La Gilda è per il mantenimento della valutazione numerica nel primo ciclo e per un esame di Stato -finché esisterà il valore legale del titolo di studio- come prova seria e con caratteristiche uniformi per tutti gli studenti italiani
23 Aprile 2017 | di Fabrizio Reberschegg
Mentre scriviamo il Governo ha appena emanato il testo definitivo dei Decreti legislativi che erano collegati alla Legge 107/15 (la "Buona Scuola"). Tra questi ha fatto discutere la proposta di revisione complessiva della valutazione per il ciclo primario e dell'Esame finale di Stato a conclusione del secondo ciclo. Sembra una delega contenente contenuti tecnici e operativi, ma di fatto cela una ideologia e una prassi che consideriamo molto discutibile. La Gilda ha evidenziato alcuni aspetti positivi del testo iniziale della delega nelle audizioni parlamentari e con il Governo (il mantenimento della votazione in decimi evitando la fiera delle valutazioni in "giudizi" e “lettere”, l'eliminazione dagli esami di stato della scuola secondaria di primo grado delle famigerate prove INVALSI e la opportuna semplificazione delle prove d'esame e il mantenimento delle commissioni per metà esterne nell'Esame di Stato –esame di maturità).
Su tanti aspetti della delega la Gilda ha invece espresso con forza critiche e proposte alternative. Ad esempio: restano aperti i problemi relativi ai requisiti della promozione nel primo ciclo dove nella scuola secondaria di primo grado è sufficiente la media del sei (compresa la condotta) per l’ ammissione alla classe successiva e all'esame; per l'accesso all'esame di maturità si dovrà subire nell'ultima classe le famigerate prove Invalsi; viene inserita nel colloquio di maturità l'esperienza di Alternanza Scuola-Lavoro che diventa essenziale per l'accesso all'esame; si cassa tout court la terza prova aumentando il peso del curricolo scolastico degli studenti; si introduce il "Curriculum dello Studente" , una sorta di curriculum vitae dello studente in cui le prove Invalsi, le esperienze di Scuola-Lavoro e certificazioni varie diventano parte integrante di un documento spendibile per la prosecuzione degli studi e per l'inserimento nel mondo del lavoro.
I pareri espressi dalle commissioni avevano addirittura reso più confuso il testo proposto dal Governo senza aggredire i problemi reali concernenti non solo la valutazione, ma l'essenza stessa della funzione docente e della scuola nel nostro Paese.
La logica con cui le forze politiche si sono mosse in maniera trasversale sembra partire dall'assunto che la valutazione degli allievi, in generale, sia potenzialmente discriminatoria e non inclusiva. L'importante è il raggiungimento quantitativo degli obiettivi previsti da Lisbona per il 2020 (riduzione dell'abbandono scolastico al 10%, il raggiungimento per almeno l'85% degli studenti del diploma superiore, aumento dei laureati nelle facoltà scientifiche, ecc.) e il sostegno acritico della logica per la quale "ogni bocciatura di uno studente è di fatto una bocciatura della scuola e dei docenti".
Le Commissioni parlamentari sono così arrivate ad esprimere contraddittori pareri positivi, sia pure con alcune interessanti osservazioni, su una delega che legittima la semplificazione del percorso scolastico senza aggredire i problemi relativi ai cosiddetti saperi essenziali necessari per ottenere le competenze previste nelle varie fasi dello stesso percorso. L'ideologia della metafisica delle competenze, che appaiono epistemologicamente fragili nelle modalità con le quali sono state applicate nel sistema scolastico europeo, rende paradossalmente più forti e autorevoli gli enti esterni alla scuola che definiscono in termini di commensurabilità saperi, abilità e competenze. Si pensi al ruolo ambiguo dell'Invalsi, al ruolo rafforzato degli enti certificatori (privati) delle competenze linguistiche che dovrebbero cooperare con lo stesso Invalsi nella certificazione dei test, delle competenze informatiche, ecc.. Si pensi inoltre al pericoloso ruolo dell'alternanza scuola-lavoro dove l'impresa esterna può divenire attrice dei processi di valutazione delle competenze in uscita. Il Governo ha accolto in zona cesarini alcune perplessità espresse dalla nostra delegazione sulla proposta di ammissione all’esame di Stato con la semplice media del sei ed ha mantenuto, nel testo finale, la necessità, per l’ammissione all’esame di maturità, della sufficienza in tutte le discipline con effetti penalizzanti per il credito scolastico per gli studenti “aiutati” dal Consiglio di classe.
