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Numero 2 - Febbraio 2012
Numero 2 Febbraio 2012

“Addio alla scuola della delirante competizione che distorce la scuola pubblica”

«Libertà d'insegnamento è, per me, insegnare la libertà praticandola: solo sottraendomi a questa ambigua messa in scena potevo dare verità alle parole che amavo».
Intervista a Mara Paltrinieri, docente che si licenzia volontariamente dalla scuola.


20 Gennaio 2012 | di Renza Bertuzzi

“Addio alla scuola della delirante competizione che distorce la scuola pubblica” In tempi di crisi feroce come quella che non solo l'Italia ma molta parte del mondo sta vivendo, è a dir poco insolito che una persona abbandoni volontariamente il proprio lavoro a tempo indeterminato. Mara Paltrinieri, professoressa in un liceo classico di Modena, lo ha fatto licenziandosi dal proprio incarico. Si è trattato, come lei stessa ci racconta in questa intervista, di una scelta etica e di coerenza per ''testimoniare una relazione di verità fra quello che dico e quello che faccio.''
E' una scelta coraggiosa, da parte di una persona che dichiara di non avere profitti su cui contare. ''Professione docente'' le ha dato voce perchè gli argomenti di cui Mara Paltrinieri ci parla non sono stravaganti nè estranei, anzi sono parte del dibattito sulla scuola odierna e sulla sua funzione. ''Attirare clienti, in quella delirante competizione che distorce le finalità della scuola pubblica'' è un disfacimento con cui tutti facciamo i conti di giorno in giorno.
Certo, siamo consapevoli del dramma di quanti, pur condividendo le argomentazioni della collega, sanno che non potranno mai fare la sua scelta perchè sono stati privati di ogni speranza di lavoro. Tuttavia, la realtà è sempre un caleidoscopio che abbisogna di tanti, variegati (magari apparentemente contradditori) punti di vista per essere compresa e per questo è giusto e doveroso non privarsi di alcuno di essi.

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Professoressa Mara Paltrinieri, insegnante a tempo indeterminato in un Liceo classico di Modena, ha già preso una decisione molto audace che riguarda il suo lavoro. Vuole raccontarci di che cosa si tratta?
Ho dato le dimissioni volontarie dopo 24 anni di attività in ruolo. Sì, mi sono proprio licenziata, non perchè ho già un altro lavoro pronto o perchè ho vinto la lotteria. Sono ancora un'insegnante, ma non sono più al servizio dello stato italiano.

Quali sono le motivazioni che l'hanno indotta a un passo così importante e definitivo?
Le motivazioni sono molte e di ordine diverso, ma collegate fra loro. Ho riflettuto molto su questo passo, considerando le cause della crescente insoddisfazione che provavo rispetto a un mestiere in sè appassionante. Adesso mi è chiaro che, in primo luogo, come donna e cristiana, non posso più dipendere da uno stato che fa guerre e che ha creato sul suo territorio luoghi come i C.I.E. Si tratta quindi di una obiezione di coscienza totale nei confronti di uno stato che, a mio avviso, non rispetta la sua stessa Costituzione, quella Costituzione di cui nelle scuole si parla tanto, ma i cui principi rimangono per molti aspetti parole destituite di realtà.
Questo è il nucleo simbolico a cui ora posso ricondurre le altre mie ragioni, relative al senso dell'essere educatrice, attraverso la questione emblematica della libertà d'insegnamento. Per spiegarmi devo accennare alla mia esperienza, sapendo che ci sono situazioni scolastiche più positive di quelle che ho vissuto. Negli ultimi anni mi sono confrontata con Dirigenti, il cui potere senza vera autorevolezza maschera spesso un narcisismo nevrotico: molti hanno bisogno di esercitare un continuo controllo sulla realtà con una vana pletora di ''gride'', vogliono programmi tutti uguali, impongono corvèe burocratiche, cooptano chi dice sempre di sì.
La loro ingerenza nell'attività didattica ha come obiettivo che la ''loro'' scuola ''funzioni'', che l'immagine patinata attiri quanti più ''clienti '' possibili, in quella delirante competizione che distorce le finalità della scuola pubblica. Chi critica questo, in nome del primato della pedagogia e delle relazioni autentiche ad essa necessarie, va incontro a grane perchè è un ''piantagrane''. Gli ordini che arrivano da Roma devono essere eseguiti, anche contro ogni elementare buon senso. Chiunque capisce che se si tagliano 8 miliardi, se aumenta il numero di allievi/e per classe e per docente, la qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento scade. Aumenta il carico di lavoro, ci si lamenta nei corridoi e nelle Sale insegnanti, senza però arrivare a un confronto nei Collegi, perchè scatta l'autocensura per poter sopravvivere.
Eccetera: questa è storia comune e non vale la pena insistere sul negativo quotidiano; era però necessario delineare le vicende che mi hanno fatto sentire l'esigenza di un ripensamento. Non mi bastava più difendere la libertà d'insegnamento come in una riserva indiana. In classe potevo celebrare i grandi valori: l'amore del bene, del bello, del vero; la pace, la libertà, la giustizia - e tutto ciò che è essenziale all'umanità e al mondo.
Ma, fuori dall'aula, queste parole non si incarnavano in una realtà viva. Ero dunque in una contraddizione: non potevo più rappresentare un'istituzione che nei fatti nega le parole stesse con cui pretende di legittimarsi.
Libertà d'insegnamento è, per me, insegnare la libertà praticandola: solo sottraendomi a questa ambigua messa in scena potevo dare verità alle parole che amavo. Ecco che scoprivo, infine, l'unico modo, per me, di poter insegnare la lingua italiana come lingua materna che fa realtà grazie alla legge dell'amore.

