l tempo si sono adottate, scuola per scuola, griglie di dipartimento e d’istituto, che vengono ogni anno limate in estenuanti riunioni dalle quali si esce rintronati. Verrà presto il momento in cui tutti dovremo allegare una bella griglia per ogni voto che assegniamo, anche orale. Sarà un brutto giorno per la libertà d’insegnamento e la nostra preziosa autonomia professionale
17 Febbraio 2020 | di Alberto Dainese
Non tutte le griglie sono malfatte e non sempre l’uso ne è deprecabile. Vorrei però portare all’attenzione di chi legge un paio d’osservazioni per ridimensionare l’idolatria che se n’è fatta in questi ultimi vent’anni, dimentichi che sono soltanto uno dei mezzi a disposizione, non l’unico, e che possono avere effetti paradossi.
Allorché le introdussero, agli esami di maturità del “nuovo” sistema in base cento, io ero studente. Ricordo lo scetticismo dei professori: “Ci vogliono tutti col bilancìno in mano”. Peccavano di sottovalutazione: quello era l’abbrivo d’un poderoso “ammodernamento” della scuola e il principio del declino di cui siamo tuttora attoniti testimoni. Qualche anno dopo, in uno degl’incontri cui presenziavo come docente formando, assistetti all’intervento d’una supervisore di tirocinio che con aria invasata disse: “Vorrei parlare ora delle griglie, di quanto siano fondamentali. Davvero, vorrei che questi giovani insegnanti fin d’ora fossero consci della loro importanza”. Quando articolò il termine “griglie”, arrotò la R e fece gorgogliare GLIE con enfasi divinatoria. Sì, eravamo entrati nell’era della tecnica e le griglie erano già un feticcio.
Nel tempo si sono adottate, scuola per scuola, griglie di dipartimento e d’istituto, che vengono ogni anno limate in estenuanti riunioni dalle quali si esce rintronati. Di recente si sono aggiunte quelle per DSA e BES, e per il voto di condotta. Verrà presto il momento in cui tutti dovremo allegare una bella griglia per ogni voto che assegniamo, anche orale. Sarà un brutto giorno per la libertà d’insegnamento e la nostra preziosa autonomia professionale. Per ora qualcuno ce la fa a sottrarsi all’obbligo di griglia, ma è più che altro per le inefficienze del sistema: se un docente può ancora riconsegnare un tema apponendovi un voto numerico con un breve commento a corollario, anziché allegare la famigerata griglia, è solo perché non ci sono state proteste o ricorsi, altrimenti un richiamo all’obbligo di griglia non avrebbe tardato.
Studenti e famiglie credono che le griglie li mettano al riparo dagli arbìtri. E dirigenti, formatori, ministero s’appellano ai princìpi di accountability e scientificità. Ci s’illude che una griglia tuteli da correzioni raffazzonate, dalla prepotenza professorale, dalle disparità tra i severi e i lassisti, dalle idiosincrasie. La fede nella presunta oggettività delle griglie è però molto ingenua. Si dovrebbe invece aver sempre la consapevolezza che qualsiasi strumento è imperfetto, per non parlare di chi lo applica.
C’è poi da dire che la griglia mal s’adatta a certe materie o tipologie di prove. Penso alla matematica o a una traduzione dal latino. In molti casi griglie applicate a sproposito generano mostri. Una collega usava ogni tanto la tecnica del dettato, ma era talmente succuba dell’obbligo di griglia che prima calcolava a suo modo il punteggio, e poi compilava diligentemente una griglia per la produzione scritta che nulla c’entrava col dettato e poco diceva della correttezza ortografico-interpuntiva, unico obiettivo d’un dettato, così che “i genitori non avessero da ridire”.
Le griglie, infatti, sono spesso vissute come un male necessario a salvaguardare dalle contestazioni, e pur di usarle le si applica sovente alla rovescia: si formula un voto o un punteggio e poi si distribuiscono le crocette fino a far quadrare i conti. Questo modus operandi la dice lunga sul fatto che un docente, in quanto professionista, si fa un’idea piuttosto precisa del voto che deve dare. Il numero gli si forma via via in mente, un po’ come il “convincimento” del giudice o la diagnosi del medico. Certo, poi deve saper suffragare la scelta. In ogni caso, non sarà una griglia ad aiutarlo, tant’è che spesso deve ingaggiare con essa un braccio di ferro finché non salta fuori il voto “giusto”; tante volte non ci riesce neppure e vorrebbe poter scancellare le caselline o mettere una crocetta a cavalcioni di due celle.
