Antonello Giannelli (a cura di), Rivoluzionare la scuola con gentilezza. Idee e proposte didattiche per vincere una delle maggiori sfide del XXI secolo. Guerini e associati.
17 Febbraio 2020 | di Fabrizio Reberschegg
Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, sta curando la pubblicazione di una collana intitolata “Insegnanti consapevoli”di cui fa parte il libro intitolato “Rivoluzionare la scuola con gentilezza”. Il testo raccoglie interventi di alcuni studiosi che presentano proposte e riflessioni sullo stato attuale della scuola italiana per rivoluzionarla con l’obiettivo di “trasformare e ampliare il concetto di competenza, aprirlo a quello della complessità e avvicinare entrambi ai banchi di scuola”. Dei 15 interventi, solo tre sono di docenti che presentano stimolanti esempi di buone pratiche sulle quali si può aprire un dibattito costruttivo. Per il resto, non se ne dolgano le autrici e gli autori, siamo nel regno dell’astratto e delle possibilità svincolate dalla realtà della dimensione organizzativa e teorica che delimita il campo dell’istruzione italiana. Poco valgono i rimandi ad altri modelli organizzativi (vedi Finlandia e Danimarca) senza contestualizzarli adeguatamente a livello di governance dei sistemi educativi.
L’obiettivo del libro sembra essere quello di smantellare il sistema del sapere disciplinare per arrivare a una didattica “Oltre le discipline” – vedi il progetto INDIRE con la stessa denominazione- fondata sulle competenze interdisciplinari e transdisciplinari. Per far questo ci si avvale di un ampio strumentario mutuato da studi pedagogici anglosassoni e di una terminologia anglofila inserita in definizioni complesse per spiegare l’innovazione nel microcosmo (singola scuola), nel mesocosmo (reti di scuole, insieme di plessi e istituti che compongono l’istituzione scolastica) e nel macrocosmo (livello nazionale). Il rimando continuo a classificazioni e snodi teorici anglosassoni allontana dalla pratica concreta dell’insegnamento. Si immagina una scuola senza discipline e senza valutazione, che rischia la frammentazione dei saperi essenziali, si avvia verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio e si apre completamente al mercato e alle scelte ultime che esso impone. E’ il passo estremo che va dalle conoscenze alle competenze in nome di un’innovazione che è già vecchia quando viene introdotta.
In tale processo di trasformazione il docente non dovrebbe più essere un laureato accademicamente preparato nelle sue discipline e poi formato per l’insegnamento, bensì un facilitatore con la funzione di stimolare la capacità critica dei ragazzi, come se la capacità critica fosse innata in loro e non fosse anche frutto dell’ambiente e dello spazio comunicativo in cui si collocano.
Tra i saggi più illuminanti in merito alle proposte per l’innovazione e il superamento delle discipline vi è quello di Lucia Cianfraglia dirigente scolastica dell’A.N.P., vicepresidente della Confederazione Italiana dei Dirigenti d’Azienda e membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale della salute e del benessere degli insegnanti. Per l’esponente dell’A.N.P. è necessario intervenire sul capitale umano perché i risultati delle indagini nazionali e internazionali raccontano di un sistema educativo che lascia indietro percentuali troppo alte di giovani che non raggiungono livelli accettabili neppure nelle competenze di base, senza contare il mismatch tra scuola e mercato del lavoro. Tra le troppe resistenze del sistema e dei docenti per fortuna esisterebbe la spinta dei dirigenti innovatori coadiuvati da “docenti innovatori irriducibili”.“Un progetto di trasformazione ambizioso – scrive Cianfriglia – da affidare alla guida dei dirigenti della scuola, garanti dell’offerta formativa, fornendo loro adeguate leve di gestione del personale, fulcro chiave di un possibile miglioramento”. Per fare questo il reclutamento deve “essere liberato dalla gabbia paralizzante delle graduatorie del criterio di anzianità, che non consentono l’assegnazione del personale alla scuola e alle classi secondo criteri di competenza e merito” Per la formazione propone un “imponente piano di formazione degli insegnanti in servizio, che si discosti con decisione da quanto fatto fino ad ora”. Infine prefigura un sistema di abilitazione all’insegnamento fatto da percorsi di laurea destinati in modo esclusivo alla docenza nella scuola, mettendo in discussione l’intero modello di formazione culturale di tipo accademico.
Traducendo: i dirigenti scolastici dovrebbero imporre “gentilmente” i nuovi metodi d’insegnamento anche con corsi di formazione obbligatori sui temi da loro decisi, assumere i docenti con “chiamata diretta” senza il rispetto delle graduatorie, premiare il loro staff organizzativo e i “docenti innovatori” portatori del vangelo della rivoluzione nella scuola. Ne conseguirebbe che i docenti potrebbero essere laureati di serie B senza e la laurea magistrale di indirizzo perché, tutto sommato, non sarebbero chiamati a conoscere bene le loro materie, ma ad essere meri facilitatori dell’apprendimento.
Alcuni assunti ricordano da vicino la filosofia della legge 107/15 (Buona Scuola), in parte scritta su spinta della lobby dei dirigenti.
Si tratta di posizioni preconcette e sbagliate, perché imputano a una presunta immobilità della cultura dei docenti l’inadeguatezza della scuola italiana senza considerare che la crisi dei sistemi educativi è globale e certo non svettano nel panorama mondiale le tanto menzionate esperienze anglosassoni. Si dimentica che il progressivo peggioramento delle performance della scuola italiana è frutto di riforme sbagliate, basate su un acritico inseguimento delle teorie delle competenze trasversali e su un’ innovazione astratta, senza contare che da quando è stata istituita la dirigenza scolastica è oggettivamente peggiorato il clima lavorativo nelle scuole, diventate queste, per molti dirigenti, semplici aziende da gestire e valorizzare in termini quantitativi (numero di iscritti, di promossi, di risultati INVALSI, ecc.).
Non ci interessa questa rivoluzione top down dove gli attori principali sono spesso frutto di concorsi e graduatorie discutibili (si ricordi la sanatoria dei concorsi dei dirigenti scolastici presente nelle 107/15). Ci interessa invece aprire una laica discussione su come migliorare i metodi d’ insegnamento, anche superando parzialmente gli steccati antiquati delle discipline novecentesche, partendo dagli insegnanti e dalle buone pratiche che essi esprimono giorno per giorno nelle classi. Dagli anni sessanta del secolo scorso tanti docenti hanno lavorato sui temi dell’interdisciplinarietà senza avere gli strumenti necessari per porli in essere poiché servono risorse aggiuntive e un vero riconoscimento stipendiale enti. Empatia, confronto, cooperazione sono le basi necessarie di una vera riforma gentile nella scuola. Lasciamo pure le rivoluzioni a quei dirigenti che confondono l’autorevolezza con l’autoritarismo e credono di essere i padroni della scuola statale senza aprirsi a un confronto costruttivo con chi insegna ed è alla base dell’istruzione pubblica. Giannelli dice di rifarsi all’economista comportamentista americano Thaler e alla teoria dei nudge (pungoli), sedicenti sostegni positivi e suggerimenti o aiuti indiretti che possono influenzare i motivi e gli incentivi nel processo di decisione di gruppi e individui, almeno con la stessa efficacia di istruzioni dirette. Una sorta di induzione comportamentale senza elementi sanzionatori. Non sembra che molti dirigenti scolastici la stiano praticando.
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