Per il contratto, una torta striminzita di risorse nemmeno lontanamente paragonabile a quella usata ad esempio per il salvataggio delle banche
22 Agosto 2017 | di Fabrizio Reberschegg
Dopo l'accordo governo-sindacati sui principi ispiratori dei contratti del pubblico impiego assistiamo ad una incredibile farsa sulla questione degli aumenti stipendiali. L'accordo di novembre 2016 già prevedeva una riduzione della forbice salariale a favore degli stipendi più bassi (ma cosa si intende per stipendio alto? quello di un docente a 1600 euro netti al mese?!), ora sindacati confederali e governo concordano sulla necessità di non penalizzare chi già percepiva i mitici 80 euro.
Ricordiamo che il Bonus 80 euro spetta nella misura di 960 euro annuali ai lavoratori con reddito complessivo fino ai 24 mila euro e scende d’importo per coloro che hanno un reddito compreso tra i 24 mila euro e i 26 mila euro e che è di fatto una detrazione fiscale al netto. Non è invece corrisposto ai lavoratori con redditi inferiori agli 8 mila euro ( in sintesi: fino a 8.000 euro lordi annui nessun bonus, da 8.000 a 24.000 960 euro, fino a 24.500 euro 480 euro, da 25.000 a 26.000 euro 240 euro).
La via indicata dalla direttiva sui contratti del pubblico impiego e nell'atto di indirizzo per evitare che possibili aumenti stipendiali facciano perdere a molti il bonus renziano, è quella contrattuale. In pratica a chi è vicino alla soglia, dovrebbe essere riconosciuta una sorta di indennità che assicuri il mantenimento in busta paga degli 80 euro nel caso in cui l'aumento contrattuale facesse superare la soglia di reddito che dà diritto al bonus. Ma come si finanzia questa indennità? Secondo le prime stime, servirebbero 500 milioni di euro circa per garantire che nessuno perda il bonus. Il governo vorrebbe che questi soldi venissero pescati all'interno della somma destinata agli aumenti. Ricordiamo che le coperture finanziarie attuali prevedono per il 2016 un aumento di 10 euro lordi mensili, mentre per il 2017 dovrebbero essere disponibili i finanziamenti per far salire l'aumento a 40 euro. Manca il resto per arrivare ai promessi 85 euro, che per il solo comparto statale vale complessivamente 1,2 miliardi di euro. Cifra che si raddoppia per pagare l'aumento anche a Regioni, Sanità ed Enti locali, che dovranno trovare i fondi però nei loro bilanci. Ipotizziamo che vengano utilizzate le risorse esistenti per garantire il mantenimento degli 80 euro per tutti coloro che, a seguito degli aumenti contrattuali, superino la soglia della povertà renziana. Ebbene, questa soluzione penalizzerebbe ampiamente gli aumenti per coloro che già percepiscono redditi superiori ai 26.000 euro lordi. Si colpirebbero i "ricchi" per premiare i "poveri" usando una torta striminzita di risorse nemmeno lontanamente paragonabile a quella usata ad esempio per il salvataggio delle banche. Uno scandalo.
Ma possibile che i sindacati confederali non abbiano il coraggio di dire che il bonus di Renzi è una vergogna in senso politico, sindacale e tecnico? In concreto il governo Renzi è entrato pesantemente nei meccanismi contrattuali stipendiali mettendo in un angolo i sindacati e provocando effetti a cascata sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti. Crediamo che non si possa continuare a salvaguardare il meccanismo del bonus con mezzucci contrattuali. Bisogna invece pretendere una seria riforma fiscale per tutti i lavoratori rimodellando il gioco delle aliquote, delle detrazioni e delle deduzioni per tutti i cittadini. Il rischio è che nel prossimo contratto della scuola un collaboratore scolastico potrà avere un aumento che gli consentirà di prendere due pizze al mese mentre un docente con anzianità di servizio media potrà permettersi una brioche con caffè. Non è così che si fa una politica dei redditi.
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