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Numero 4 - Settembre 2020
Numero 4 Settembre 2020

Cronaca di un blitz

Il pericolo che si paventa è che la crisi innescata dalla pandemia diventi il grimaldello per scardinare l’attuale sistema di istruzione e realizzare un nuovo modello di scuola attraverso quelle innovazioni di sistema, di governance e della didattica di cui negli ambienti ministeriali si tessono le lodi ormai da anni.


26 Agosto 2020 | di Ester Trevisan

 Cronaca di un blitz Ogni crisi, individuale o collettiva che sia, racchiude in sé il germe di un cambiamento potenzialmente in grado di modificare in meglio o in peggio le condizioni date. Un assunto al quale non sfugge la scuola italiana sulla quale l’emergenza Coronavirus si è abbattuta con la furia di uno tsunami, costringendo a casa milioni di studenti che dal mese di marzo fino alla fine dell’anno scolastico si sono dovuti accontentare di quel surrogato d’emergenza ormai noto a tutti come DaD, ennesimo acronimo della nomenclatura scolastica che sta per Didattica a Distanza. A diffondere al mondo della scuola il verbo della teledidattica, ci ha pensato una nota ministeriale del 17 marzo firmata da Marco Bruschi, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, contenente le “prime indicazioni operative per le attività di didattica a distanza”. Un modus operandi dai tratti autoritari, aspramente criticato dalla Gilda che ha chiesto il ritiro del provvedimento, sottolineando che “l’emergenza Covid-19 non azzera il contratto collettivo nazionale di lavoro, né i rapporti sindacali, né la sana dialettica che rappresenta un cardine della vita democratica del nostro Paese”.
 
Superata la fase iniziale più critica, in cui allo sgomento e allo spaesamento per la chiusura delle scuole si è aggiunta la consapevolezza che bisognasse quantomeno mantenere un contatto con gli alunni per evitare che si sentissero abbandonati nel bel mezzo dell’anno scolastico, è poi arrivato il momento delle task force: quella sanitaria, ovvero il Comitato tecnico scientifico, e quella del ministero dell’Istruzione, composta da esperti chiamati a redigere un documento di indirizzo per la ripresa dell’attività didattica in presenza a settembre. Il comitato nominato dalla ministra Lucia Azzolina, coordinato da Patrizio Bianchi, professore ordinario di Economia e Politica industriale presso l’Università di Ferrara, e composto da 18 membri fra cui accademici universitari, dirigenti scolastici e funzionari del Ministero e soltanto una docente, si è insediato il 23 aprile con l’obiettivo (apparentemente) prioritario di lavorare alla ripartenza della scuola post-emergenza, e anche (ma forse sarebbe più corretto scrivere “soprattutto”) di fornire le coordinate per ridisegnare il volto del sistema dell’istruzione. Tra le questioni sulle quali viale Trastevere ha chiesto alla task force di formulare proposte, figurano, infatti, “l’innovazione digitale, con lo scopo di rafforzare contenuti e modalità di utilizzo delle nuove metodologie di didattica a distanza”, e “la formazione iniziale e il reclutamento del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado, con riferimento alla previsione di nuovi modelli di formazione e selezione”. Due punti molto delicati, sui quali prontamente è intervenuto il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, Rino Di Meglio, che pur accogliendo positivamente l’innovazione digitale, se ciò significa migliorare la qualità degli strumenti didattici a disposizione delle scuole, ha messo però in guardia dal rischio di trasformare la teledidattica da risposta temporanea all’emergenza in elemento strutturale. Una prospettiva che la Gilda ha respinto seccamente al mittente, “perché l’istituzione scuola e la sua funzione, sancite dalla Costituzione, - ha asserito Di Meglio - si esplicano nella relazione in presenza tra insegnante e discente. Un freno altrettanto deciso è da porre anche a un possibile intervento sullo status giuridico degli insegnanti, le cui eventuali proposte di cambiamento richiedono un coinvolgimento di soggetti ben più ampio di quello costituito dalla task force ministeriale”.
 
Dopo due mesi, il 26 giugno, la ministra Azzolina ha firmato il decreto con cui viene adottato il Piano per la scuola 2020/2021, un documento di18 pagine (oltre gli allegati, ndr) che individua nell’Autonomia scolastica uno “strumento privilegiato per elaborare una strategia di riavvio dell’anno scolastico che risponda quanto più possibile alle esigenze dei territori di riferimento nel rispetto delle indicazioni sanitarie”.
 
Da qui, dunque, l’invito rivolto alle istituzioni scolastiche ad “avvalersi delle ulteriori forme di flessibilità derivanti dallo strumento dell’Autonomia, sulla base degli spazi a disposizione e delle esigenze delle famiglie e del territorio, che contemplino, ad esempio: una riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento; l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici; per le scuole secondarie di II grado, una fruizione per gli studenti, opportunamente pianificata, di attività didattica in presenza e, in via complementare, didattica digitale integrata, ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano; l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari, ove non già previsto dalle recenti innovazioni ordinamentali;  una diversa modulazione settimanale del tempo scuola, su delibera degli Organi collegiali competenti”. Si tratta di indicazioni che mirano a destrutturare luoghi e tempi della vita scolastica e che insistono ancora una volta, pur se in funzione supplementare, sulla didattica a distanza qui denominata didattica digitale integrata.
 
E sulla DaDsi torna a far leva anche nel paragrafo dedicato alla formazione, laddove si legge che le attività per la formazione del personale docente ed educativo, per l’anno scolastico 2020-2021, potranno riguardare, tra l’altro, “metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento” e “modalità e strumenti per la valutazione, anche alla luce di metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento realizzate, ad esempio, attraverso le tecnologie multimediali”. Un passaggio che merita molta attenzione in quanto profila un intervento sulle metodologie didattiche la cui scelta spetta al docente perché rientra nell’ambito della libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione.
 
Per reperire nuovi spazi e strutture e arricchire l’offerta educativa, il Piano Scuola 2020/2021 incoraggia, inoltre, “il coinvolgimento dei vari soggetti pubblici e degli attori privati, in una logica di massima adesione al principio di sussidiarietà”. Un appello alla collaborazione che suona, in realtà, come un’ammissione di incapacità da parte dell’Amministrazione di esercitare pienamente le proprie funzioni, demandando pericolosamente ai soggetti privati e agli enti del terzo settore quei compiti ai quali non riesce ad assolvere.
 
Il pericolo che si paventa è che la crisi innescata dalla pandemia diventi il grimaldello per scardinare l’attuale sistema di istruzione e realizzare un nuovo modello di scuola attraverso quelle innovazioni di sistema, di governance e della didattica di cui negli ambienti ministeriali si tessono le lodi ormai da anni. Un cambiamento che, alla luce delle misure adottate fin qui, pare purtroppo profilarsi verso il peggio.
 
 
 


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Numero 4 - Settembre 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Michele Anelina, Stefano Battilana, Piero Capello, Roberto Casati, Alberto Dainese, Gilda Sardegna, Giulio Ferroni, Maria Alessandra Magali, Elvio Mori, Marco Morini, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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