Nel caso del bonus dei diciottenni appare scandaloso che siano dati soldi per "attività e consumi culturali" anche a chi si può comprare senza grandi problemi l'ultimo modello di i-phone mentre mancano i soldi per la scuola, l'università, le biblioteche pubbliche, i musei, le pinacoteche, i teatri stabili, la manutenzione dei siti storici e archeologici, ecc
27 Dicembre 2015 | di Fabrizio Reberschegg
Il presidente del Consiglio Renzi, dopo i fatti di Parigi, ha promesso, con lo slogan " per ogni euro investito sulla sicurezza deve corrispondere un euro in più sulla cultura", un intervento diretto a favore di tutti i cittadini italiani che compiranno 18 anni nel 2016 per favorire i consumi culturali. Non si capisce ancora se la prospettata erogazione di € 500 per ogni diciottenne diventerà una misura strutturale oppure un provvedimento una tantum. In concreto si tratta di 275 milioni di euro che sarebbero finalizzati per favorire l'acquisto di libri o a favore di visite culturali a musei, teatri e concerti. Si faccia attenzione alla somma prospettata per i diciottenni nel 2016: è quasi uguale a quella prevista nella legge di stabilità per la copertura del contratto bloccato da sei anni del pubblico impiego e in particolare della scuola (in tutto 300 milioni). Si ricordi anche la previsione di stanziamento del famoso bonus a favore degli insegnanti pari a 381,137 milioni a decorrere dall’anno 2015, una somma sicuramente più importante di quanto spetterà a tutti i docenti per il futuro contratto di lavoro. Molti commentatori hanno criticato i bonus come mere prebende elettorali a favore dei partiti di governo, ma le scelte operate dal governo hanno logiche più subdole e profonde che toccano il cuore dell'azione della politica. Vediamo perché. Innanzitutto, i bonus sono esenti da imposizione fiscale e sono alla pari di erogazioni "liberali", non sono pertanto cumulabili ai fini fiscali al monte dei redditi e dei patrimoni soggettivi. Di fatto un bonus uguale per tutta una categoria universale di beneficiari ha effetti regressivi poichè avvantaggia chi ha una capacità contributiva maggiore pur essendo finanziato dalla fiscalità generale, cioè da tutti i contribuenti.
Nel caso del bonus dei diciottenni appare scandaloso che siano dati soldi per "attività e consumi culturali" anche a chi si può comprare senza grandi problemi l'ultimo modello di i-phone mentre mancano i soldi per la scuola, l'università, le biblioteche pubbliche, i musei, le pinacoteche, i teatri stabili, la manutenzione dei siti storici e archeologici, ecc. La logica del governo Renzi sembra sposare le teorie più ortodosse del liberalismo (da Von Hayek alla scuola di Chicago) in cui al centro del sistema economico e delle scelte di politica generale c'è la sovranità del consumatore che, mediante le sue "libere" scelte, determinerebbe un principio armonico di equilibrio nel sistema economico premiando i beni e servizi migliori e bocciando e penalizzando quelli inefficienti. Una logica che in cui prevale la sfera del privato rispetto a quella del pubblico e dello Stato in generale. Non a caso Von Hayek, e tutti gli esponenti dell'ala neoliberista sono sostenitori del bonus scolastico a favore delle famiglie, bonus erogato dallo Stato a tutte le famiglie senza distinzione di reddito che hanno figli frequentanti la scuola e che può essere speso solo per l'iscrizione a scuola. In questo modo immaginano che le scuole migliori (con insegnanti migliori, maggiore efficienza, con servizi accessori più graditi all'utenza) attirerebbero un numero maggiore di iscrizioni mentre le peggiori sarebbero costrette a chiudere o a cambiare modalità di erogazione del servizio. Una scuola operante in un libero mercato, disegnata sulle esigente dell'utenza e pagata con i soldi della fiscalità generale. Una scuola privatizzata che tende alla creazione di scuole di elite e di scuole di serie B, C,....Z. Alcune proposte di settori del centro-destra italiano (si veda il caso delle politiche dei bonus scolastici della Lombardia) vanno in questa direzione.
I bonus renziani hanno però la particolare caratteristica di determinare a priori in modo discrezionale da parte della classe di governo quali scelte può fare il consumatore. Non tutti i consumi "culturali" possono infatti essere oggetto del bonus. La scelta tra i consumi possibili e quelli non accettati viene demandata al governo e alle sue articolazioni ministeriali. Facciamo un esempio relativo al bonus docenti: un insegnante può acquistare un tablet, ma non uno smartphone (e perché?), non è prevista la copertura di un viaggio per vedere una mostra o un corso di aggiornamento, non si possono seguire corsi di lingua se non erogati dagli enti riconosciuti dal MIUR, ecc. Si aprirà sicuramente una disputa ideologica su quali libri e riviste potrebbero essere pagati con il bonus se non coerenti con la disciplina insegnata. La stessa situazione accadrà per il bonus dei diciottenni: a quali consumi potranno accedere con questi soldi? Saranno previste le discoteche? Saranno previsti gli acquisti di tablet e dei telefonini (tanto necessari per far arrivare i tweet del presidente del consiglio)? Potranno essere spesi per l'iscrizione in palestre o a corsi universitari?
Si staglia all'orizzonte uno Stato ad eticità flessibile che usa i soldi di tutti per determinare le scelte individuali e condizionare le preferenze di settori specifici di cittadini con provvedimenti indiretti o addirittura con faq che spiegano quello che uno può fare o non fare. In tutti questi casi si tratta sempre di una gentile concessione discrezionale del governo, un beneficio ottriato finalizzato alla ricerca del consenso di breve termine.
Per questo abbiamo da sempre osteggiato la politica dei bonus. Consideriamo offensivo il bonus a favore dei docenti così come è stato concepito. In questo senso riteniamo il bonus per i diciottenni come una sfacciata scelta propagandistica in vista delle prossime elezioni. Ma soprattutto contestiamo che si trovino i soldi per le prebende e le elemosine mentre tutti i commentatori concordano che gli stipendi dei docenti italiano siano oggettivamente umilianti. Con il nuovo contratto, a risorse inalterate in legge di stabilità, avremo in media 5-6 euro netti al mese e rischieremo come insegnanti di vedere stravolgere il nostro status giuridico e il riconoscimento dei diritti, già erosi dai decreti brunettiani sul pubblico impiego, che ci rimangono come lavoratori.
La Gilda degli Insegnanti da sempre ha fatto una battaglia per il riconoscimento delle spese professionali in sede di dichiarazione dei redditi e da sempre chiede che gli stipendi dei docenti italiani siano fortemente rivalutati (è nostra la storica richiesta di stipendi europei per gli insegnanti italiani). Per aprire un contratto serio servirebbero almeno 2 miliardi di euro. Renzi ci insegna che quando vuole li può trovare. Si possono trovare anche togliendo i bonus.
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