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Numero 4 - Settembre 2020
Numero 4 Settembre 2020

La rappresentanza, forma necessaria della democrazia

“La democrazia può quindi esistere soltanto se gli individui si raggruppano secondo le loro affinità politiche, allo scopo di indirizzare le volontà generale” (Hans Kelsen). Francesco Pallante, Contro  la democrazia diretta, Einaudi, 2020


28 Agosto 2020 | di Renza Bertuzzi

La rappresentanza, forma  necessaria della democrazia Da molto prima della crisi pandemica da Covid 19 viviamo in uno condizione di smarrimento esistenziale, sociale e politico. Quasi tutti i punti di riferimento del nostro mondo sono stati messi in discussione, alcuni sono caduti rovinosamente, altri sono in pericoloso bilico, si tratta di una situazione “post rivoluzionaria” senza che vi sia stato uno spargimento di sangue evidente.
 
Oggi, si vive in mezzo a uno sfondo di macerie concettuali, in cui è sempre più difficile orientarsi e dove hanno gioco facile gli esperti dello sfascio, quelli secondo cui è tutto da rifare, riuscendo ad incidere, con proclami ed invettive, sul ragionamento logico e pacato.  Tutto ciò non va bene ma spesso si ha l’impressione di non riuscire a vederci chiaro nel polverone sollevato ad arte da attori scaltri e mantenuto in vita da inconsapevoli comparse. E’ sempre più difficile saper vedere e comprendere nel calderone della comunicazione, ove le situazioni e le notizie rispondono solo al principio della orizzontalità e dell’eccesso. Non a caso, si parla ormai di infodemia, ovvero della circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, spesso non vagliate con accuratezza. Una sorta di arrembaggio di notizie e di commenti capaci di stordire e confondere i giudizi dei cittadini, brodo di coltura del cosiddetto populismo.
 
Non è importante elencare tutti i fondamenti distrutti della concezione moderna della democrazia, poiché sono, nella quasi totalità, riconducibili al mito della democrazia diretta, di quella visione politica che attribuisce alla rappresentanza   assoluta negatività. Uno vale uno, recitava lo slogan di una forza politica ora al governo, che si è battuta e si batte contro la rappresentanza, considerata occasione di prevaricazione e corruzione.


Francesco Pallante, professore associato di Diritto costituzionale nell’ università di Torino, ha scritto   un prezioso testo, Contro la democrazia diretta, Einaudi 2020, il cui titolo, senza fronzoli né eufemismi, colloca l’analisi dello studioso in un campo ben preciso.
“Lungi dall’ essere la cura per la crisi istituzionale in atto, la democrazia diretta rischia di incarnarne la fase più acuta e conclusiva. È tirannia della maggioranza, dominio della folla”.
 
Si tratta di un testo essenziale, in senso letterale, perché va diritto allo scopo della tesi che vuole dimostrare. Pallante sostiene che all’ origine del suo lavoro “c’ è la convinzione che sia questo (la democrazia diretta) un modo sbagliato per impostare un problema correttamente individuato. Che la classe dirigente-in senso ampio non limitato all’ ambito politico-abbia abdicato alla funzione di “dirigere” la società, avviluppandosi su se stessa nell’ onanistica coltivazione dei propri interessi, è difficilmente contestabile. Altrettanto difficilmente contestabile è, tuttavia, che anche sul popolo gravino rilevanti responsabilità. Aver negato l’esistenza di problemi evidentissimi- la devastazione dell’ambiente, l’ingiustizia sociale, l’evasione fiscale, il debito pubblico, la criminalità organizzata- accettando di buon grado le blandizie di imbonitori interessati (pag.5). C’ è dunque, secondo Pallante – e noi condividiamo in pieno- un problema di responsabilità diffusa, che non assolve nessuno: governanti e governati.
 
Da qui si dipana una dimostrazione serrata, rigorosa, storica che, senza deviazioni ridondanti, arriva a costruire un quadro completo del tema della democrazia diretta alla luce della Costituzione.  Dalla prima forma di democrazia diretta, quasi un mito, l’ecclesia ateniese di cui si precisano le caratteristiche, a tutte le varie innovazioni istituzionali italiane e internazionali, molto spesso in senso demagogico, del principio dell’autogoverno.  Dunque, un filo logico che unisce i molti tentativi, susseguitisi nel tempo, di dar vita a forme di “governabilità”, senza gli impicci delle varie rappresentanze.  Prove a volte fallite, nel risultato concreto ma riuscite nella diffusione dello scarto culturale verso i principi della Costituzione del 1948.
 
Uno scarto che si manifesta verso il numero dei parlamentari e verso i partiti e verso i sindacati, tutte quelle forme di mediazione riconosciute dalla Costituzione. Al governo Monti si deve l’attacco al sindacato, il quale dopo aver bollato la concertazione come la causa dei mali dell’economia, ha sancito la prevalenza dei contratti minori, aziendali e territoriali, sul contratto nazionale perfino sulla legge. Con ciò revocando il ruolo del sindacato- il cui scopo è aggregare i lavoratori subordinati-  malgrado gli articoli 39 e 40 (contrattazione collettiva e diritto di sciopero).  Su questa linea si muove l’attuale ministra delle Pubblica Istruzione, che ignora i sindacati e privilegia il rapporto diretto, via facebook, con i docenti.
 
Francesco Pallante non ha dubbi sulla sovranità individuale, figlia del neoliberismo, riportando le posizioni del giurista austriaco Hans Kelsen, che già nel 1929 aveva anticipato i rischi di una disgregazione della collettività in una moltitudine di soggetti isolati e abbandonati a se stessi: “E’ chiaro che l’individuo isolato non ha politicamente, alcuna esistenza reale, non potendo esercitare un reale influsso sulla formazione delle volontà dello stato. La democrazia può quindi esistere soltanto se gli individui si raggruppano secondo le loro affinità politiche, allo scopo di indirizzare le volontà generale verso i loro fini politici, cosicché, fra l’individuo e lo stato, si inseriscono quelle formazioni collettive che, come partiti politici, riassumono le uguali volontà dei singoli individui” (pag. 89).
 
La rappresentanza, quanto più ampia possibile, è dunque lo strumento, non solo aderente ai principi della Costituzione, ma ancora efficace per contrastare la demagogia imperante. Pallante lo dimostra in questo testo serrato, puntuale e scritto molto bene.  Uno studio utile anche per un lavoro di Educazione alla cittadinanza negli istituti superiori.
 
L’ autore conclude il suo testo senza illusioni: «Occorre essere realisti. La rappresentanza politica non è di per sé salvifica. È una scommessa, può fallire. Funziona se si crede che il pluralismo sociale sia un valore, non una minaccia, e che il conflitto rivolto al compromesso sia il solo strumento idoneo ad assicurare uguale libertà a tutte le posizioni. Uguale libertà sul piano sostanziale, non meramente formale».
 
Funziona anche, ci permettiamo noi di ricordare, se oltre ai disegni istituzionali si riporta l’attenzione alle responsabilità: dei rappresentanti e dei rappresentati.  Nessuno può tirarsi fuori e delegare a partiti e sindacati la soluzione di problemi individuali.  La salvezza – ammesso che esista- può solo fondarsi su un mutato ethos condiviso, che veda l’interesse generale prevalere sulle esigenze individuali.  
 
 
 


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Numero 4 - Settembre 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Michele Anelina, Stefano Battilana, Piero Capello, Roberto Casati, Alberto Dainese, Gilda Sardegna, Giulio Ferroni, Maria Alessandra Magali, Elvio Mori, Marco Morini, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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