Gigi Monello, Il principe e il suo sicario. Come Cesare Borgia tolse dal mondo Astorre Manfredi. Con note sparse sopra la mente di un tiranno. Scepsi &Mattana Editori.
15 Febbraio 2016 | di Renza Bertuzzi
“ Il principe e il suo sicario” di Gigi Monello è un libro di Storia, un’ analisi della psicologia del tiranno e molto altro ancora. Di fatto, terminato questo testo, avvincente come un romanzo e rigoroso come un saggio, il lettore si interroga sulla natura effettiva dello scritto. Certo, il libro narra uno stralcio della Storia italica, tra il 1499 e il 1502 all’ apice del potere di Papa Alessandro VI Borgia, entrando nel vivo di una vicenda particolare ( la resistenza di Faenza al Duca Valentino, il principe di machiavelliana memoria e l’ uccisione crudele ed efferata del giovanissimo signore della città, Astorre Manfredi); certo, esso tratteggia anche lo sfondo politico ed antropologico di quella Italia ( già da un po’ , Ahi, serva Italia...) del 1500, in cui si posero le basi devastanti del futuro del Paese; certo, si interroga anche sui meandri della mente tirannica. Ma non è tutto qui. Ogni volta che si voglia tentare di chiudere questo testo in una definizione, ci si accorge come questa sia imprecisa, non completa. Questo libro, infatti, è un prisma a molte facce. Prima di tutto è un testo, accurato e suggestivo, che fa ripassare al lettore un momento della Storia, magari non bene approfondito; quindi, fornisce elementi sulle dinamiche mentali del tiranno- non solo di Cesare Borgia in particolare; inoltre, induce il lettore- senza forzatura alcuna da parte dell’ autore- a ritrovare nella narrazione archetipi imbarazzanti, ancora presenti nella realtà odierna. Solo per fare un esempio, non è difficile riconoscere analogie tra la facilità con cui allora la plebe cedeva alle lusinghe e agli inganni di detentori del potere: bastava qualche festa popolana, qualche divertimento becero e tutto veniva assorbito e la tragica leggerezza con cui oggi, e nel passato più prossimo, non più la plebe ma i “ cittadini” credono- hanno creduto- a ciarlatani e paranoici, complici qualche parata o qualche evento comunicativo a luce “sparata”.
E non è finita. Il taglio di Monello insiste sul tasto della Storia vista dalla parte delle vittime. Astorre Manfredi, che nei manuali è un nome e basta, qui diventa ciò che era effettivamente: un giovane nel momento della sua crescita, sul punto di diventare uomo. Ancora ragazzo, con le paure e le angosce dell’ età, ma già uomo nella determinazione di resistere. Quindi ’ immagina le sue sofferenze nell’ anno della prigionia, la crudeltà di chi gliele aveva inflitte e di chi ha posto fine alla sua vita.
Sopra a tutto, infine, sta l’ obiettivo primo dell’ autore di demistificare la figura di Cesare Borgia , e con lui tutta quella italianità profonda. Che percorre la fibre più intime della nazione: da Borgia a duci, principi e capipopoli più recenti. Fatta di dilettantismo, cinismo e retoricume e del suo complementare: la vecchia, cara, funesta ammirazione per il furfante abile.
Dunque, il testo si fa irridente nei confronti dei Grandi , osannati: a cominciare dal “Segretario fiorentino”, l’uomo “di scrittoio abbagliato e incantato dall’uomo di azione”, (che- come è ampiamente noto- pensò al Valentino come modello del moderno Principe) a seguire con tutti i vari Borgia/fascinati, tra cui Maria Bellonci.
Gigi Monello rovescia la visione di De Sanctis che vedeva nell’ uomo guicciardiniano il paradigma di quella degenerazione che, con parola machiavelliana, costituiva la «corruttela» della società intera. La corruttela, sostiene Monello, è invece nella storia dei Borgia dove c’è una sconcezza speciale che esige di essere colta; la parte più sottile del fascino , quel senso di cialtronesca in versione assoluta, quello sberleffo solenne ai valori morali...
Non può esserci politica senza morale, dunque. Ci perdoneranno, certi maggior nostri, se non ce la sentiamo di contraddire il nostro autore.
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