Se poi proprio le vogliamo usare, le griglie, almeno che siano sensate. In molti casi ho avuto netta la sensazione che servissero a far lievitare i voti, o a penalizzare le conoscenze, o a confondere obiettivi e prerequisiti. Qualche esempio.
Disincentivare i voti bassi. Se il punteggio minimo per ciascun indicatore non è 0 ma 1, basta che ci siano quattro indicatori e, voilà, il voto minimo che posso estrapolare sarà 4 e non più 1 come da normativa vigente. Ancóra. Una griglia per la condotta in una scuola prevede quattro criteri: comportamento, interesse, frequenza, impegno. A ognuno s’assegna un punteggio da 1 a 10 e poi si calcola la media. Poniamo che un ragazzo abbia buoni gli ultimi tre. Con una griglia siffatta, potrebbe anche freddare il professore con un colpo di pistola e avere il suo decoroso 7 in condotta. Proviamo. Comportamento: 1; interesse: 9; frequenza: 10; impegno: 8. (1+9+10+8):4=7. L’esempio s’ispira a un caso reale, in cui però lo studente era reo d’una malafatta minore.
Mortificare le conoscenze. Poniamo che in una griglia per le interrogazioni di letteratura inglese gl’indicatori siano: contenuti, pronuncia, correttezza, scorrevolezza; attribuiamo al massimo 4 punti ai contenuti e 2 punti a ciascuno degli altri tre criteri; ebbene, se l’ipotetico studente, in un impeccabile inglese oxoniense, mi chiarisce in interrogazione che della letteratura non gl’importa un fico perché le lingue servono a comunicare – foss’anche solo che si ha bisogno del gabinetto – sarei obbligato a scucire un 6, stante la griglia.
Confusione tra obiettivi e prerequisiti. Una mia professoressa d’italiano considerava l’ortografia un prerequisito. Se qualcuno faceva un errore, il voto non poteva in nessun caso esser sufficiente. Oggi le griglie assegnano all’ortografia un ruolo minimale eppure la quantità d’errori e malapropismi che ci circonda è agghiacciante: “interdisciplinarietà”, “chiacchere”, “celebrale”, “accellerare”, “sono afferrato in storia”, “non spiaccicò parola”... Ecco che se sono uno studente creativo ma cialtrone prenderò 8 nei temi pur con molti errori, in quanto la griglia assegna massimo 2 punti all’ortografia e non c’è modo di “forzare” le cose a fini educativi come faceva quella professoressa. Analoghe considerazioni si potrebbero fare per gli errori di calcolo in matematica. Se ne conclude che l’uso delle griglie può persino aggravare il vizio dell’imprecisione formale, oggi così comune.
Dagli esempi s’evince come il difetto principale delle griglie sia la rigidità. Alla base della pressione in loro favore c’è invece la sostanziale sfiducia nella buona fede del docente e nel suo autonomo esercizio di scelte discrezionali in piena (ma responsabile) insindacabilità. Un docente sa, in scienza e coscienza, che voto dare a quella specifica prova e a quel determinato studente, e dovrebbe esser libero di darlo, col solo onere di circostanziarne – se richiesto – le ragioni.
Nell’era pre-griglie si lasciava ai docenti un’amplissima, forse eccessiva, libertà di scelta anche nell’assegnazione dei voti e nei criteri di correzione. Nessuno s’azzardava a imporre metodi che il docente poteva sentir poco attagliati al suo stile, ai suoi studenti, alle sue finalità. Penso a una mia professoressa che nei temi non si spingeva oltre il 7, vetta d’inarrivabile perizia; penso a quel professore di filosofia che andava a chiedere le noticine a piè di pagina che nessuno ricordava, allo scopo di “educare all’umiltà”; penso alle versioni corrette secondo una logica sottrattiva e che oggi invece lo sono sulla base di griglie che rasentano il ridicolo, giacché valutano cose come “registro e stile” della traduzione, come se questa non fosse un esercizio per verificare di fatto la comprensione ma un pezzo da dare alle stampe; penso a una collega di chimica che disegnava la gaussiana coi punteggi per poi calcolare i voti; penso a una collega di matematica che usava “la fisarmonica”, dando 5 e 6 alla più parte della classe e gli altri voti solo per punteggi bassissimi o altissimi. Scelte...
Tale varietà di metodiche l’ho sempre vissuta come una risorsa, mentre oggi la si censurerebbe come abuso o capriccio di fronte all’adamantina inattaccabilità delle “infallibili” griglie. Com’è sotto gli occhi di tutti, non ci abbiamo guadagnato in prestigio ma solo in ricattabilità.
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