Tuttavia, non è stato minimamente scalfito uno dei problemi più rilevanti. Mentre si semplifica l'esame di maturità, diventa più significativo per gli studenti avere un buon "Curriculum dello Studente" invece che un buon voto d'esame. In tutto il percorso si opera così direttamente e indirettamente un rafforzamento della funzione dell'Invalsi (si veda l'inserimento degli esiti delle prove nel Curriculum dello Studente e il ruolo per l'ammissione all'Esame finale di Stato).
L'Invalsi, come abbiamo sempre sostenuto, non dovrebbe esercitare la sua funzione nella valutazione individuale dello studente, dovrebbe invece essere uno strumento che consente al sistema nel suo complesso di verificare le criticità e i punti di forza. Dovrebbe quindi fungere da stimolo per i docenti nella sperimentazione di strategie specifiche nella pratica della didattica e non dovrebbe diventare il test di Valutazione della scuola, dell'insegnante e dello studente. Il fatto che si rafforzi proprio la funzione valutativa commensurabile dei test Invalsi sul piano individuale è molto pericoloso e può spingere l'insegnamento a curvare la sua pratica al mero superamento positivo dei test (teaching to the test).ù
Negativa, a nostro avviso, era la richiesta fatta dalle commissioni parlamentari di reintrodurre al posto dei voti numerici le lettere (A,B,C,D) nel primo ciclo. Si trattava non solo di uno stupido scopiazzamento delle standardizzazioni anglosassoni, ma di una riduzione della complessità della valutazione dei saperi a mero inserimento in contenitori espressivi di fumose competenze dove prevalente è il saper fare (l'allievo svolge compiti... in termini avanzati, intermedi, base e iniziali) rispetto al livello di conoscenze e abilità raggiunte. Solo la Gilda aveva espresso un giudizio positivo sul mantenimento dei voti numerici e la sua richiesta è stata accolta positivamente in extremis dal Governo anche sotto la pressione di associazioni professionali, intellettuali e stampa. Riteniamo infatti che la tradizione dei voti in decimi, usata in Italia anche in tantissimi contesti non scolastici, consenta una migliore parametrazione delle capacità, delle conoscenze e delle reali competenze raggiunte dagli allievi. E continueremo a ribadire che le "competenze" si possono conseguire solo se vi sono solide conoscenze e abilità di base.
La Gilda ha chiesto inoltre- ma inutilmente- il mantenimento della terza prova dell'esame di maturità proponendo una terza prova con caratteristiche nazionali (quesiti definiti in maniera omogenea nelle scuole degli stessi indirizzi). L'attuale costruzione autonoma delle terze prove, da parte delle commissioni, si basava sulle logiche delle competenze astratte curvate in maniera anarchica nelle singole scuole. Si trattava di un frutto dell'autonomia scolastica berlingueriana ed ha portato ad una oggettiva disparità di trattamento tra i vari istituti scolastici conseguendo valutazioni su "competenze" disomogenee e spesso incoerenti con i livelli previsti dalle stesse, già vaghe e esorbitanti, indicazioni nazionali. Abolire la terza prova è solo un espediente per non affrontare il cuore del problema e cercare il facile consenso di studenti e famiglie. Il Governo ha invece posto con forza, come condizione di ammissione, l'attività di alternanza scuola-lavoro e l'inserimento nel colloquio di "cittadinanza e costituzione" Una sorta di formazione al lavoro obbligatoria con una spolverata dei soliti vaghi concetti di "buone pratiche di democrazia" in una scuola che ha tagliato ferocemente il peso delle discipline giuridiche ed economiche.
Continueremo a ribadire che l'esame di Stato, finché esisterà il valore legale del titolo di studio, deve e dovrà essere una prova seria e con caratteristiche uniformi per tutti gli studenti italiani. Saremo in pochi a pensarla così, ma non abbiamo remore a dire cose che tanti pensano senza aver il coraggio di esplicitare. E continueremo a dire che, se è necessario che la scuola sappia affrontare e superare il problema della dispersione, è soprattutto necessario garantire qualità e autorevolezza all'insegnamento e al ruolo della scuola statale senza scadere nei facili buonismi per cui tutti nella scuola sono capaci e bravi e hanno "diritto al successo formativo". Il problema è che dopo la scuola i nostri studenti devono affrontare una società e un mercato del lavoro pesantemente competitivi dove la "dispersione", quella vera, diventa emarginazione e sfruttamento. Demandare al mercato le scelte sul merito e le capacità significa abdicare al ruolo dell'insegnante e della scuola pubblica. Non dimentichiamocelo.
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