte del Collegio, o di una commissione eletta dal Collegio, è quest'anno operazione quanto mai delicata e da seguire con attenzione da parte di tutti gli insegnanti. Prima di tutto per tutelare la professionalità docente e la libertà di insegnamento attraverso le scelte didattiche che non possono essere imposte da alcun dirigente. Poi, ma non meno importante, perché nel PTOF devono essere individuati i criteri, le modalità e gli strumenti per l'utilizzo di quella parte dell'organico dell'autonomia che è il potenziato. Infatti ci sono segnali preoccupanti su questa problematica perché in alcuni Collegi sono state avanzate dai dirigenti proposte per utilizzare parte di questi posti per lo staff della dirigenza. Bisogna essere chiari su questa questione: l'unica risorsa dell'organico potenziato che può essere utilizzata per lo staff della dirigenza è solo quella del primo collaboratore (semi-distacco o distacco per il primo collaboratore) tutte le altre devono essere utilizzate per le esigenze delle attività didattiche al fine di migliorare la qualità dell'insegnamento. Il potenziato non serve per far fare ai docenti ciò che devono fare i dirigenti. Il Collegio dei docenti nella stesura del PTOF deve quindi indicare chiaramente cosa fare con i posti dell'organico potenziato.
Sempre per la stessa ragione, confermata peraltro dall'art. 1, comma 2, della Legge: “le istituzioni scolastiche garantiscono la partecipazione alle decisioni degli organi collegiali”, sono assolutamente da respingere i comportamenti di quei dirigenti che tendono ad espropriare il Collegio dei docenti delle prerogative che la stessa Legge 107/2015 non intacca, come ad esempio: l'approvazione (e l'eventuale modifica) del Piano annuale delle attività, l'elezione delle funzioni strumentali, l'individuazione dei criteri per l'assegnazione dei docenti alle classi.
Comitato di valutazione
Un altro adempimento che, nonostante la mancanza di indicazioni ministeriali, alcuni dirigenti stanno mettendo all'ordine del giorno dei Collegi docenti è l'elezione dei membri del Comitato per la valutazione dei docenti. Il nuovo “Comitato per la valutazione dei docenti” è introdotto all'art.1, comma 129, della Legge 107/2015, in sostituzione di quello previsto dall'art. 11, del d.lgs 297/1994.
Il Comitato dura in carica tre anni, è presieduto dal dirigente scolastico e ha composizione diversa a seconda delle diverse funzioni che esercita.
Quando il Comitato per la valutazione dei docenti esprime il parere sul superamento dell'anno di prova è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto da: due docenti eletti dal Collegio dei docenti, un docente eletto dal Consiglio d'istituto, il tutor del candidato.
Quando il Comitato per la valutazione dei docenti individua i criteri per la distribuzione del “bonus” ai meritevoli è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto da: due docenti eletti dal Collegio dei docenti, un docente eletto dal Consiglio d'istituto, due genitori eletti dal Consiglio d'istituto nelle scuole del primo ciclo (infanzia, primaria e medie) o un genitore e uno studente nelle scuole del secondo ciclo (superiori), un componente esterno scelto tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici dall'USR competente.
Quando il Comitato per la valutazione dei docenti valuta il servizio (art. 488 del d.lgs 297/1994) su richiesta dell'interessato e quando riabilita il docente che ne fa richiesta (art. 501 del d.lgs 297/1994) non si capisce come deve essere composto perché nell'art. 1, comma 129, della Legge 107/2015 non viene esplicitato (si corre il rischio che se per questa funzione il Comitato, come sembra, sia composto anche da genitori e studenti questi valutino servizio e riabilitazione dei docenti).
Per quanto riguarda i compensi a chi fa parte del Comitato per la valutazione dei docenti, l'art. 1, comma 130, della Legge 107/2015 dispone che “ai componenti del Comitato non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso di spese o emolumento comunque denominato” e, aggiungo io, sarebbe eticamente corretto che essendo coloro che decidono i criteri per l'assegnazione del “bonus” si rifiutassero di percepire detto “bonus”.
Come si può constatare la “novità” sostanziale di questo nuovo Comitato è la funzione di indicare i criteri per l'assegnazione del “bonus”. Il “bonus” è la parte dei 200 milioni di euro previsti dall'art. 1, comma 126, della Legge 107/2015, che verrà assegnato ad ogni singola scuola. Indicativamente, a seconda delle dimensioni e della complessità delle istituzioni scolastiche, tra i 15.000 e i 25.000 euro, che sulla base dei criteri individuati dal Comitato saranno distribuiti dal dirigente scolastico ai docenti di ruolo.
Dalla lettura delle norme risulta molto difficile vedere in questo “bonus” un sistema premiale del merito. Per prima cosa non esiste alcuna competenza specifica né nel Comitato né tanto meno tra i dirigenti scolastici per individuare il merito dei docenti. Nei paesi dove si valutano sia i sistemi che i singoli le figure dei valutatori sono formate con anni di studio e di esperienza e si occupano di aree specifiche e ben delimitate. Nel caso del Comitato di valutazione “nostrano” e “ruspante”, inventato dagli estensori della Legge 107/2015, chi potrà dire se il collega di Storia, piuttosto che di un'altra disciplina, ha raggiunto una buona qualità di insegnamento? Forse il dirigente scolastico che è laureato in matematica e si occupa d'altro e da molti anni non entra in una classe? Forse il collega di Fisica che insegna in un altro corso? Forse il genitore che lavora in banca e la Storia l'ha studiata 30 anni fa? Forse lo studente che con quell'insegnante ha avuto sempre voti positivi?
Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei sistemi d'istruzione si rende conto che siamo molto lontani da un serio sistema di valutazione del merito dei docenti; il merito “nella scuola alla buona” del nostro ministro e del Presidente del Consiglio diventerà, come in parte è già il FIS (uso in parte perché qui vi è la contrattazione con le rsu che tenta di limitare gli abusi), lo strumento del dirigente per premiare i suoi accoliti, distribuendo mancette, perché la cifra non permette grandi fortune, a chi sarà più pronto a seguire i suoi ordini e la sua volontà.Infatti, anche il merito, come del resto tutta la Legge 107/2015, risulta ispirato dalla filosofia aziendalistica vetero-industriale che pretende la governance della scuola organizzata in modo piramidale e gerarchico: un uomo solo al comando, il dirigente scolastico, con la possibilità di scegliere il suo staff (fino al 10% dei docenti di ruolo, ma per ora con la possibilità di pagare solo i due collaboratori) che saranno utilizzati non per migliorare la qualità dell'insegnamento in classe, ma per far “lavorare” tutti gli altri, i “Paria” di turno, la base della piramide.
Modello, quello gerarchico, che non è più in uso nelle imprese moderne, perché è risultato con tutta evidenza, che non migliora la produttività. Al contrario, ma non bisogna essere dei geni dell'organizzazione scolastica per rendersene conto, basta frequentare le aule scolastiche, cosa che chi ha scritto la legge evidentemente non ha mai fatto, nella scuola la “produttività” aumenta solo se l'organizzazione è di tipo collaborativo, nella quale chi “comanda” coordina e non ordina. Tutta una letteratura scientifica internazionale nell'ultimo decennio ha dimostrato che i migliori risultati per gli studenti si raggiungono creando un clima di collaborazione e partecipazione tra tutti i docenti della scuola. Sempre per gli stessi studi (1) risultano fallimentari per il miglioramento della qualità dell'insegnamento tutte le politiche, già sperimentate, di differenziazione salariale (merit pay) tra i docenti, politiche che sono proprio quelle scelte dal legislatore con la Legge 107/2015.
Purtroppo, per la scuola italiana, che chi ha scritto questa parte della Legge 107/2015 non conosca l'evoluzione degli studi sui sistemi di valutazione del merito è documentato dall'art. 1, comma 130, nel quale si dice che, per ora, il MIUR non darà alcuna indicazione alle scuole per l'individuazione dei criteri di merito, ma che nel 2018 (sic!) gli UUSSRR invieranno una relazione al ministero con la raccolta dei “criteri adottati dalle istituzioni scolastiche per il riconoscimento del merito dei docenti”. Poi, sulla base delle relazioni, il MIUR nel 2018 (ri-sic!) “predispone le linee guida per la valutazione del merito dei docenti a livello nazionale”. C'è di che strabuzzare gli occhi: il legislatore dice alle scuole, ad ogni singola scuola, che non sa come valutare il merito dei docenti e siccome non lo sa chiede alle scuole di sperimentare per tre anni un sistema di merit pay che si devono inventare, poi tra tre anni il ministero, sulla base di quello che le scuole hanno escogitato, stenderà le linee guida nazionali per la valutazione, e la retribuzione, del merito dei docenti.
Facile è ipotizzare che se queste sono le basi “scientifiche e oggettive” del sistema di valutazione dei docenti, un sistema di “merit pay alla buona”, non potremo che assistere al suo fallimento. Le macerie che questo “bonus” lascerà nelle scuole, con la distribuzione delle somme lasciata ai dirigenti scolastici, non migliorerà di certo la qualità dell'insegnamento impartito agli studenti.
In questo caso cosa può fare il Collegio dei docenti per limitare i danni? Prima di tutto rinviare il più possibile l'elezione dei membri, prendere tempo per spiegare a docenti, genitori e alunni la pericolosità di questo “merit pay alla buona” per la qualità dell'insegnamento. Poi per depotenziare il “merit pay alla buona” individuare assieme dei criteri che non creino competizione e concorrenza tra i docenti ma che siano adatti a mantenere un clima collaborativo e partecipativo nelle scuole, infine impegnando i colleghi eletti nel Comitato a rispettare le indicazioni fornite dal Collegio e convincere gli altri membri a seguirle così da vincolare le scelte del dirigente scolastico.
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(1) Citiamo solo alcuni studi tra i più significativi: Kim Marshall, Is Merit Pay The Answer?, “Education Week” del 15 dicembre 2009; Alfie Kohn, The Folly of Merit Pay, “Education Week” del 17 Settembre 2003
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