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Numero 5 - Novembre 2017
Numero 5 Novembre 2017

I tempi della scuola: eliminare i compiti a casa, sollevare dalla responsabilità famiglie e allievi

E’ necessario contrastare la facile proposta dell'abolizione dei compiti a casa. Lo studio deve avere tempi e spazi individuali, lo studio è anche fatica, pazienza e acquisizione di responsabilità. Si impara non solo in classe, ma anche riflettendo, ripetendo, ricercando da soli
 


28 Ottobre 2017 | di Fabrizio Reberschegg

I tempi della scuola: eliminare i compiti a casa, sollevare dalla responsabilità famiglie e allievi Don Milani nella sua "Lettera a una professoressa" scriveva in relazione alle ripetizioni private fatte dagli insegnanti: "La mattina sono pagati da noi per fare scuola eguale a tutti. La sera prendono denaro dai più ricchi per fare scuola diversa ai signorini. A giugno, a spese nostre, siedono in tribunale e giudicano le differenze". Don Milani non ha mai scritto nulla contro i compiti a casa, si è limitato ad accusare la scuola di essere classista perché solo i più abbienti potevano avere, per mezzo delle risorse familiari e con ripetizioni private, maggiori possibilità di successo formativo. Le rancorose accuse di Don Milani alla scuola di classe e agli insegnanti servi sciocchi del sistema educativo lasciano il tempo che trovano e devono essere collocate in uno specifico contesto storico e sociale che è distante anni luce dai tempi attuali. Ma molti "esperti" e "pedagogisti"italiani, rifacendosi al libro di Barbiana, sono tornati a proporre, per evitare la dispersione, non solo una scuola aperta tutto il giorno, ma addirittura l'abolizione dei compiti (e dello studio) a casa. Si legga la legge 107/15 dove al comma 1 ribadisce che la scuola deve essere aperta, partecipativa e garante del successo formativo. Al punto n) del primo comma si fa esplicito riferimento all'opportuna flessibilità degli orari delle lezioni e delle attività:" apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo scolastico o rimodulazione del monte orario rispetto a quanto indicato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89".
 
Per risolvere il problema del "classismo della scuola" si invoca quindi un modello in cui tutto ciò che riguarda istruzione ed educazione (le tante educazioni enumerate e proposte nella 107/15 e dalle varie commissioni di "esperti") venga demandato all'istituzione scolastica garantendo il successo formativo agli allievi e limitando a casi eccezionali la bocciatura e la dispersione. Per fare ciò serve una radicale semplificazione dei programmi che diventano indicazioni per competenze certificate più sul "saper fare" che sul conoscere. Lo stesso dibattito è presente in Francia in cui si è proposta per legge l'abolizione delle bocciature, ma se guardiamo il quadro europeo in quasi tutti i paesi si è scelto di ridurre all'eccezione la selezione scolastica. Se in Italia rimane presente una cultura legata ad un certo "donmilanismo" che scarica sulla scuola e sui docenti problemi sociali che nascono altrove, in altri paesi si fa riferimento, in un'ottica prettamente economicista, ai costi-benefici calcolabili in termini di PIL e di opportunità di inserimento nel mercato del lavoro e di trend auspicabile nel medio periodo.
 
La crisi economica attuale ha aperto nuove prospettive in merito alla società postindustriale con modelli che prospettano una radicale riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario. La famosa società di analisi e consulenza McKinsey calcola che ora il 45% delle attività lavorative siano computerizzabili con le tecnologia disponibili, se i computer diventeranno abili nella comunicazione verbale la percentuale potrebbe salire al 60%. Il modello dell'istruzione legato al fordismo e taylorismo (si veda la riforma Gentile) è stato radicalmente superato. Di fronte alla precarizzazione del lavoro e alla flessibilizzazione delle nuove forme di lavoro la scuola si deve curvare alle nuove esigenze della produzione e del tempo di lavoro-non lavoro. Non si tratta solo di "includere" scolasticamente le fasce della popolazione più sfavorite, nel tratto di Don Milani. Si tratta di offrire alle famiglie in cui non è più possibile stabilire una precisa organizzazione dei tempi di lavoro un luogo apparentemente sicuro dove bambine e bambini siano protetti, seguiti ed educati. E promossi senza che i genitori siano responsabili degli eventuali insuccessi. L'insegnante rischia in tale contesto di veder modificata la sua tradizionale funzione di trasmissione e riflessione della cultura e delle conoscenze. Non a caso le spinte per il superamento forzato degli steccati disciplinari serve a creare docenti flessibili e competenti nelle competenze, competenze che possono essere intercambiabili a seconda del ciclo economico e sociale.
 
La questione dei compiti e dello studio a casa nasce quindi dalla spinta a liberare le famiglie dalle responsabilità e dal tempo dedicabile alla formazione dei figli. Alle famiglie resterebbe come centralità del rapporto con i figli il tempo di non lavoro, del gioco, del consumo. Gli eventuali problemi dei figli possono essere così scaricabili su "altro" (scuola, sanità, società, politica, ecc.) in un processo di tendenziale deresponsabilizzazione che spinge a cercare il nemico e il responsabile degli insuccessi in altri specifici soggetti. Se negli anni '60 e '70 del secolo scorso si analizzavano i rapporti di potere e le responsabilità di "sistema", ora si cercano le responsabilità dei singoli o, facendo di tutta l'erba un mazzo, di intere categorie.
 
E' capitato a molti insegnanti sentirsi accusati come "insegnanti" delle carenze della scuola, della sua "inutilità", del peso stupido dello studio, dell’insuccesso dello studente, ecc.
Bisogna contrastare tale tendenza pericolosa e foriera di un futuro governato da oligarchie con una massa di cittadini privi di diritti, conoscenze, opportunità vere. Anche per questo è necessario contrastare la facile proposta dell'abolizione dei compiti a casa. Lo studio deve avere tempi e spazi individuali, lo studio è anche fatica, pazienza e acquisizione di responsabilità. Si impara non solo in classe, ma anche riflettendo, ripetendo, ricercando da soli o con rapporti limitati peer to peer. Invece di trovare le facili soluzioni, funzionali ad un quadro sociale governato da poteri economici, sarebbe meglio rivedere i programmi (sì parliamo ancora di programmi!) senza operare stupide semplificazioni, ma anche evitando la ricerca dell'inutile enciclopedismo. Si può anche pensare in alcuni contesti particolarmente difficili di aprire la scuola a soluzioni di studio pomeridiano in cui gli allievi siano seguiti solo formalmente o operino in situazioni peer to peer, ma tali spazi non devono diventare "ripetizioni" e riproposizione di ore di lezione. Devono garantire il percorso di studio e conoscenza personale che deve portare al raggiungimento di risultati scolastici che sono il frutto di un lavoro personale e non solo collettivo. Su questo possiamo discutere, fatto stante che la funzione del docente non può essere mai ridotta a quella di operatore di doposcuola o babysitter. Gli oratori li lasciamo a Don Milani.
 
 
 


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Numero 5 - Novembre 2017
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
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