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Numero 4 - Settembre 2020
Numero 4 Settembre 2020

Fauda: il kaos di due mondi paralleli


28 Agosto 2020 | di Stefano Battilana

Fauda: il kaos di due mondi paralleli Vedere una serie fiction senza smettere fino alla fine, come una sbornia televisiva: si chiama bingewatching, 4-5 puntate alla volta, come per Breaking Bads, Il Trono di spade, Better call Saul, ecc. Stavolta era Fauda, Caos, in arabo; una controversa serie tv israeliana su Netflix, che è piaciuta sia a destra che a sinistra, nonostante la cruda resa del conflitto ebreo-palestinese, proprio per la problematicità dei punti di vista, che non è solo quella della “squadra”, un gruppo di agenti israeliani antiterrorismo, ma anche dell’Altro, il palestinese, al punto che la maggior parte dei dialoghi si svolge in arabo e di là del Muro. Prodotta e interpretata da un ex-agente segreto israeliano, Fauda è azione e coraggio, e la riflessione storica è solo accennata, come l’inevitabile portato di un mondo disperato, duro come una pugnalata. Eppure si guarda, eccome, e qualcosa si impara, anche della nostra Storia... segue una riflessione e il consiglio di vederla...
 
FAUDA. I protagonisti sono ebrei, ma la centralità è palestinese, la narrazione è israeliana, ma la location è la West Bank o Gaza. La lingua doppiata è l’ebraico, quella in originale è l’arabo, così gutturale e arrotato, così cerimoniale, anche nella laconicità. I saluti sono gli stessi: abbracci plateali, con pacche ripetute sulla schiena, i tre baci rituali, auguri di pace e bene, poi messaggi taglienti, silenzi di verità, profferte di lealtà, sincere o meno. Lo split fra i due mondi, fra l’Israele militare e la Palestina militarizzata è quasi istantaneo, al punto che l’arabo sottotitolato è più usato della lingua doppiata. Lo stile di vita, l’abbigliamento trasandato e cheap, il cibo, l’onnipresente hummus, il caffè, le sigarette a profusione, l’onore e l’orgoglio, la famiglia, l’appartenenza ontologica sono gli stessi, ma sono due mondi in guerra perenne, in una società tripartita, dove i bellatores sono soldati integrali, sullo sfondo di una faticosa società civile. Anche gli oratores sono una realtà separata, in questo scorcio di medioevo presente, sceicchi o ortodossi, tutti con un definitivo concetto dell’Altro. E poi c’è il protagonista, vero trait d’union fra moderno e levante, tanto arabo che pare dei loro, che prega in moschea come fosse dei loro, che si sente più a casa “di là” che di qua, come dice lui stesso.


L’AZIONE. Tre sono finora le stagioni della serie, che esplorano tutto il mondo ostile che circonda Israele, con una magistrale sortita a Gaza, un vero mondo separato, chiuso come la Manhattan del 1997 di un famoso film di fantascienza apocalittica. È facile splittare da un mondo all’altro, in un paese che ha le dimensioni spaziali di una nostra realtà regionale: tutte le distanze stanno sotto i 100 km e questo permette di teletrasportarsi in un attimo da un mondo all’altro (espressione non casuale, dal momento che il capo della Polizia sembra davvero Spock, vedere per credere). Tanti sono i morti, soprattutto comparse, come nei film d’azione, ma i cattivi veri o i membri della squadra Mista’arvim sono duri a morire e la loro morte foriera di conseguenze e dolore. Tanto è l’amore, spesso impossibile, e sempre infelice, sempre la Nemesi implacabile segue l’Hubrys e persino la raddoppia. Sarà casuale, ma il titolo ricorda la Faida, in una società dove impera il familismo, la preminenza del clan, l’onnipresenza del “Movimento”, la promiscuità fra il vivere e il morire.


L’ACQUA. Tuttavia c’è un dettaglio, un leit motiv ripetuto e quasi inosservato, che lega i due mondi, così contrapposti: l’acqua, da bere, per saziare la sete, per le abluzioni, per lenire le ferite e il malessere, per calmare i nervi. Tante volte, prima di un interrogatorio, dopo un pestaggio, prima di una condanna o solo per consumazione: un bene prezioso che noi neppure stimiamo, al punto che offrire solo un bicchier d’acqua pare persino poco ospitale. Qui no, l’acqua è un bene prezioso e tutti lo sanno e apprezzano. L’acqua è la vera ricchezza e la vera povertà della regione: Israele ha prosciugato il Lago di Tiberiade, il cui livello è sceso di più di 10 metri, per irrigare i suoi campi e le piantagioni, ha quasi seccato il Mar Morto, per coltivare il deserto e ora deve ripascere tutto il maltolto. E allora ecco la strategia, di cui non parlano i nostri giornali, su come dissetare tutto il mondo che sta di qua e di là dal Giordano: l’idea è facile e ardita al tempo stesso, rimpinguare il Lago di Tiberiade con acqua desalinizzata dal mare, che poi andrà a riversarsi anche nel Mar Morto. E ora viene il bello della storia: dal Lago al Mediterraneo corrono solo 50 Km, tutti in territorio israeliano, ma Israele ha i suoi ambientalisti, ferocemente contrari al riversamento di acque del mare in un lago di acqua dolce, con contaminazione batterica e inquinamento ambientale, e diritti di veto o di rallentamento. Ed ecco la soluzione: prendere l’acqua dal Mar Rosso, facendo una lunga tubazione attraverso la Giordania, ben 400 km invece che 50, ma senza conflitti sociali. Israele paga il tutto e ne ricava il 60 % dell’acqua, la Giordania ne ricava il 30 % solo per i diritti di passaggio e la custodia dell’idrodotto. E l’ultimo 10 %? Va ai Territori Palestinesi, sempre assetati e con poche risorse idriche: ecco l’elemento che tiene insieme i due mondi paralleli del titolo e che rende l’idea di come il conflitto a bassa intensità proseguirà, ma sarà solo una guerriglia fredda e crudele, non una vera guerra, come in precedenza. L’acqua fa l’equilibrio e anestetizza anche la minacciosa bomba demografica: anche a Gaza Israele manda 7 camion di viveri al giorno per tenere tutti dentro, perché i due mondi sono funzionali alla loro separazione e resteranno così nel loro fragile equilibrio e nel feroce contrapporsi. I capi si mettono d’accordo, ognuno deve badare al suo popolo e lo Statu Quo del 1852, il Trattato che disciplina rigidamente gli accessi ai luoghi santi di Gerusalemme, è tuttora la regola non scritta di questi mondi contrapposti, uniti dall’acqua che esce dal rubinetto.
 
 
 


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Numero 4 - Settembre 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Michele Anelina, Stefano Battilana, Piero Capello, Roberto Casati, Alberto Dainese, Gilda Sardegna, Giulio Ferroni, Maria Alessandra Magali, Elvio Mori, Marco Morini, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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