Il falso mito della concentrazione del tempo scolastico e il rischio che il tempo libero dei nostri ragazzi diventi sempre più vuota inattività, non sano otium.
01 Marzo 2018 | di Fabio Barina
Sempre più negli ultimi anni è andata affermandosi l’idea che accorciare o comprimere il tempo scuola sia operazione utile per tutti i soggetti coinvolti oltre che conveniente sul piano della gestione delle risorse delle scuole.
Dai classici modelli totalizzanti della scuola degli anni ’70 (tempi pieni e tempi prolungati) fino alle “certezze” della Buona scuola (scuole aperte il pomeriggio e d’estate) le giustificazioni addotte per accorciare i giorni delle lezioni settimanali sono state sempre suffragate da “sani principi” di natura didattica e di gestionale-amministrativa.
In realtà la crisi dei modelli orari lunghi del tempo pieno e del tempo prolungato è dovuta a motivi di ordine storico poiché alla fine del secolo scorso sono venute a mancare le condizioni economiche, sociali e culturali che ne hanno originato la formazione negli anni ’70(oggi una scuola di Barbiana non sarebbe in alcun modo pensabile). E negli ultimi tempi si è venuta progressivamente radicando nelle scuole del primo ciclo, ma anche in taluni istituti superiori, la proposta di modelli scolastici che prevedono un’organizzazione oraria che comprime le lezioni in 5 giorni e propone quindi formule con seste e settime ore e sabato libero. Si tratta di un’ideologia di lungo respiro che coinvolge l’ipotesi un percorso liceale di 4 anni, fino a compiersi nel modello universitario del 3 + 2 dove si è radicato il falso mito che si possa conseguire una “laurea” in soli 3 anni. Il tutto partendo dalla convinzione che sia comunque possibile compattare l’attività didattica con utili risultati.
Va ricordato tuttavia che questa proposta è nata spesso dalle richieste delle famiglie che nella scuola primaria ormai hanno imposto il modello scolastico del “week end libero”, inteso come spazio temporale necessario alle famiglie per la condivisione di momenti di vita familiare. Si è avviato così un processo di progressiva elementarizzazione dell’organizzazione scolastica nelle secondarie di I e II grado, in cui risulta prevalente la convinzione che sia necessario un periodo di riposo per i ragazzi dopo le dure fatiche degli impegni scolastici settimanali. Il timore di una perdita di iscrizioni e l’allettante illusione di una semplificazione organizzativa (con il sabato a casa non ci sono più richieste conflittuali nel giorno libero ed anche l’organizzazione del lavoro del personale ATA è più semplice) hanno suggerito poi a molti Istituti scolastici di anticipare la concorrenza e di proporre alle famiglie, prima degli altri, modelli orari in 5 giorni.
La didattica
Ma davvero concentrare il lavoro in 5 giorni lasciando 2 giorni di riposo alla settimana aiuta per una migliore didattica?
Noi crediamo che si tratti di un falso mito, che nasconde pericoli ben più consistenti sul piano didattico oltre su quello dell’organizzazione complessiva degli istituti scolastici.
Di fatto la settimana corta implica l’allungamento dell’orario giornaliero fino ad una 6a o 7 a ora e richiede di conseguenza l’introduzione di un secondo intervallo giornaliero di almeno 10 minuti: che, moltiplicato per 5 giorni, significa almeno 50 minuti di riduzione delle ore di lezione settimanali oltre che ad un aumento delle ore di 55 minuti (da 2 a 4 per ogni giorno di lezione). Quindi una reale diminuzione del tempo di apprendimento.
Lo stesso prolungamento della giornata scolastica sembra poi contraddire il dichiarato obiettivo del benessere scolastico poiché è evidente che mina i tempi di attenzione e la capacità di concentrazione dei ragazzi nell’affrontare nelle ultime ore della giornata discipline o attività particolarmente impegnative.
