India: attacco ad una Università libera, aperta e plurale
17 Febbraio 2020 | di Marco Morini
La sera del 5 gennaio scorso un gruppo di persone mascherate e armate di bastoni, catene e pietre ha fatto irruzione nel campus della Jawaharlal Nehru University (JNU) di Nuova Delhi (India) ferendo 50 persone tra professori e studenti, di cui 8 in modo grave. A oggi i responsabili non sono ancora stati identificati.
Gli assalitori hanno dapprima aggredito un gruppo di studenti riuniti in assemblea poi hanno devastato decine di alloggi, ferendo altre persone durante il raid, durato circa un’ora e mezzo. L’attacco ha destato molto scalpore nel mondo accademico e scolastico indiano e gli studenti di molte altre università hanno subito manifestato la loro solidarietà per il terribile e vile assalto: nutriti cortei sono stati organizzati a Hyderabad, Mumbai, Kolkata e Bangalore.
Inizialmente si è pensato che le ragioni dell’aggressione fossero legate agli scioperi organizzati da gruppi di studenti della JNU per protestare contro l'aumento delle tasse di iscrizione e della retta per l'alloggio decisa dal consiglio direttivo interno. Questo perché l’obiettivo primario degli assalitori è sembrato essere proprio l’assemblea di un’organizzazione studentesca tra le più attive negli scioperi.
Ma un’analisi più accurata dei fatti e le numerose testimonianze raccolte da inquirenti e giornalisti, mostra una realtà diversa e, se possibile, ancora più allarmante. Mentre distruggevano il campus e picchiavano gli studenti e i docenti che capitavano a tiro, gli assalitori pronunciavano slogan nazionalisti e induisti. E, secondo numerose vittime e altrettanti testimoni, molti di loro appartenevano a un’organizzazione studentesca nazionalista indù, la Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un gruppo che da anni aspira a trasformare l’India in una nazione monoetnica e che è molto vicina al Bharatiya Janata Party, il partito di maggioranza guidato dal premier Modi. Sebbene la RSS abbia negato di essere coinvolta nell’attacco, è emerso che gli assalitori abbiano preso di mira soprattutto studenti che si erano dichiarati contrari all’agenda nazionalista di Modi.
È stato quindi un attacco politico, di matrice nazionalista-induista, mirato non soltanto contro gruppi di studenti oppositori ma anche contro la JNU stessa in quanto università libera, aperta e plurale. Nelle due settimane prima dell’attacco, infatti, alle proteste contro l’incremento delle rette universitarie, si era sommata anche una mobilitazione di massa contro la nuova e controversa legge sulla cittadinanza che facilita la regolarizzazione degli immigrati non musulmani provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, penalizzando invece gli stranieri musulmani. Si era trattato di una vera e propria protesta anti-governativa. Gli oltre cinque anni di governo Modi sono stati infatti finora caratterizzati da un crescente fervore nazionalista e da politiche anti-musulmane e sin dall’inizio vi è stato il tentativo di mettere sotto controllo le università più liberali, ritenute crogioli di oppositori e di critica al regime.
Il governo ha ovviamente subito condannato le violenze, ma non sono mancati i distinguo. Il New York Times ha riportato tweet (poi rimossi) e dichiarazioni di membri del governo quali: “per troppo tempo questi sinistroidi (leftists) sono stati trattati coi guanti bianchi” oppure “la JNU rappresenta tutto quello che non funziona nel Paese”. Le università sono quindi diventate un bersaglio dei nazionalisti indù, perché considerate come uno degli ultimi ambienti favorevoli a un’India plurale e come un ostacolo all’agenda nazionalista attualmente maggioritaria nel Paese.
Appena pochi giorni prima dell’assalto alla JNU, vi erano state manifestazioni radicali induiste in varie città del Paese. In una di queste, Pinky Chaudhary, leader dello Hindu Raksha Dal, un altro gruppo estremista indù, aveva esplicitamente invocato violenza contro gli studenti non allineati, dichiarando che gli iscritti alla JNU “sono tutti comunisti che meritano una lezione”. Tra gli slogan cantati durante la mobilitazione nazionalista vi era stato: “la tomba della JNU sarà scavata nel sacro suolo dell’Hindustan” (dove Hindustan è il nome preferito usato dai nazionalisti per indicare l’India stessa).
Questi gruppi radicali sono ovviamente ufficialmente distanti dal governo e dalle istituzioni, ma oltre a sostenere politiche simili utilizzando una comunicazione identitaria e aggressiva, sembrano anche godere di una sostanziale impunità. Le indagini di polizia sull’assalto alla JNU sono ferme. Alcuni studenti hanno riferito come la notte dell’aggressione le guardie di sicurezza del campus non siano intervenute. E i social e la televisione pubblica sembrano via via essere sempre più dominati dalla retorica nazionalista.
Appaiono quindi fondati i pesanti giudizi che Pratap Bhanu Mehta, intellettuale anti-nazionalista di riferimento, ha vergato in un editoriale pubblicato sull’Indian Express: “il governo Modi sta legittimando l’uso della violenza contro tutti coloro che intralciano il progetto nazionalista: che siano minoranze etniche e religiose, oppositori politici o semplici manifestanti. È ormai evidente come lo stato non faccia sconti a chi non accetta questo disegno ideologico autoritario”.
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