Lei è consapevole, naturalmente, di trovarsi in una condizione privilegiata e di essersi potuta permettere questa scelta. Quali reazioni tra i colleghi ha suscitato questo fatto?
Più che di una scelta, per me si tratta di un dovere, di testimoniare una relazione di verità fra quello che dico e quello che faccio. Trovo poi seriamente umoristica la questione del mio privilegio: essere insegnante a tempo indeterminato come vincitrice di due concorsi è un privilegio? Essere insegnante in Italia oggi è un privilegio? In realtà in questo paese ben altri sono i privilegi. Come single, economicamente l'unica mia fonte di reddito era il favoloso stipendio per cui lavoravo mattino pomeriggio sera dal lunedì alla domenica, sommersa da compiti ecc. Pago anche il mutuo di un bilocale di 49 mq, che ho potuto acquistare solo con l'aiuto dei miei genitori. Ho risparmiato un po' in questi anni, proprio pensando che mi sarei quasi certamente licenziata, rinunciando a libri, viaggi, teatro ecc. Ma è vero, in altro senso, che godo di un privilegio impagabile: il mio amore per la libertà. La gamma delle reazioni di colleghe e colleghi va da un silenzio di acquario ad espressioni di approvazione (non tante: la più divertente è di una collega che ha esclamato ''sei come un'eroina!''). In generale la reazione prevalente è stata di spiazzamento: a molte/i sarà sembrata una roba dell'altro mondo. Alcune, donne, mi hanno obiettato che lo facevo perchè non ho figli/e: a questo ho subito risposto che, se fossi stata madre, forse avrei lasciato la scuola anche prima, sia per i motivi già detti che per avere più tempo da passare proprio con i miei bimbi e bimbe. Mi aspettavo atteggiamenti più aperti, per esempio il desiderio di riflettere sul senso dell'insegnamento in una situazione come quella attuale; secondo me hanno prevalso reazioni difensive, segno di un disorientamento rispetto alla questione pedagogica.
Sintomatica è stata la reazione della Dirigente scolastica, con la quale avevo anche cercato un dialogo personale: avevo presentato un progetto per il P.O.F. dal titolo Dante all'origine della civiltà italiana, elaborato in stretta relazione con le ragioni che mi hanno portato a lasciare l'istituzione statale; il progetto viene approvato e quando chiedo la parola per ringraziare il Collegio Docenti e spiegare il senso della mia proposta, la Dirigente me la nega.
Infine, le reazioni delle classi che ho avuto, nuove, per gli ultimi tre mesi: fin dal primo giorno ho chiarito il senso della mia decisione e ho lavorato con loro chiedendo molto, in termini di attenzione e impegno. Posso proprio dire che, in generale, c'è stata davvero grande disponibilità al dialogo educativo. Non intendo però contrappormi alle colleghe e ai colleghi; posso capire le loro posizioni, le loro reazioni, le loro perplessità. E' vero che si possono trovare mediazioni, che si può insegnare bene anche ''resistendo'' in una scuola pubblica così maltrattata dai governi (non solo l'ultimo Berlusconi): però io dico che la scuola è bella se c'è tempo per le relazioni, se si dà valore alle differenze, se non c'è paura della libertà, se ci si mette in gioco in prima persona.

Rinunciare ad un lavoro, in questi tempi di grande crisi, non è facile. Che cosa direbbe ad una precaria, disposta a tutto pur di lavorare, anche nelle condizioni da lei rifiutate?
''Cara/o collega, insegnare è un'arte della relazione, essenziale per una vera civiltà: tu lo sai già e lotti con fantasia e tenacia per poter continuare. La scuola italiana si regge sul vostro lavoro misconosciuto: voi siete indispensabili, soprattutto per il desiderio che vi guida. Non lasciarti mortificare da questa narrazione della crisi: in Italia i soldi per la scuola ci sono, manca la volontà politica da parte di chi li ha in mano di spenderli per il bene di questo paese. La crisi è occasione di trasformazione: è il momento giusto per riaprire le danze, sapendo che solo il rinnovamento della cultura, a partire dalla scuola, ci farà uscire dalla crisi. Piedi per terra e volare alto. Con gratitudine - Mara Paltrinieri, precaria e libera insegnante della Lingua Italiana''.


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