Come calpestare gli articoli 3 e 34 della costituzione che garantiscono il principio di ugua-glianza tra i cittadini senza alcuna distinzione di censo.
17 Febbraio 2020 | di Ester Trevisan
C’era una volta la scuola ascensore sociale. Ormai distanti i tempi in cui in Italia frequentare i banchi scolastici poteva dare anche ai ragazzi meno abbienti la possibilità di accedere ai gradini più alti della società, oggi assistiamo da Nord a Sud a vergognosi rigurgiti di bieco classismo da parte di presidi e famiglie. L’ultimo episodio balzato ai disonori della cronaca vede protagonista l’istituto comprensivo “Leopardi” di Sant’Antimo, in provincia di Napoli, dove, secondo “la soffiata” arrivata al Miur da un collaboratore interno all’istituto, le famiglie avrebbero chiesto con forza classi differenziate rispetto al censo e il dirigente scolastico si sarebbe fermamente opposto in nome di una didattica inclusiva. La notizia, rimbalzata sulle testate locali e nazionali e denunciata per prima dal sottosegretario all’Istruzione Peppe De Cristofaro, è stata poi smentita seccamente dalla scuola “incriminata” con un post pubblicato sulla pagina Facebook. Era stato lo stesso De Cristofaro ad aprire una linea verde sul tema delle discriminazioni di censo all’interno delle scuole dopo la vicenda dell’istituto comprensivo “Trionfale” di Roma che nel suo sito internet si presentava con queste parole alla platea dei potenziali iscritti: “L’ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell’utenza che appartiene a fasce socio-culturali assai diversificate. La sede di via Trionfale e il plesso di via Taverna accolgono, infatti, alunni appartenenti a famiglie di ceto medio-alto, mentre il plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana; il plesso di via Vallombrosa, sulla via Cortina d’Ampezzo, accoglie, invece, prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti e simili)”.
Una improvvida carta di identità, quella dell’Ic “Trionfale”, aspramente criticata dalla Gilda degli Insegnanti che ha ricordato come gli articoli 3 e 34 della Costituzione garantiscano il principio di uguaglianza tra i cittadini senza alcuna distinzione di censo e il libero accesso alla scuola da parte di tutta la popolazione. “Si tratta di principi alla base della nostra organizzazione sociale e civile - ha sottolineato il coordinatore nazionale, Rino Di Meglio - che chi ha la responsabilità di dirigere un istituto scolastico ha il dovere di conoscere e applicare. La scuola pubblica statale deve essere luogo dove vengono trasmessi i valori costituzionali, incluso quello dell’eguaglianza dei cittadini”.
Le polemiche sollevate da più parti hanno così indotto i vertici della scuola a rimuovere quel testo dal sito internet.
Altro caso di rapporti di autovalutazione classista è quello del “Visconti” di Roma che usa queste parole per auto descriversi: “Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio - alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo. Tranne un paio, tutti gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile”.
Di tono analogo l’autovalutazione fornita dal liceo D'Oria di Genova, prestigioso e tradizionale classico: “Il contesto socio - economico e culturale complessivamente di medio - alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all’analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata”.
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