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Numero 5 - Novembre 2020
Numero 5 Novembre 2020

La scuola del futuro non può nascere dall’emergenza

Il Covid-19 non ha spento i motori della Giornata Mondiale degli Insegnanti. Una folta platea di insegnanti collegata online ha seguito con attenzione e interesse i lavori del convegno trasmessi in streaming dalla sala Cristallo dell’hotel Nazionale di Roma


03 Novembre 2020 | di Ester Trevisan

La scuola del futuro non può nascere dall’emergenza Il Covid-19 non spegne i motori della Giornata Mondiale degli Insegnanti. Come da tradizione, anche quest’anno la Gilda degli Insegnanti e l’Associazione Docenti Art.33 hanno voluto celebrare la ricorrenza istituita dall’Unesco nel 1994, promuovendo una riflessione sugli scenari futuri che si profilano all’orizzonte per la scuola italiana alla luce delle innovazioni di sistema, di governance e della didattica con cui, approfittando della pandemia, viale Trastevere vorrebbe rivoluzionare il sistema dell’istruzione e lo stato giuridico degli insegnanti costituzionalmente definito. A discutere e a confrontarsi sul tema, nel corso del convegno nazionale “Dopo la crisi Covid: occhi e coscienze aperti! – La scuola del futuro non può nascere dall’emergenza” moderato da Valentina Santarpia,  giornalista del “Corriere della Sera”, sono stati tutti esperti quotidianamente “attivi sul campo”: Anna Angelucci, docente di materie letterarie al liceo classico “Tacito” di Roma e Presidente dell’Associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”; Giovanni Carosotti, docente di Filosofia e Storia al liceo “Virgilio” di Milano; Roberto Contu, docente di materie letterarie al liceo classico “Sesto Properzio” di Assisi e dottore di ricerca in Italianistica;  John Polesel, professore emerito all’Università di Melbourne. A fare gli onori di casa, Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda, e Fabrizio Reberschegg, presidente dell’Associazione Docenti Art. 33. Nel rigoroso rispetto delle misure anti contagio, folta platea di insegnanti collegata online a seguire con attenzione e interesse i lavori del convegno trasmessi in streaming dalla sala Cristallo dell’hotel Nazionale di Roma.


Ad aprire gli interventi, Anna Angelucci che ha puntato i riflettori sulla natura della Didattica digitale integrata. Secondo la professoressa, stiamo assistendo a un “rovesciamento della realtà per cui sembrerebbe che la Did sia migliore della didattica in presenza perché più efficace. A questo punto, allora, credo sia utile capire di cosa parliamo quando parliamo di questo tipo di didattica. Distinguiamo due tipi di Did – ha spiegato Angelucci -: blended, cioè con un’alternanza tra modalità in presenza e a distanza, e ibrida, ovvero che implica la contemporaneità tra lezione fisica, cioè in aula, e digitale, ossia da remoto. Si tratta di una prospettiva inquietante perché presuppone che, pur trovandosi nello stesso luogo, docenti e studenti instaurino una relazione mediata dal computer. Ancora più inquietante è che tutto ciò sia previsto dalle linee guida ministeriali e che, quindi, esista un preciso contesto politico e culturale di riferimento. A tale proposito, ricordiamo che nel 2017 la Commissione europea ha elaborato un documento che declina le competenze digitali di studenti e docenti in un’area che si chiama pedagogia digitale. Una terminologia che, come può ben capire chiunque, non è affatto neutra”.


In video collegamento dall’altro emisfero, il professor John Polesel ha illustrato alcune ricerche condotte in Australia, negli Stati Uniti e in Inghilterra da cui emerge che la didattica digitale ha un effetto molto negativo sugli alunni più poveri. “Una ricerca americana effettuata in Nord Carolina – ha affermato Polesel - ha mostrato che gli studenti nelle province più povere tendevano a non seguire  le lezioni e a non  consegnare  i compiti.  L’evidenza è che gli studenti già svantaggiati si trovavano sempre più in ritardo e sempre più  esclusi dal processo educativo.  Al contrario, l’inserimento e la partecipazione nelle scuole elitarie  e ricche rimanevano su livelli  elevate”. Stesso discorso per quanto riguarda l’accesso alla banda larga. Anche un rapporto redatto lo scorso giugno per il governo dello stato di Victoria, in Australia, conferma molti dei risultati riscontrati all’estero, Italia compresa. L’indagine, effettuata su un campione di 10.000 studenti e genitori, evidenzia che l’assenteismo è più alto nelle scuole classificate “svantaggiate”, dove arriva al  10%. Nelle scuole classificate come  “non svantaggiate”, invece, il tasso  si assesta al  4%. Secondo un’altra ricerca portata avanti dall’università di Melbourne sugli insegnanti, solo la metà dei docenti delle scuole secondarie e primarie ritiene che l’apprendimento a distanza degli studenti sia paragonabile a quello in aula. Inoltre, gran parte degli insegnanti sostiene che la didattica a distanza avrà impatti negativi sul progresso educativo, lo sviluppo sociale e il benessere emozionale degli studenti. Per quanto riguarda l’impatto sugli insegnanti, dall’indagine è emerso che oltre due terzi lavorano più ore di  prima o più del solito. Questo vale  per il 68% degli insegnanti di scuola primaria e il 75% degli insegnanti di scuola secondaria.


