Analisi dettagliata di una situazione sconfortante: chiunque governerà avrà comunque una prospettiva politica sulla scuola e sull’istruzione non di medio-lungo periodo. Prevale ancora in tutte le forze politiche la visione della scuola come servizio aziendale all’utenza e non come Istituzione della Repubblica con il compito di formare i futuri cittadini in termini di diritti e responsabilità.
01 Marzo 2018 | di Fabrizio Reberschegg
Dopo una campagna elettorale imbarazzante fatta di promesse mirabolanti sui temi del fisco, degli aiuti alle famiglie, dell’abolizione di tasse e gabelle, dei redditi di inclusione, cittadinanza, dignità.., delle pensioni, ecc. i problemi della scuola italiana sono, come sempre, rimasti nell’ombra, toccati con superficialità, con l’ottica demagogica del facile consenso basato su luoghi comuni e sull’inseguimento di interessi legati a specifici settori (precariato, problema dei diplomati magistrali, ecc.).
Mentre scriviamo non sappiamo quale coalizione o partito avrà vinto le elezioni, ma è abbastanza probabile che non ci saranno immediatamente le condizioni per garantire nel medio-lungo periodo condizioni stabili di governabilità. In tale contesto appare difficile che siano affrontati i nodi politici che hanno contraddistinto il malessere diffuso nel mondo della scuola e degli insegnanti, soprattutto dopo la valanga di riforme che ogni governo e ogni ministro ha voluto imporre negli ultimi trent’anni con risultati disastrosi. In questo senso le responsabilità dello stato di cose presenti sono da attribuire sia al centro-destra che al centro-sinistra. La legge 107/15 (Buona Scuola) è di fatto la sintesi confusa di proposte fatte nel passato da partiti di centro destra, declinate e applicate da un governo di centro sinistra.
In generale possiamo fotografare le posizioni dei partiti e delle coalizioni che si sono confrontate in campagna elettorale sui temi dell’istruzione partendo da alcuni problemi di fondo: la legge 107/15, il tema della governance (ruolo della dirigenza, organi collegiali, chiamata diretta, ecc.);il precariato e i sistemi di reclutamento; la valorizzazione economica dei docenti; l’opportunità di aumentare gli investimenti pubblici nell’istruzione e formazione; l’edilizia scolastica; il ruolo dell’alternanza scuola-lavoro.
Tutti si sono trovati d’accordo con varie promesse su: aumento degli stanziamenti sull’istruzione pubblica, con il centro-destra che inserisce nella scuola pubblica a pieno titolo la scuola paritaria, aumento degli stipendi dei docenti e del personale della scuola, interventi strutturali per l’edilizia scolastica, abolizione del precariato, generalizzazione della scuola dell’infanzia.
Tutto bene, ma dove si trovano i soldi per fare tutto ciò, soprattutto dopo la ridicola farsa del contratto di lavoro degli insegnanti che ha offerto loro dopo quasi 10 anni di attesa poco più di 40-50 euro netti di aumento? Come si possono trovare i soldi se contemporaneamente si promettono: la flat tax, l’erogazione dei mitici 80 euro mensili a tutti i lavoratori autonomi e alle famiglie con figli, l’abolizione di tasse (casa, auto, università, e chi più ne ha più ne metta..), il reddito di inclusione, cittadinanza, ecc. a tutti i non occupati, l’aumento delle pensioni e la revisione della legge Fornero..? Mistero della fede.
Le divisioni più importanti rimangono sul tema della Buona Scuola renziana e sui temi del precariato. I partiti che si sono espressi per una radicale revisione, se non abolizione totale o parziale, della legge 107 sono stati il Movimento 5 stelle e Liberi e Uguali. Forza Italia è per un aggiustamento di parti della legge (chiamata diretta, ma sempre chiamata diretta è.., alternanza scuola-lavoro), il PD difende la legge ma riconosce la necessità di apportare correttivi su poche cose (forse bonus per il merito, carta del docente e ASL), la Lega è per il cambiamento della legge mettendo al centro una struttura federale degli organici e del reclutamento. Sia il PD che il Centro-destra non hanno alcuna intenzione di rivedere la struttura della governance della scuola-azienda con a capo il dirigente scolastico. Il Movimento 5 stelle è apparso vago sulle proposte inerenti la governance limitandosi a chiedere un generico potenziamento degli organi collegiali, il riconoscimento di figure organizzative intermedie elette dal Collegio dei Docenti e rifacendosi a sistemi come quello finlandese. Fratelli D’Italia si spinge, pur condividendo il programma di centro-destra, a chiedere una progressione di carriera nuova per i docenti.
