Ermanno Bencivenga, "Prendiamola con filosofia" e "La scomparsa del pensiero". Due testi fondamentali per riprendere le fila del pensiero
22 Agosto 2017 | di Renza Bertuzzi
Mala tempora currunt per il pensiero e quindi per noi tutti. Succede da un po’, da quando lo scambio di idee e di opinioni sia sui grandi temi sia su quelli meno importanti, ma fondamentali per le relazioni umane, ha abdicato al logos per affidarsi ad altro. A volte alle viscere, a volte a categorie psicologiche in opposizione come l’ odio e l’ amore con cui- addirittura sui quotidiani- vengono analizzati i politici. Non più dunque discorsi di scambio, di analisi delle idee contrarie alle proprie tenendo conto di un ragionamento anche se polemico, ma esclusivamente invettive- verso chi la pensa diversamente- e quasi sempre incivili e di pessimo gusto. Per non parlare dell ‘uso della violenza fisica. A volte si ha l’ impressione che tutto sia perduto e che sia giunta la fine della parola che spiega, che analizza, che interroga a favore del rumore violento e pericoloso di questa nostra contemporaneità.
Per fortuna, però, ci sono i filosofi che, da Socrate in poi, non demordono e non si danno per vinti in questa aspra battaglia contro l’ irrazionale, continuando a sostenere e a rappresentare la supremazia della logica e della riflessione ponderata contro queste derive.
Ermanno Bencivenga è uno di questi filosofi che si dedica con impegno e tenacia a questa impresa, sia dalle pagine de “ Il Sole 24 ore”, con cui collabora, sia con i suoi scritti.
Logico di fama, attualmente professore di filosofia e humanities all'Università di California, Irvine, Bencivenga ha scritto recentemente due preziosi testi Prendiamola con filosofia e La scomparsa del pensiero.
Il filo conduttore dei due testi è l’ atteggiamento filosofico di fondo, quello alla Socrate per intenderci, che non propone verità ma solo dubbi, dubbi vitali sulle idee a cui siamo legati con fermezza e che ci sembrano verità. La filosofia- dice Bencivenga nell’ intervista pubblicata in questo numero del giornale- non offre ricette o sentenze perché quel che conta in filosofia è il tessuto argomentativo che lega un’opinione a un’altra, un fatto a un altro; ed è questo tessuto che si sta sempre più lacerando.
Il primo testo nasce dopo il massacro di Charlie Hebdo e affronta il tema della libertà di espressione, un fondamento della civiltà occidentale, su cui non si è disposti a transigere. Giusto, conferma l’ autore ma...vediamola con filosofia. Vediamo come le opinioni siano formulate in un linguaggio che non solo descrive la realtà ma la modifica; vediamo come si sono interrogati i filosofi e come abbiano elaborato sulla parola e sul linguaggio idee diverse, anche contrastanti e come da ogni affermazione, concepita come verità, scaturiscano altre diverse versioni, degne di attenzione. Si tratta di un cammino affascinante in cui il filosofo Bencivenga ci prende per mano e ci guida a considerare tutte le facce di un prisma- in questo caso la libertà di espressione- senza pregiudizi o paura di cedimento sui nostri principi primi.
La filosofa non semplifica la vita ma la complica avverte Bencivenga, ed è solo con infinita pazienza che si può affrontare la contemporaneità, rivisitando certezze incrostate e valori consolidati non -così interpretiamo il suo pensiero- per abbandonarci ad una indifferenza morale ( e politica) ma per abituarci a rivedere le nostre idee che devono sistematicamente confermare i principi che le sorreggono.
Il secondo, La scomparsa del pensiero, scaturisce dalla percezione che tra le tante catastrofi annunciate (il clima vittima dell’ inquinamento; lo scontro di civiltà; le migrazioni di popoli infelici) non si consideri quella che potrebbe essere la più grave. Ogni speranza di salvare l’ ambiente o di produrre cibo a sufficienza o trovare una via di uscita dai dissidi e conflitti che ci perseguitano riposa sulla nostra capacità di ragionare: di tacitare emozioni e impulsi e fare spazio per idee, proposte e teorie e per una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza. (Pag. 9). La capacità di pensare, ragionare, argomentare è qualcosa che nessuno oltre a noi noto sa fare altrettanto bene (pag. 36), è quella caratteristica che ci distingue dalle altre specie animali. Eppure, il pensiero è a rischio scomparsa anche perché i dispositivi elettronici hanno diminuito la necessità di svolgere semplici, quotidiani esercizi deduttivi e hanno ridotto il fiorire della virtù logica che in quegli esercizi trovava nutrimento: la spaventosa efficienza degli strumenti digitali (cioè degli strumenti alternativi al ragionamento tradizionale) rende il” logos” meno immediatamente necessario.(Pag. 45) Si tratta dell’ ultima, in ordine di tempo, esternalizzazione di una facoltà umana, della cessione ad agenti esterni di una caratteristica dell’ uomo. La più importante.
Allora, il filosofo ci ricorda che il logos è il discorso significante, che obbedisce ai canoni della ragione e che usa i suoi vari termini con un senso definito e preciso, che può mutare durante il discorso ma lo farà in modo altrettanto definito obbedendo a leggi altrettanto precise, e si oppone a un discorso insensato e irragionevole in cui si dice tutto e il contrario di tutto, ovvero si dice qualunque cosa passi per la testa in ogni momento senza curarsi della sua coerenza e plausibilità alla luce di quel che si è detto un momento prima. (Pag. 26).
Seconda la Retorica di Aristotele, tre sono gli strumenti per convincere l’ uditorio: il logos, l’ ethos e il pathos.
Il pathos risveglia le passioni, le emozioni del pubblico;[...] l’ ethos impone l’ autorevolezza dell’ oratore[...] il logos convince con l’ autorità della ragione : chi parla può essere la persona meno carismatica e onorevole che conosciamo, ma se quel che dice è argomentato in modo cogente, dovremmo esserne persuasi. (Pag.21).
Parole sante, contano (o dovrebbero contare ) i ragionamenti stringenti e non la comunicativa, il bucare lo schermo che oggi prevalgono, ingannando, nel discorso pubblico.
Infatti, di logos in giro ce n’ è poco. Non c’è nel discorso politico, tautologico e viscerale; non c’ è nel discorso pubblico, non c’ è nella cosiddetta informazione/ comunicazione dove prevale l’ enfasi acritica e scarseggia pure nella scuola, che, secondo i dettami della nostra Costituzione, dovrebbe essere il luogo deputato ad esercitarlo la “funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’ attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”. (D.L. 16 Aprile 1994, n.297 (Parte III, , titolo I, Capo I).
Certo è più faticoso, applicarsi ad un sillogismo che lanciare una battuta o un tweet. Nella scuola paga di più essere accondiscendenti che rigorosi; chiudere un occhio piuttosto che assumersi il compito di affrontare con rigore logico le questioni.
Ma la strada giusta non è questa. Lo sanno i moltissimi docenti che non hanno abdicato a quella funzione che la Costituzione assegna loro; che condividono l’ idea di Bencivenga a: l’unica cosa che ciascuno di noi possa insegnare è se stesso, presentando agli studenti un modello di come si affronta un problema, di come si legge un testo, di come si risolve una difficoltà.
A loro, crediamo, e a tutti coloro che sentono la necessità di pace e pazienza per svolgere il filo dei propri ragionamenti, è dedicato questo libro.
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