Un orario su 5 giorni presuppone inoltre la presenza di giornate scolastiche particolarmente gravose sul piano delle discipline, perché la distribuzione delle lezioni su 5 anziché 6 giorni comporta inevitabilmente l’impossibilità di distribuire in modo equilibrato le materie più impegnative, implica la formazione di giornate con troppe ore “pesanti”, nonché l’inevitabile accumulo di stanchezza dei ragazzi nella seconda metà della settimana. E, non ultimo, determina la possibilità che in alcuni momenti topici del quadrimestre possano essere effettuate più verifiche nella stessa giornata.
Uno degli aspetti più preoccupanti riguarda poi il problema dei compiti domestici: al di là delle nuove teorie che ipotizzano una scuola “senza compiti”, sta di fatto che l’esercizio domestico di riordino, rielaborazione, esercitazione e consolidamento di quanto svolto in classe appare sempre più importante nel progredire del percorso scolastico di uno studente. Ma un’organizzazione oraria con la settimana corta implica inevitabilmente una riduzione del tempo e delle risorse personali disponibili a casa, dove si arriva più tardi e più stanchi, bisogna svolgere i compiti per le 6 o 7 ore del giorno successivo, si ha meno tempo disponibile per seguire altre attività extrascolastiche (si pensi ai tanti ragazzi che praticano sport) o da dedicare al riposo e agli interessi personali. Ne consegue che per gli alunni meno impegnati aumenta inevitabilmente il fenomeno dei compiti non svolti, mentre per i ragazzi più diligenti si moltiplicano le proteste dei genitori per l’eccessiva mole di lavoro assegnato. Per non parlare delle difficoltà incontrate dagli alunni con BES, dagli stranieri in fase di prima alfabetizzazione, dagli studenti con certificazione (per i quali le famiglie più attente vanno nella direzione della richiesta di un’ulteriore riduzione della frequenza scolastica).
Per di più negli istituti ad indirizzo musicale che presuppongo comunque il rientro pomeridiano per le lezioni di strumento e negli Istituti superiori che prevedono un orario più lungo, la dilatazione dell’orario antimeridiano grava ulteriormente sia sulle energie dei ragazzi, sia sui tempi di per sé ristretti da dedicare allo studio domestico.
Da non dimenticare infine altri fattori non secondari: l’aumento del peso degli zaini, la moltiplicazione del peso specifico delle assenze (che da 5 ore gravano in questo caso su 6 o 7 ore), la crescita della mole di compiti assegnati per il week end, la possibilità da parte di qualche famiglia di approfittare di ponti nel caso di festività nelle giornate infrasettimanali, la difficoltà di sostituire eventuali assenze dei docenti che inevitabilmente avranno un numero maggiore di ore di servizio giornaliero.
In conclusione
Si può ragionevolmente affermare che l’orario giornaliero lungo comporti uno scadimento del benessere scolastico degli alunni, uno svilimento delle attività didattiche ed una complicazione della gestione organizzativa dell’intera scuola.
Il modello della settimana corta impostato su criteri estranei al mondo della scuola e tutti tesi a istanze di svago familiare (chi può viaggia o va a sciare, chi non può permetterselo semplicemente va agli ipermercati o se ne sta a casa) non ha alcuna valenza didattica.
Il rischio concreto però è che la logica concorrenziale dell’autonomia scolastica spinga molti Dirigenti e Collegi a proporre ad oltranza questo modello di scuola per non perdere fette di utenti o per accaparrarsi nuove iscrizioni.
E, non ultimo
E’ inevitabile che gli studenti, affaticati da giornate con 6 o 7 ore di lezione, giungeranno alla convinzione che la scuola, l’impegno e l’apprendimento siano sinonimi di fatica e stress mentre il tempo libero è piacevole perché sempre più affrancato da qualsiasi impegno. E il rischio è che il tempo libero dei nostri ragazzi diventi sempre più vuota inattività, non sano otium.
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