Sul precariato tutti d’accordo per il suo superamento, ma restano vaghe le ipotesi delle modalità di stabilizzazione. Se il PD difende la legge 107 e la struttura dei FIT , i 5 stelle chiedono l’applicazione, con Liberi e Uguali, del principio automatico della stabilizzazione dopo tre anni di servizio nella scuola statale. La coalizione di centro-destra insiste su nuove modalità di reclutamento a base regionale con la Lega che propone il domicilio professionale dei docenti nella regione di servizio e più incisivi limiti alla mobilità. Sul tema attuale dei diplomati magistrali ( entrati in ruolo o nelle Gae con riserva, i quali , dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha negato la validità del loro titolo di studio per l’accesso nelle graduatorie ad esaurimento e per questo dovrebbero decadere dalle loro posizioni) tutti promettono una soluzione politica per consentire la continuità di lavoro dei docenti interessati. Le modalità (concorso riservato, fascia aggiuntiva gae, ecc.) sono rimandate al nuovo ministro.
In tutti i programmi, a parte delle generiche asserzioni di aumento della spesa pubblica per istruzione e università o di suo riordino (polo di centro-destra), non una parola sul contratto della scuola e i soldi veri che i docenti pretendono dopo anni di sacrifici e di aumenti incredibili dei carichi burocratici e gestionali. Tutti dimenticano che dal 1 gennaio 2019 dovrebbe essere firmato il nuovo contratto di lavoro. Il cuore delle vaghezze e delle omissioni sta nella questione del merito.
Nell’immaginario collettivo della politica (PD, Centro Destra) è passata l’idea che bisogna premiare la meritocrazia e che ci debbano essere sistemi di valutazione delle scuole (e per alcuni anche dei singoli docenti). Tutte le forze politiche, con l’eccezione di Liberi e Uguali e in parte dei 5 stelle, riconoscono essenziale il ruolo dell’Invalsi e la necessità di introdurre o di rinforzare gli elementi di premialità negli stipendi dei docenti. Anche in questo caso su come si possa fare vige una grande confusione (progressioni di carriera, categorie stipendiali diverse “per capacità e competenze”, valutazioni dei dirigenti, di comitati vari, ecc.). Facile demagogia che sfrutta ancora l’antica convinzione dei docenti che lavorano poco e hanno tre mesi di vacanza. Preoccupa il fatto che si possa tornare a proporre aumenti dell’orario di lavoro dei docenti in cambio di aumenti stipendiali senza alcuna riflessione sul ruolo e la funzione dei docenti e il loro effettivo carico di lavoro che non può essere quantificato a livello impiegatizio.
In tale contesto, tralasciando la ridda delle tante altre cose sparate a proposito della scuola in campagna elettorale, resta il fatto che la politica con la P maiuscola è assente. Non c’è una prospettiva politica sulla scuola e sull’istruzione di medio-lungo periodo, prevale ancora la visione della scuola come servizio aziendale all’utenza e non come Istituzione della Repubblica con il compito di formare i futuri cittadini in termini di diritti e responsabilità. Il ruolo dei docenti viene ancora schiacciato nella macchina della burocrazia e delle pedagogie astratte, sottoposto a livello gerarchici aziendalisti o alla filosofia della “centralità dello studente”. La scuola viene presentata come viatico per il mercato del lavoro (ma quale lavoro? e quanto lavoro?) in cui la didattica per competenze, imposta di fatto per legge dalle ultime riforme, determina la decostruzione delle conoscenze e delle discipline alla ricerca di un saper fare e che diventa saper fare per l’impresa e il mercato. L’alternanza scuola lavoro diventa in tale contesto una sorta di totem intoccabile.
Un panorama desolante che non fa sperare bene per il futuro. L’importante per noi è continuare a resistere giorno per giorno nelle nostre classi facendo bene il nostro lavoro e facendo il bene delle nostre allieve e dei nostri allievi. E soprattutto rivendicare una autonomia professionale dei docenti che è riconosciuta dalla nostra Costituzione e che rimane punto di riferimento per immaginare un Paese libero e democratico.
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