IN QUESTO NUMERO
Numero 2 - Marzo 2018
Numero 2 Marzo 2018

Alla fiera dei titoli

Si parla di merito e di valorizzazione della qualità dell’insegnamento ma la realtà dei fatti è ben diversa: ormai per diventare insegnanti si deve in certo qual modo “acquistare” titoli. Quale autorevolezza e quale prestigio sociale può rivestire un insegnante che di fatto ha comprato i titoli per accedere alla professione?


01 Marzo 2018 | di Vito Carlo Castellana

Alla fiera dei titoli “Alla fiera dei titoli... per due soldi, i 24 CFU mio padre comprò...”, ma potremmo anche dire l’abilitazione o il master, l’ecdl e tutto quanto possa costituire un credito per chi aspira ad essere o è già insegnante. Sono ormai quasi vent’anni che i provvedimenti legislativi vanno in questa direzione e non c’è alcun vero segnale politico che indichi l’ intenzione di una direzione contraria. Anche con la legge 107/2015, che tanto parla di “merito”, sono state emanate nuove regole che rivedono totalmente le forme di reclutamento degli Insegnanti della Scuola Secondaria e che in realtà, sostanzialmente, vanno ad alimentare il mercato fiorente dei titoli. Per chi vuole diventare insegnante è prevista una fase transitoria che porterà a concorsi biennali su base regionale che daranno accesso al percorso FIT (formazione iniziale tirocinio), al termine del quale, dopo aver superato valutazioni intermedie e finali, si avrà finalmente accesso al ruolo. Purtroppo però, rispetto alle vecchie regole, per accedere al concorso non sarà più sufficiente possedere il titolo di studio (laurea, diploma di I e II livello accademico AFAM), ma la legge 107/2015 ha previsto che gli aspiranti docenti dovranno necessariamente essere in possesso anche di 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecniche didattiche. Con grave ritardo e in periodo ferragostano il Miur, dopo due anni, ha finalmente stabilito con precisione le modalità organizzative per conseguire i 24 CFU con D.M. 616 del 10/08/2017, chiarendo che bisognerà essere in possesso di crediti in almeno 3 delle 4 aree, con almeno 6 cfu per area, per un totale di 24. Questo provvedimento è stato approvato nel silenzio totale dei media e con solo qualche timida protesta sui social, l’impressione è quella che ci si sia rassegnati all’idea che per diventare insegnanti si debba in certo qual modo “acquistare” titoli.
Da allora i sindacati e le università sono stati letteralmente presi d’assalto da tutti coloro che sono potenziali partecipanti al concorso. Nel frattempo l’offerta delle università telematiche private ha anticipato i tempi, con pacchetti pronti e ben confezionati per rispondere a questa nuova opportunità economica. Mediamente i corsi offerti da queste realtà hanno costi di €700. Un grande affare non c’è dubbio!
L’università pubblica ha tardato un po’ ad organizzarsi e comunque, in linea con quanto stabilito dalla normativa, ha previsto in genere un semestre aggiuntivo per i laureandi, oppure la possibilità di farsi riconoscere gli esami già effettuati, riconoscimento che non avviene a titolo gratuito, ed eventualmente di acquisire i crediti mancanti attraverso la frequenza a corsi che avranno un costo massimo di €500. Evidente è il mercimonio creato da questo decreto. Sarebbe stato più corretto permettere l’accesso al concorso a tutti quelli che sono in possesso del titolo e poi, una volta superato, far eventualmente conseguire i 24 CFU, anche se poi non si capisce il senso del percorso FIT, che duplica l’acquisizione di competenze in ambito pedagogico, antropologico, didattico e psicologico. Invece si è voluto l’esatto contrario, favorendo così un enorme commercio intorno “all’acquisizione” dei crediti. A dimostrazione di questo, basta visitare qualsiasi sito che parli di scuola per trovare decine e decine di banner pubblicitari che sponsorizzano l’offerta formativa sui 24 CFU delle università telematiche, con promozioni di tutti i tipi e organizzazione di corsi adatti ad ogni esigenza. In realtà quanto avvenuto attorno ai 24 CFU è solo il culmine di una serie di interventi legislativi che, da inizio anni 2000, hanno reso l’accesso all’insegnamento una grande occasione per una miriade di enti di formazione e per pseudo associazioni che promettono “punti”, ma anche il ruolo o l’abilitazione all’insegnamento  per mezzo di ricorsi dal costo di qualche centinaia di euro. Si parla di merito e di valorizzazione della qualità dell’insegnamento solo in linea molto teorica e nei dibattiti politici, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Dalla nascita delle “Graduatorie Permanenti”, poi diventate ad Esaurimento, è iniziata una guerra tra aspiranti docenti basata sull’acquisizione di titoli. La madre di tutti i provvedimenti legislativi è la legge finanziaria del 2003 che di fatto legittima la nascita delle università telematiche e dei corsi a distanza. Da quel giorno è incominciata la raccolta punti, trasformando, per alcuni, la professione di insegnante in un ammortizzatore sociale della disoccupazione intellettuale, quasi un lavoro di ripiego, invece che una scelta consapevole e decisa. L’istruzione dovrebbe essere l’investimento più importante di una nazione e avere prima di tutto sicure e solide regole per il reclutamento di chi ci dovrebbe lavorare. In Italia negli ultimi vent’anni questo non è avvenuto. I canali di reclutamento sono stati molteplici e si è invece fatta passare l’idea della facile accessibilità all’insegnamento, aiutata da un caos normativo, con provvedimenti che spesso si sono contraddetti tra loro e che hanno necessitato di ulteriori circolari esplicative da parte del Miur. Questa confusione a tratti può far sospettare che sia stata voluta. Di fatto, nel tempo, è diminuita l’autorevolezza dei docenti e sono aumentati i luoghi comuni sulla professione, quasi tutto orchestrato per legittimare la bassa retribuzione. Basti pensare a cosa avviene con la possibilità di abilitarsi all’insegnamento presso altre nazioni dell’Unione Europea. Sono nate delle vere e proprie società che, con una decina di migliaia di euro, permettono di abilitarsi in Spagna o in Romania, accedendo così a dei canali preferenziali del reclutamento. È arrivato il momento di dire basta a questo mercato! Quale autorevolezza e quale prestigio sociale può rivestire un insegnante che di fatto ha comprato i titoli per accedere alla professione? Si rischia di avere una futura generazione di docenti costituita solo da chi alle spalle ha famiglie con solide basi economiche, perché diventare insegnanti è costoso e infine mal retribuito. Le organizzazioni sindacali dovranno battersi perché cessi questo mercato. Insegnanti lo si deve diventare per merito, solo così si potrà restituire il giusto prestigio alla nobile professione dei docenti, avendo un’arma in più da giocarsi al momento di chiedere maggiori investimenti e stipendi veramente “europei”.
 
 


Condividi questo articolo:

Numero 2 - Marzo 2018
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Fabio Barina, Roberto Casati, Vito Carlo Castellana, Rosario Cutrupia, Alberto Dainese, Tomaso Montanari, Marco Morini, Adolfo Scotto di Luzio, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan