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Numero 4 - Settembre 2016
Numero 4 Settembre 2016

Il migliore del reame

Ideato dal Ministro Giannini l’Italian Teacher Prize, il premio nazionale per il miglior insegnante 2016/2017


24 Agosto 2016 | di Gianluigi Dotti

Il migliore del reame Nei mesi primaverili di questo 2016, mi imbatto nella notizia, diffusa con gran suono di grancasse dai media, che il Ministro della Pubblica istruzione, con il suo staff, ha ideato l’Italian Teacher Prize, il premio nazionale per il miglior insegnante 2016/2017.
Istintivamente ho avuto la tentazione di catalogare il tutto come l’ennesima trovata pubblicitaria di una politica che sempre di più si preoccupa dell’immagine e della propaganda piuttosto che dei contenuti, ma siccome insegno ai miei alunni che prima di giudicare bisogna sempre conoscere, approfondire e motivare, ho cercato di documentarmi sull’iniziativa ministeriale.
Ho così scoperto che il Ministro intende con il premio al miglior insegnante italiano 2016/2017, versione italiana del Global Teacher Prize, “valorizzare il ruolo degli insegnanti nella società” (sic!). Per l'iniziativa è stato predisposto un portale dedicato sul quale dal 1 luglio al 1 ottobre chiunque potrà presentare le candidature a miglior insegnante italiano (anche con auto-candidature). Successivamente, chiunque potrà proporre una “nomination” (proprio così, come nei reality show televisivi) accompagnandola con una motivazione. Un’apposita commissione interna al MIUR, creata per l’occasione, sceglierà tra le “nomination” le 50 candidature “ritenute più meritevoli e interessanti” da proporre ad una giuria “composta da personalità provenienti da mondi rappresentativi della società italiana”, la quale “provvederà a stilare la classifica dei primi 5 finalisti” tra i quali sarà scelto il miglior insegnante italiano del 2016/2017. L’insegnante vincitore “riceverà un premio in denaro pari a 50mila euro, gli altri 4 finalisti riceveranno un premio pari a 30mila euro ciascuno. Il premio in denaro verrà assegnato alle scuole dei docenti vincitori per la realizzazione delle attività e dei progetti promossi e coordinati dai docenti premiati”.
Nella mia esperienza professionale, cioè preparando lezioni, ho capito che bisogna collegare gli obiettivi con i contenuti e i metodi, per questo, il primo serio dubbio riguarda il modo con il quale questo premio dovrebbe riuscire a conseguire l’obiettivo di “valorizzare il ruolo degli insegnanti nella società”. Sarebbe come dire che il concorso per Miss Italia (senza nessuna polemica, naturalmente) ha l’obiettivo di “valorizzare il ruolo della donna nella società italiana”; credo infatti sia evidente a tutti come la Miss Italia annuale abbia altri obiettivi, palesi o sotterranei, ad esempio quello di perpetuare l’eterno femminino, che peraltro confliggono con quello di valorizzazione del ruolo della donna moderna nella società.
Per quanto riguarda poi la scuola vera e gli insegnanti in carne ed ossa che stanno in classe, non quelli sulle brochure e nei video della propaganda ministeriale, posso ricordare che ho iniziato ad insegnare circa 30 anni fa e, come tutti i miei colleghi, ho avuto chiaro fin da subito che il nocciolo della professione docente è quello di motivare gli allievi ad apprendere le conoscenze e ad utilizzarle nei contesti quotidiani nei quali vivono e vivranno il loro futuro. Per fare questo ho sempre ritenuto necessario preparare e organizzare lezioni che fossero in grado di trasmettere le conoscenze e le modalità del loro impiego interessando gli alunni ma che, nello stesso tempo, mantenessero il rigore metodologico e disciplinare dell’epistemologia letteraria e storica (le materie che insegno).
La vera difficoltà dell’insegnamento, e per certi versi la sfida con cui ogni docente si confronta quotidianamente, è proprio questa: confezionare lezioni “interessanti” e “coinvolgenti” ma senza semplificare i contenuti e i metodi (cioè l’utilizzo dei contenuti) per assecondare la comprensibile, ma non giustificabile, richiesta degli allievi e spesso delle famiglie e della famigerata “società civile” citata dal Ministro (e in questo caso è meno comprensibile e per nulla giustificabile) di far “giocare” gli allievi così che non si affatichino.
