Fabrizio Tonello, L’età dell’ignoranza. È possibile una democrazia senza cultura? Bruno Mondadori 2012
23 Aprile 2017 | di Sebastiano Leotta
Dell’ignoranza, come una volta scrisse Goethe di Shakespeare, non si smetterebbe mai di parlare. E alcuni recentissimi eventi ci permettono di riprendere in mano il pamphlet di Fabrizio Tonello, L’età dell’ignoranza, uscito nel 2012 e di raccomandarne la lettura.
La prima occasione ce la fornisce un presidente americano che ha fatto dell’ignoranza deliberata e demagogica un pericoloso strumento di consenso; come ha scritto qualche tempo fa Paul Krugman, nobel per l’economia, sul “New York Times” del 13 febbraio 2017, per Trump e la sua cerchia «ignorance is strength» (lo dimostrano le surreali e dilettantesche leggi sull’immigrazione o la totale incompetenza sulle questioni scolastiche da parte del ministro dell’istruzione Betsy DeVos). Si può aggiungere inoltre che Trump, al cui confronto G.W. Bush sembra uscito da Harvad, continua a ripetere che il numero di omicidi negli Stati Uniti è al suo massimo storico, mentre dati fattuali e statistiche dimostrano il contrario. Insomma è quasi l’applicazione del più equivocato fra gli adagia di Nietzsche: non esistono i fatti ma solo le interpretazioni.
La seconda occasione è costituita dall’ignoranza cognitiva, che è ormai degenerata in psicosi, per esempio di fronte ai vaccini e ai loro presunti effetti collaterali, ignoranza che nasce soprattutto da un uso distorto del web. La gigantesca massa di informazioni che ormai circolano su internet ha prodotto paradossalmente sacche di disinformazione senza precedenti, che hanno reso in certi casi difficile orientarsi e discriminare il vero dal falso. Probabilmente la forza di internet è allo stesso tempo la sua debolezza. Infatti per distinguere, in rete, “il grano dal loglio” è necessaria una pre-comprensione culturale che solo la scuola pubblica, quella che non annega nella plètora dei progetti e dei POF, può dare. Si potrebbe dire, da questo punto di vista, che solo “a chi ha sarà dato”, per evocare il detto evangelico di Matteo.
L’ultima occasione è la “lettera dei 600”, ossia l’appello di centinaia di docenti sull’ignoranza grammaticale, linguistica e di comprensione della realtà più in generale degli studenti italiani (la cosiddetta literacy), che denuncia ancora una volta come il processo di disaffezione e di estraniazione dalla cultura scolastica sia ormai allarmante (non solo in Italia).
La crisi dell’istituzione scolastica, e cioè di quell’agenzia che determinate e fondamentali competenze deve trasmettere, è per Tonello uno dei segnali di pericolo per una democrazia: «sul piano individuale i prezzi dell’ignoranza sono alti, sul piano sociale sono semplicemente catastrofici. Una società dove una robusta minoranza non si informa, non controlla, non vota con discernimento è una società impossibilitata a autogovernarsi. Le elezioni diventano spettacoli, operazioni di marketing in cui prevalgono i candidati più ricchi, o professionalmente meglio consigliati, trasformando i cittadini in spettatori». Insomma senza volerlo «siamo entrati senza accorgercene dell’ignoranza».
Per aggiornare i dati offerti dal libro Tonello è sufficiente riferirsi a Senza sapere. I costi dell’ignoranza in Italia di Giovanni Solimine (2015). I giovani italiani diplomati sono il 56% contro una media europea del 73,4 %; i laureati, tra i 30-34 anni, sono il 20% contro il 34,6 % di media (il 50% invece in Gran Bretagna) e calano in generale le iscrizioni all’università, soprattutto tra le fasce sociali più lambite dalla crisi, con un conseguente allargamento delle differenze sociali che non si registrava dagli anni ’70. L’incremento dei laureati negli ultimi anni è stato in Italia la metà di quello europeo. Mentre la Germania investe il 3% del PIL sulla scuola e sull’istruzione, in Italia si fatica a programmare sul lungo periodo e dal 2005 al 2012 gli investimenti sono stati meno dell’1%. La partecipazione ad attività educative di qualsiasi genere in Italia è la più bassa dei paesi OCSE: il 24% rispetto al 52% della media europea. E si potrebbe continuare.
Si registra inoltre una diffusa “apologia dell’ignoranza”, si erigono quelli che Tonello chiama «manifesti dell’anti-intellettualismo», ossia l’esaltazione dell’istinto e dell’emotività a scapito della ragione, l’enfasi dell’espressione personale al posto dell’argomentazione logica.ù
La questione dei vaccini porta alla luce, per fare un esempio, un sospetto verso la scienza e gli scienziati: al pluralismo ben fondato e pertinente delle opinioni scientifiche si sostituisce il parere degli pseudo esperti; alla cultura e alla formazione specialistiche si preferisce “l’università della vita”, come spesso si legge su Facebook.
Il significato politico del libro di Tonello mi pare evidente: l’ignoranza in una democrazia può costare cara, anzi è uno dei cavalli di Troia più pericolosi per sistemi democratici. Come possono cittadini poco e male o per niente informati scegliere i loro rappresentanti con razionalità e buon senso? Come possono valutare le loro azioni e lo loro leggi? Come possono “vaccinarsi” contro populisti e manipolatori? La scuola rimane l’unico luogo in cui, attraverso la conoscenza, è possibile imparare a imparare a liberarsi dallo stato di minorità che è conseguenza dell’ignoranza; questo però deve tradursi in maggiori investimenti a lungo termine e nel disfarsi di certe parole d’ordine adatte forse più al marketing e all’improvvisazione che a una sana filosofia dell’educazione (chi non ricorda le retorica delle “tre i”, o l’enfasi sulle LIM, o il perniciosissimo congegno universitario del 3+2?).
L’ignoranza al potere, anche attraverso la distruzione dell’autorità delle élite, vuole dai cittadini istinto ed emotività e lo stesso autore del libro scrive che «un diffuso infantilismo tra gli adulti» li rende inermi di fronte alla complessità del mondo.
A Fabrizio Tonello forse non dispiacerebbe questa pagina della Nuova enciclopedia di Alberto Savinio: «La cultura ha principalmente lo scopo di far conoscere molte cose. Più cose si conoscono meno importanza si dà a ciascuna cosa: meno fede, meno fede assoluta. Conoscere molte cose significa giudicarle più liberamente e dunque meglio. Meno cose si conoscono, più si crede che soltanto quelle esistono, soltanto quelle contano, soltanto quelle hanno importanza. Si arriva al fanatismo, ossia a conoscere una sola cosa e dunque a credere, ad avere fede soltanto in quella».
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