Dopo l’illuminante viaggio virtuale nella scuola anglosassone e australiana al tempo del Covid-19, Giovanni Carosotti ha riportato la platea al pasticciaccio brutto della Ddi in Italia che, in linea con gli obiettivi auspicati dalla legge 107/2015, rischia di esautorare la funzione docente. “Una lucida strategia – ha detto senza mezzi termini - per cogliere l’occasione e imporre una visione della scuola che in parte, in questi anni, i docenti sono riusciti a rintuzzare”. Secondo Carosotti, da marzo 2019 alle recenti linee guida sulla Ddi, è stata organizzata una strategia comunicativa che, avviata da interventi di carattere personale, si è estesa poco alla volta alle istituzioni; sino a essere pienamente recepita dal Miur. Il riferimento è al comitato di esperti istituto dalla ministra Azzolina che ha assegnato un ruolo preponderante ad Amanda Ferrario, dirigente scolastica di bussettiana memoria, da sempre schierata sul fronte della digitalizzazione più spinta. Critiche sferzanti da parte di Carosotti anche alle Uda, Unità didattiche di apprendimento, “un abominio per il docente che diventa un semplice facilitatore, non è più padrone della didattica e non ha più un rapporto con gli studenti. Il docente non è più chiamato a concorrere allo sviluppo del pensiero critico – avverte - ma viene ridotto al rango di operaio semplice addetto a fabbricare individui con pensieri preconfezionati pronti per l’uso”.


Certo dell’insostituibilità del rapporto tra studenti e docenti, e fiducioso nella sua resistenza a qualunque tentativo di destrutturazione, Roberto Contu ha invitato a riflettere su come l’esperienza coatta dell’ingresso nel mondo digitale da parte della classe docente abbia mostrato che il re è nudo. “Si tratta di un evento che impone di giocare a carte scoperte, di considerare senza infingimenti né retorica cosa fa e cosa non fa il digitale a scuola. Ciò che la pandemia ha disvelato agli occhi di tutti – ha insistito Contu - è che il digitale non potrà mai rimpiazzare il rapporto dialogico tra insegnanti e alunni e che l’insegnante, attraverso la sua imprescindibile opera di trasmissione del sapere e lo scambio con gli studenti, rappresenta un bene comune da preservare e valorizzare. Questa emergenza sanitaria può essere un’occasione importante per recuperare il senso collettivo della professione docente, e in questa ottica può risultare molto prezioso il ruolo svolto da un sindacato come la Gilda degli Insegnanti e dall’associazione professionale Docenti art.33. In un tempo come quello attuale, in cui si tende a porre l’accento sugli individualismi, la scuola rimane l’ultimo baluardo di collettività da proteggere”. Da Contu è arrivata anche un’esortazione a riflettere sull’ingresso dei soggetti privati nella scuola “avvenuto in maniera massiccia con l’utilizzo delle piattaforme online per la didattica a distanza. Un aspetto da non trascurare – ha messo in guardia il professore - perché la scelta di questi strumenti determina l’educazione che si impartisce agli alunni”.
 
Cogliendo l’invito di Contu a recuperare il senso collettivo della professione docente, Fabrizio Reberschegg ha evidenziato l’urgenza di un’unità tra docenti, famiglie e studenti per difendere la scuola delle conoscenze, che rischia di soccombere a quella delle competenze. Da qui, l’appello dell’Associazione Docenti Art. 33 a costruire un manifesto trasversale con cui chiedere che l’accelerazione impressa al digitale non diventi funzionale allo stravolgimento del ruolo e della funzione docente.


A serrare le fila del convegno, Rino Di Meglio che, sulla scia di quanto evidenziato anche da Polesel, ha sottolineato come la Didattica a distanza abbia lasciato a galla i più bravi ma abbia fatto arretrare i più deboli. “Questo non significa, però, che lo strumento digitale debba essere demonizzato. Ciò che importa – ha affermato il coordinatore nazionale della Gilda – è che non diventi il fine. La didattica giusta non è una sola, non può e non deve esistere la didattica unica”. E, infine, un richiamo all’aspetto sindacale della didattica a distanza: “Inaccettabile l’assenza di regole, l’insegnante non può, in nome dell’emergenza, stare 24 ore su 24 al pc. Ma dal Ministero c’è un rifiuto passivo ad aprire la contrattazione integrativa su questo capitolo”.
 
 
 
 


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Numero 5 - Novembre 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Vincenzo Balzani, Stefano Battilana, Alberto Dainese, Frank Furedi,Marco Morini, Rocco Antonio Nucera, Luca Ricolfi,
Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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