Vero è che il futuro di ogni nazione, del nostro paese, è strettamente legato alla capacità della scuola pubblica statale di formare le nuove generazioni alle regole, all’impegno e, perché no, anche alla fatica personale e alla responsabilità individuale nella consapevolezza che ogni conquista, anche quella del sapere, ha in sé il “sudore” della fatica e la soddisfazione del conseguimento della meta. Si tratta di insegnare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi che la vita è esattamente un viaggio e non un gioco (metafora quest’ultima che sempre più spesso oggi la “società civile” e la stessa politica tendono a promuovere, ma che tanti danni sta provocando prima di tutto proprio ai giovani e alla loro prospettiva di futuro). La metafora del viaggio, resa ancor più chiara se applicata ad un’ascesa montana che comporta sì la fatica della salita, ma anche la soddisfazione della conquista della vetta dalla quale lo sguardo corre su tutto ciò che sottostà e ripaga dello sforzo, è proprio ciò che più si addice alla conquista dei saperi.
Del resto anche nella scuola il viaggio, se rientra nella progettazione didattica e non si risolve nella “gita fuori porta”, è occasione di apprendimento: infatti, sempre quando mi è stato possibile, nonostante i tanti problemi che Dirigenti e norme del ministero hanno creato in questi anni, ho portato i miei studenti a conoscere contesti, ambienti, persone e culture vicine e lontane attraverso stage linguistici e scambi culturali.
L’acquisizione del sapere, che deve essere interessante in sé e non resa allettante da fattori esterni e modaioli (oggi va molto è molto in voga il digitale), è quindi legata anche alla fatica dello studio come ci ricordano le opere di molti dei classici della letteratura e della cultura nazionale. Le citazioni che potrei portare sono innumerevoli, mi limito a ricordare Leopardi delle “sudate carte” e Gramsci di “Letteratura e vita nazionale”, ma, anche se con rammarico, dubito che chi si occupa oggi di politica scolastica conosca e sia in grado di attualizzare questi valori dei nostri classici.
L’iniziativa del Ministro dimostra che purtroppo la pratica della professione docente (che è comune alle migliaia di insegnanti italiani, troppo spesso oggi lasciati soli da coloro, dai Dirigenti scolastici alla stessa Amministrazione centrale per non parlare della politica, che dovrebbero invece sostenerli fattivamente) non è certo rappresentata dal concorso ministeriale Italian Teacher Prize, che- statene certi- non porterà alla valorizzazione degli insegnanti nella società italiana. Al contrario la “filosofia” (e il termine è chiaramente inadeguato) del concorso si ispira proprio in quel contesto culturale “consumistico”, ben definito da Bauman nella “Società liquida”, che ha svilito la figura professionale del docente lasciandolo solo a educare le nuove generazioni.
Naturalmente è appena il caso di ricordare al Ministro che ci sono centinaia di migliaia di docenti che meriterebbero il premio come miglior insegnante perché ogni anno scolastico, compreso quello appena finito e quello che sta iniziando, dedicano tutta la loro professionalità e la loro energia (direi la vita, se non pensassi di essere frainteso) a cercare di trasmettere conoscenze e metodi agli allievi, ad educare.
Proprio per questo, in conclusione, ad epigrafe del premio al miglior insegnante italiano vorrei ricordare il Galileo Galilei di Brecht, il quale ad Andrea Sarti, furioso per l’abiura, che gli urla “Sventurata la terra che non ha eroi!” risponde “No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.
 
 
 


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Numero 4 - Settembre 2016
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