Si iscrivono al primo anno di università centinaia di migliaia di studenti vulnerabili per la mancanza di competenze di base: italiano e matematica. Noi possiamo tentare di insegnare loro la scienza politica, la storia, la letteratura o la sociologia ma, in realtà, pestiamo l’acqua nel mortaio se il core knowledge manca.
01 Marzo 2018 | di Fabrizio Tonello
“Nel sistema elettorale maggioritario con maggioranza relativa, i seggi sono assegnati nella totalità al partito che ha ottenuto più voti, anche solo ottenendo, ad esempio, il 51% dei voti rispetto al 49% dell’altro partito” ha scritto uno dei miei studenti della triennale nel compito di scienza politica del 22 gennaio scorso. Uno studente, che come gli altri due milioni circa di suoi coetanei fra i 19 e i 22 anni, sarà presumibilmente andato a votare il 4 marzo. Mi chiedo come si sarà orientato nel maneggiare una scheda che prevedeva, da un lato, il voto per un candidato nel collegio uninominale e, dall’altro, le coalizioni di partiti che sostenevano i vari candidati. Il voto disgiunto non era ammesso, quindi se ha votato per il candidato del PD nell’uninominale e per il M5S nel proporzionale la sua scheda sarà stata annullata.
Prima di chiederci se lo studente abbia espresso un voto valido, o studiato il manuale previsto per il mio esame, potremmo riflettere sull’utilità di un sistema scolastico che si è occupato per ben 13 anni di un bambino, poi un adolescente, ora un giovane adulto, senza riuscire a fargli capire che la maggioranza relativa è un concetto diverso alla maggioranza assoluta e che, per definizione, una maggioranza relativa non può essere del 51% (e nemmeno del 50,0001%). Una maggioranza relativa può essere del 49%, del 39%, o anche del 19%, a condizione che altri candidati abbiano ottenuto percentuali inferiori nella suddivisione dei voti (e questo vale per qualsiasi altro universo oggetto dell’analisi, che si tratti per esempio di quote di mercato nei detersivi, marche di cioccolato o automobili).
C’è stato un momento, negli anni ‘90, in cui il genere letterario basato sugli svarioni degli studenti era molto di moda, da Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta in poi. Non mi è mai sembrato un grande contributo al miglioramento della didattica o al rinnovamento della scuola: se vogliamo riflettere seriamente dobbiamo chiederci cosa rivelano certi errori, dove si potrebbe intervenire.
Altro compito: una studentessa deve spiegare il funzionamento di un sistema elettorale proporzionale e scrive: “Per calcolare i seggi di ciascuna coalizione si stabilisce una soglia minima di voti per aggiudicarsi ognuno e si comincia da chi ha passato il turno con le prime preferenze”. Naturalmente questo non ha nessun senso, la risposta è: “Per calcolare i seggi di ciascuna coalizione si divide il numero di voti validi per il numero di liste in campo, o per il numero di liste che hanno superato una certa percentuale, se esiste una soglia di sbarramento”.
Ma la nostra studentessa, invece di limitarsi a una formulazione confusionaria, fa di più e inserisce una tabella non richiesta, di questo tipo:
Spiegazione della candidata: “A passa al primo scrutinio, B al secondo scrutinio, con i 5 punti in più di A”.
Notare che le 25 “preferenze” di B al secondo “scrutinio” sono 7 e non 5 più di quelle di A (18) e che non viene preso in considerazione il candidato C a cui la tabella assegna ben 40 suffragi.
Conoscendo il manuale su cui hanno studiato, intuisco che gli studenti hanno confuso un normale sistema proporzionale, in cui i seggi di una circoscrizione vengono ripartiti con vari metodi (resti più alti; d’Hondt, ecc.) con un sistema chiamato Alternative Voting e usato in Australia e Irlanda, dove gli elettori debbono mettere in ordine di preferenza i vari candidati di una circoscrizione secondo una loro personale graduatoria. Questo permette di calcolare il sostegno di un candidato nell’intera platea di elettori e non semplicemente tra quelli che gli hanno assegnato il primo voto.
Inutile, qui soffermarsi sui dettagli tecnici che hanno confuso la studentessa: di nuovo, il problema non è la conoscenza della materia d’esame ma la capacità di fare un esempio numerico. Nella tabella (ripeto, non richiesta) la studentessa palesemente mette i numeri a caso: è evidente che il totale delle “prime” e “seconde” preferenze dovrebbe essere uguale, mentre nella prima riga della tabella i voti conteggiati sono 60 e nella seconda 83.
Prendiamo un terzo studente che, alla richiesta di descrivere i vari tipi di sistemi elettorali, risponde: “Possono essere uninominali, proporzionali o misti. Dipende se il numero di voti sono proporzionali o meno ai seggi conquistati da un partito”. Anche in questo caso il problema non sta nella materia d’esame (i sistemi sono “maggioritari”, i collegi o le circoscrizioni sono “uninominali”, cioè eleggono un unico deputato o senatore). Il problema sta nell’incapacità di formulare una frase coerente in italiano: per esempio, lo studente avrebbe potuto scrivere “Sono proporzionali quei sistemi in cui un partito conquista un numero di seggi approssimativamente corrispondente alla percentuale di voti ottenuti”. Quando lo ho incontrato mi ha detto, candidamente: “Era quello che volevo dire”. Certo, ma non l’hai detto.
Queste riflessioni dove portano? A sollevare un tema troppo spesso dimenticato non solo dal MIUR ma anche e soprattutto dai colleghi delle scuole medie e superiori, impegnati ogni giorno nel tentativo quasi impossibile di conquistare e mantenere l’attenzione dei ragazzi. Si iscrivono al primo anno di università centinaia di migliaia di studenti vulnerabili per la mancanza di competenze di base: italiano e matematica. Noi possiamo tentare di insegnare loro la scienza politica, la storia, la letteratura o la sociologia ma, in realtà, pestiamo l’acqua nel mortaio se il core knowledge manca. Abbiamo bisogno urgente di rimettere in moto, a partire dalle medie, dei sistemi di apprendimento che diano dei risultati in queste due aree: pazienza se gli studenti non sanno chi è Garibaldi, lo scopriranno su Wikipedia. Ma se non sanno formulare una frase decente, non capiscono le percentuali o addirittura ignorano le tabelline, li condanniamo a una vita di sconfitte e delusioni, laureati o non laureati che siano.
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